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L’Aurora illumina OR

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Sei mani per una cena. Nel ristorante di Grintorto di Agazzano, i resident chef Mauro Brina e Davide Modesti hanno accolto Aurora Mazzucchelli. Il menu? Un percorso nitido e vibrante fra nuovi e vecchi miti

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Tags: Alta CucinaEmilia RomagnaJreChefAurora MazzucchelliStella Michelin

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L’Aurora illumina OR

Sei mani per una cena. Nel ristorante di Grintorto di Agazzano, i resident chef Mauro Brina e Davide Modesti hanno accolto Aurora Mazzucchelli. Il menu? Un percorso nitido e vibrante fra nuovi e vecchi miti

Testi Cristina Viggè

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Puro, vero, nudo, adamitico. Polpo. Eppur non sembra un polpo. Perché non sempre tutto è come appare. Perché Aurora ne cattura l’essenza, l’abissalità del gusto, la ficcante e graffiante sensualità marina. Per consegnarla alla terra. Anzi, a un eden primordiale, incarnato in una semplice foglia di fico. Prolegomeni ad ogni futura metafisica estate. In perenne divenire. Infatti la foglia c’è, ma c’è pure il frutto. Ci sono l’attesa, la promessa, la speranza della nascita, ma ci sono pure la forza, il vigore e l’energica esuberanza della creazione.



Polpo, rivestito di una pelle fatta col suo stesso brodo di cottura, latte di foglia di fico (un estratto), limone salato (lattofermentato) e timo. Un piatto ancestrale e sapiens quello di Aurora Mazzucchelli: classe 1973 e alle redini - insieme al fratello Massimo e alla sorella Mascia - del Ristorante Marconi, stella Michelin (da ben dieci anni) nella bolognese Sasso Marconi. Una pietanza primitiva ed evoluta, ouverture di una serata che l’ha vista protagonista - fuori casa - di una cena a sei mani. Le sue. E quelle dei due millennial Mauro Brina e Davide Modesti: bergamasco e annata 1990 il primo; bresciano e annata 1993 il secondo. Di stanza nel Piacentino, fra la Val Tidone e la Val Luretta, sotto l’insegna di OR - Cucina d’Arte. Oasi gourmet tuffata nelle campagne emiliane, a Grintorto di Agazzano. In primis, rocca romana, distrutta dal Barbavara, generale del Barbarossa. Poi, borgo medievale e, successivamente, convento in epoca rinascimentale. 




“Ho cercato di restituire un senso a questa realtà. Perché sono ammalato di bellezza”, racconta Rudi Reni: discendente di Guido (uno dei massimi esponenti del classicismo secentesco) nonché fautore del restauro del borgo, insieme alla moglie Paola Pacinotti. Un luogo denso di meraviglia, pronto a dipanarsi fra sale e saloni, scale e scaloni, statue e balaustre, trompe l’œil e grottesche. Basti pensare che tutti i pavimenti sono quelli originari, che la cucina è ospitata sotto volte affrescate (con corredo di camino) e che la scenografica terrazza (coperta) spalanca lo sguardo sulla serra-salotto e sull’ORangerie. “Era nata per metterci le mie piante d’inverno”, spiega Rudi. Che presto ha trasformato i locali in uno spazio elegantemente rurale. “Sic et simpliciter”, come direbbe lui. Arricchendo il tutto con un bancone cantoria del Settecento, tatuata con lire, bombarde e violini. 




E sic et simpliciter, ante polpo sono giunte le entrée, firmate Mazzucchelli-Brina-Modesti. Per preparare il palato all'iter degustativo. E anche per far capire la direzione presa all’unisono dagli chef. Un’erta da percorrere a ritmo di amuse bouche. Ecco allora l’acida vis del ravanello al lampone; le nuance boisé dello sgombro sulla corteccia; la croccante trama degli spaghetti aglio e olio; e la sapida dolcezza dell’anguria in osmosi col suo succo, lime, sale di Maldon e caviale di aringa. Che torna in foggia di gelato, insieme a un’esplosiva caprese fake e ai ravioli e lumache. Targati Aurora. Che intanto prepara il polpo.




A seguire? La panzanella 2.0 del duo Brina-Modesti. Un panzella verticale, che si concentra su ciascun ingrediente. Esaltandolo, valorizzandolo e amplificandolo. Cinque variazioni di pomodoro: giallo, rosso, verde, cuore di bue e sardo. E ancora, cetriolo marinato, sedano in agrodolce, sgombro agli agrumi. A inondare il tutto, rigorosamente live: la chiara, fresca e dolce acqua di pomodoro. Nel cestino: panini sfogliati al burro, focaccine, cracker ai semi e grissini stirati a mano. Nonché il pane di Aurora, messo a punto con farina di grano tenero (e toscano) verna nel forno-bistrot Mollica. Che se ne sta accanto al ristorante. Ennesimo segno dello spirito eclettico di Aurora. Che è pure attivissima nel board dei Jre Italia, l’associazione dei Jeunes Restaurateurs presieduta da Luca Marchini. 


  

Aurora. Un’emiliana doc. Pronta a onorare la table con un suo piatto simbolo: i tortelli di parmigiano reggiano alla lavanda con noce moscata e granella di mandorle. La tradizione dell’arzdora che incontra l’ardore della contemporaneità. Il sapore virile del formaggio che sposa quello femmineo della pianta aromatica. Il latte e la lavanda. La proteina e il profumo. Il gesto e la memoria, sintetizzati in una vivanda cult del Ristorante Marconi. Nel senso che è in carta. Come il polpo. Ma che a differenza del polpo vi sta da parecchio tempo. Quasi a celebrare la costanza nel tempo. E testimone di un tempo che ha visto nascere il Marconi (nel 1983), crescere (sotto l’egida dei Mazzucchelli bros), conquistare l’astro Michelin (nel 2008) e cambiare pelle (nel 2016). Andando all’essenzialità della materia. Senza mai perdere di vista l’immaginario.  



Così come Mauro e Davide non perdono di vista il territorio. Ma vanno oltre. Del resto OR significa “oro”, ma pure “oppure”, all’inglese maniera. E la loro vuol essere un’interessante alternativa alla comune tipicità piacentina. Dunque? Black cod. Alaska. Oceano. E fumo di quercia al Jack Daniel’s. Tanto poi ci sono i carciofi - croccanti e in crema - e la menta a ricordare l’euforica mediterraneità della natura. Un piatto burroso. Ma non per questo privo di tensione gustativa. Perfetto con lo Champagne "Tradition", griffato Gustave Goussard. Pinot noir della Côte des Bar.



Un brut che ha accompagnato tutta la cena. Dal prologo all’epilogo. Anticipato dal predessert dei due millennial: bianco mangiare allo yogurt, sorbetto al trifoglio, yogurt disidratato e fragole in differenti texture. 



Infine, un altro grande classico di Aurora. Giallo come il sole d’estate: ananas in raviolo ripieno di ricotta, uvetta, pinoli e caviale di caffè Sidamo, una monorigine etiope. Il dolce e l’amaro, il vicino e il lontano, la cultura del raviolo e l’attrazione fatale per l’esotico. Mentre la piccola pasticceria dei due young chef inanellava baci di dama, praline al cioccolato bianco e frutti di bosco, gel di calamansi e panna montata, e “Kinder fetta al latte”. Versione mignon d’autore. 



Da annotare in agenda? La prossima cena a sei mani, domenica 24 novembre. Special guest: il giovane chef (classe 1990) Giacomo Lovato dello Snowflake, il ristorante gourmet dell’hotel Principe delle Nevi di Cervinia. 



Foto by NewsEventicomo Relazioni Pubbliche Consulting


2019-07-23T00:00:00+02:00

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