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IL "QUOTIDIANO" DI CRISTINA VIGGÈ

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Le degustazioni barbariche

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Birre ribelli ai dogmi e alle regole quelle di Klanbarrique. Birre coraggiose e guerriere, pronte a conquistare la terra di mezzo che sta fra luppoli e uva. Birre temerarie, fiere di cogliere la sfida nell’alta ristorazione.

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Tags: BirraFermentazioneVinoMarzeminoChefBirrificioBarrique

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Le degustazioni barbariche

Birre ribelli ai dogmi e alle regole quelle di Klanbarrique. Birre coraggiose e guerriere, pronte a conquistare la terra di mezzo che sta fra luppoli e uva. Birre temerarie, fiere di cogliere la sfida nell’alta ristorazione.

Testi Cristina Viggè

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Se la street art di Banksy approda al Mudec di Milano, per urlare una Visual Protest fino al prossimo 14 marzo, c’è un altro Banshy che si fa largo nella contemporaneità. Questa volta della ristorazione, fiero di lanciare il suo grido libero e selvaggio nell’arte della degustazione. Dove fanno la loro incursione una serie di birre ibride e ribelli, firmate Klanbarrique: il trentino opificio delle idee (con sede a Trambileno) voluto proprio da Banshy. Che altro non è che l’avatar di un bizzarro terzetto formato da Agostino Arioli, meticoloso ed estroso capitano del Birrificio Italiano di Limido Comasco, e da due affermati enologi quali il riflessivo Matteo Marzari (all’opera nell’azienda vinicola de Tarczal, a Isera, in Vallagarina) e lo scanzonato Andrea Moser (kellermeister della Cantina Kaltern, a Caldaro).


“Banshy è un barbaro”, spiega Agostino. Ma un barbaro senza tempo, antico e moderno, vitale e virtuale. “Perché ci piaceva dare a Klanbarrique una connotazione di fervore, ardore, ibridazione, potenza, sperimentazione”. Quasi a rammentare una terra costantemente da conquistare. Una wild zone, in cui la mancanza di cultura non si traduce in ignoranza, bensì in noncuranza: di regole, dogmi, stereotipi e cliché. A vantaggio di uno stato di incondizionata energia. Necessario per guardare oltre confine. Oltre il vino. Oltre la birra. Per dar forma a una nuova stirpe al bicchiere tutta da bere. 



“Il nostro progetto non è di integrazione. E neppure intreccio di know-how e conoscenze. No, no. Il nostro è uno scambio di visioni libere e aperte”, tiene a precisare mister Arioli. Incensando un osservare circolare. Anzi, ancor meglio: uno sguardo da fuori, che aiuta a trovare strade non ancora battute. E il ragionamento è semplice. “Perché io da birraio, posso immaginare cose che Andrea e Matteo non possono pensare. Imbrigliati nella loro prospettiva enologica. Così come loro possono vedere quello che io non riuscirei a notare, invischiato come sono nel mio mondo brassicolo”, Agostino docet. 



Da qui un magma incandescente di idee fluide e floride. Che hanno potuto generare birre barbariche. Oltraggiose e coraggiose. Irriverenti, rivoluzionarie, anticonformiste, estreme e immaginifiche. Spumantizzate e acide, maturate in botte e figlie del mosto d’uva o della frutta. Talvolta atipiche, ma indubbiamente adatte a misurarsi sul campo di battaglia del pairing con i piatti. Anche quelli gourmand. Firmati da Vittorio Tarantola, chef patron del ristorante (e della pasticceria) che ad Appiano Gentile porta il suo cognome e quello delle sorelle Amalia e Mara, con lui nell’avventura saporita. “Le ho provate a più riprese. Finché, una sera, sono riuscito a creare degli accostamenti dinamici e divertenti”, confessa Vittorio. Che ha presentato le sue creazioni al Birrificio Italiano - Milano, locale che nel frattempo ha compiuto un anno. “Abbiamo voluto sfruttare la maestria di Vittorio per valorizzare le nostre Klanbarrique”, dichiara soddisfatto Agostino. E l’audace esperimento ha riscosso ottimi consensi. 



Ecco dunque avanzare, fra lucciole fosforescenti, la “Inclusio Ultima”, una metodo classico non certo molto classica. Anzi, folle. E la follia sta nel mettere il luppolo (in pezzi) direttamente in bottiglia. Sì, insieme a lieviti e zuccheri. Per andare a formare il cosiddetto liqueur de tirage. Un dry hopping into the bottle, per capirci. Un imprigionamento in extremis. Un’aggiunta all’ultimo momento possibile. L’ultima possibilità concessa per cambiare rotta. Che poi segue il rituale della presa di spuma, del remuage e della sboccatura. “Per il momento la ricolmiamo con la Tipopils, ma in futuro, per il dosaggio, vorremmo utilizzare la birra stessa”, precisa Arioli. Nel nome della purezza. Una birra fresca e forte, ideale con il cotechino (by Marco d’Oggiono), crema di zucca delica cotta al forno, nuvola di patate bianche, scarola e lenticchie croccanti.




Ma poi arriva lei. Bella e selvatica. La “Wildekind”, ad alta fermentazione e d’ispirazione belga. Furba, scalpitante e spavalda, eppur invecchiata per un anno in barrique virtuose dell’aver custodito vini rossi trentini. Il tutto impreziosito dall’irruenza dei lieviti brettanomyces. Al palato, mela golden delicius e cereali. Anche se la dirompente parte vinosa non si tira indietro. Una birra funky, perfetta con un risotto: il carnaroli messo a puto da chef Tarantola, arricchito dalla birra wild, spolverato con cipria di barbabietola e pronto a celare, sul fondo, un travolgente blu del Moncenisio. Aromatico ed erborinato. 



E il metodo champenoise? Ritorna, nella "Padosè", che fa il verso alla Francia, esibendo un’innegabile personalità. Un’altra rifermentata in bottiglia, esuberante evoluzione della Cassissona, viste le importanti quantità di bacche di ribes nero (raccolte sopra Lecco) utilizzate nella sua produzione. Una birra che si ispira al Kir Royal, traducendosi in affascinante complice di un cervo irruente: al pepe nero con salsa speziata ai mirtilli e cipolla arrosto. 



Alta fermentazione e alta gradazione poi per la fantasmatica “Moonshare”. Vagamente in stile barley wine e decisamente lunatica. Anche perché a lungo affinata in botti (di ciliegio, rovere, frassino e robinia) dove ha prima riposato la grappa stravecchia “Le diciotto lune” della distilleria Marzadro di Nogaredo, in provincia di Trento. Una birra dorata carica, arrogante e folgorante, che parte dalla ramata “Sparrow Pit” del birrificio comasco per trasformarsi in altro. E per sposare il dolce di Vittorio: mela caramellata alle noci, gelato al formaggio di capra, spruzzata di “Diciotto lune” e panettone. Un dessert che forse voleva essere uno strudel? Forse. Invece è cresciuto e divenuto un piatto originale. 



Birre figlie di fermentazioni barbariche, che non si esauriscono qui. Contemplando pure la “Flos Alba”, di frumento, resa acida dall’azione naturale della microflora durante la sosta in botti da vino trentino. Una birra energica e profumata, realizzata con frutti di bosco, bergamotto, uva spina “e adesso anche rabarbaro”, annuncia Agostino. Rabarbaro coltivato da una giovane azienda quale Res Naturae, in quel di Introbio, nel Lecchese.



E ancora, la “Marzarimen”, italian grape ale creata con il 25% delle uve di marzemino delle cantine de Tarczal, fermentata in tonneau ed elevata in barrique; la "Portoghesa”, blend fra una imperial porter invecchiata in sigari da Porto e una birra acida con il 25% di ciliegie; la “Bang Bretta”, una ipa maturata in botti da vino con brettanomyces, fra note di vinaccia e sfumature balsamiche e amare; e la “Malmadura”, che in vernacolo trentino significa “uva non matura”. Che entra nel mosto della birra, insieme ai sui raspi. Verde e astringente come l’agresto, condimento medievale preparato con acini acerbi.     



E per chi volesse visitare l’headquarter di Banshy il barbaro? Si possono organizzare visite nella Barricaia, a sta a ridosso della Taproom. Felice di aprire le porte in occasione di visite guidate, eventi e… degustazioni barbariche.  



2018-12-03T00:00:00+01:00

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