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rinascita.

FUORI IL PROSSIMO
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Piero Gabrieli

2020-03-31T00:00:00+02:00

#dilloconpetra   Partecipa al sondaggio con 1 click 

 

Quasi un presentimento. Posso dirlo ora con il senno di poi. Poco più di un mese fa a Sigep (ma a ripensarci oggi sembra un'altra era), nello spazio di Petra, un bel gruppo di pasticcieri e pizzaioli si è fatto riprendere in brevi interviste per dire la propria su una parola estratta a caso tra 5 (empatia, rinascita, sogno, social, terra). In questa edizione di Sigep avevamo preferito organizzare un confronto di opinioni, piuttosto che un palco dove esibirsi e raccontare i propri prodotti. Un confronto di opinioni per lasciare una traccia del proprio pensiero come segno di percorsi nuovi da intraprendere nella ristorazione di qualità. È interessante ascoltare queste video-testimonianze, ora che tutti abbiamo il presentimento di cambiamenti radicali nei modelli di vita e di consumo del dopo-coronavirus. Oggi che viviamo con la sensazione del pericolo,  guardare oltre attraverso i desideri, i sogni e i progetti di chi, ancora pochi giorni fa, affrontava con fiducia il futuro, dà la forza per superare positivamente questa terribile emergenza per ripartire subito con più forza ed entusiasmo.

 

SFOGLIA DA SINISTRA A DESTRA

Piero Gabrieli
2020-03-13T15:38:15+01:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Alberto Di Michele: "Mare e Pizza sono Felicità"

Una storia di rinascite continue: dopo la scuola l'innamoramento per la pizza durante il servizio di leva, esperienze in giro per l'Europa come animatore nei villaggi turistici e poi l'approdo nella sua terra con l'idea di lavorare a stretto contatto con il mare. E così trasforma uno stabilimento balneare in una meta di appassionati di pizza contemporanea che lavora tutto l'anno, anche d'inverno quando le altre attività del lungomare chiudono. Una spinta continua a rinascere, nel lavoro e nella vita, con il desiderio di dare il meglio ai propri clienti.

La Pizzeria New Sporting di Alberto di Michele riaprirà a Montesilvano (Pescara). Intanto Alberto ci propone la ricetta della sua Pizza con ventricina vastese, crema allo zafferano di Navelli e rucola.


❓Cosa sta accadendo allo smog dopo giorni di emergenza virus❓
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Piero Gabrieli
2020-03-14T11:03:10+01:00

Screenshot da @SanGasso  - Leggi i tweet dell'autore

Contribuiremo a tenere bassi livelli di smog? 

Una notizia positiva sugli effetti collaterali dell'epidemia in corso: l'aria è più pulita, lo smog si dissolve. Una tragedia di proporzioni che rischiano di diventare epocali genera i presupposti per un ambiente di vita più sano. Sorprendente l'immagine superiore (ingrandimento del post a sinistra) dove il confronto è fatto tra due date pre-festive a distanza di 1 mese (sabato 8 febbraio e sabato 7 marzo) Ma saremo in grado, passata questa emergenza, di non ricadere completamente negli errori del passato? 

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Cristina Viggè
2020-04-09T16:19:27+02:00

Corrado Assenza a PizzaUp 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Ripartire dall'essere.

Per una rinascita bisogna cambiare paradigma. «Pensare agli altri come se stessi pensando a te». Corrado Assenza docet. Il dominus del Caffè Sicilia di Noto, in provincia di Siracusa, esorta a ripartire dalla società e dalle persone. O meglio, dal senso di un gesto, dalla microquotidianità, dalla microfiliera. Pronta a dare dignità al contadino e all’artigiano. Non dimenticando di «rimettere il cibo al proprio posto». Perché ogni pietanza ha un habitat naturale di consumo. Casa, ristorante o locale che sia. Nel nome della freschezza.

Corrado Assenza intervistato da Cristina Viggè in diretta Instagram.

Corrado Assenza: rimodulare il pensiero

Riflettere. Questo tempo atemporale ci ha regalato la possibilità di meditare, ragionare, valutare e considerare nuove eventualità. Ci ha dato l’opportunità di poter cambiare mentalità. Questo momento sospeso, mutevole, provvisorio, in precario equilibrio fra l’oggi e il domani ci ha guidato, in un modo o nell’altro, a cercare di trovare una nuova stabilità. Interna ed esterna. Ci ha condotto a una rigenerazione, fisica e mentale. Ci ha costretto a risintonizzare le priorità. Si tratta di quel meccanismo che va sotto il nome di omeostasi. “La natura non conosce regole ferree. La regola ferrea è che non c’è una regola ferrea. Non esiste il punto di equilibrio. Bensì l’equilibrio intorno a un punto”, spiega Corrado Assenza, il dotto patron del Caffè Sicilia di Noto.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


Che prende Petra Evolutiva proprio come exemplum di potenziale rinascita. Lei, frutto di un miscuglio di grani nato in Siria, rinato come popolazione in Sicilia e sublimato a farina in Veneto. Lei, capace di scardinare il concetto di monocoltura in agricoltura per sposare la cultura della diversità. Premiando in tal modo il lavoro e il sacrificio del contadino. Lei, figlia di grani differenti e resilienti. Che danno spighe alte e basse, chiare e scure. Fiere di supportarsi a vicenda, creando un tessuto dalle maglie talmente strette da non lasciare spazio ad erbe estranee, pericolose e infestanti. Spighe sapienti, che ogni anno devono saper mutare registro, adeguandosi a suolo e clima. Lei, una farina che cambia ad ogni annata, senza mai essere uguale a se stessa. Una farina da eleggere a modello di vita. E di una novella società. Abbandonando il comodo adagio del “si è sempre fatto così”. “Petra Evolutiva ha imposto un cambio di mentalità. Sia a chi molisce il grano. Sia a chi utilizza la farina per tradurla in pane, pasta, pizza e delizie di pasticceria”. E, forse, dovremmo prendere esempio da lei. Auspicando un nuovo rinascimento.


Il Caffè Sicilia di Corrado Assenza riaprirà a Noto (Siracusa). Intanto Corrado ci propone la ricetta della sua torta Nata d'Inverno, Rinata a Primavera.


❓Come coniugheremo passato, presente e futuro❓
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Cristina Viggè
2020-04-09T16:26:31+02:00

Foto di PIRO4D da Pixabay

Rivedi il video su la7.it

Sapremo riformulare il nostro tempo? 

Il futuro? Non sarà più dato per scontato. La memoria? L’avremo tatuata sulla pelle. E il presente? Forse impareremo a viverlo più intensamente. Lo scrittore Stefano Massini, in una puntata di Piazza Pulita (andata in onda su La7) ha snocciolato, come un rosario, le dieci cose che #fuoridalcovid non saranno più come prima. Dalla visione del mondo alla politica, dalla socialità alla circolarità. “L’altro giorno una persona mi ha detto: vedi ci sono gli alberi in fiore. Però non sembra nemmeno primavera. Ha detto una cosa vera. E ha a che fare con questa circolarità. Noi eravamo convinti di stare come dei criceti dentro la gabbia. Che corrono continuamente. Dentro un meccanismo che era sempre uguale. A un certo punto arrivavano i fiori sopra gli alberi e sapevamo che era primavera. Poi sarebbe finito piano piano l’anno scolastico. Allora arrivavano le vacanze. Dopo le vacanze, a settembre, si tornava sui banchi, e poi c’era quella breve parte di autunno e poi Natale. E dopo Natale tutto ricominciava. Tutto uguale. Adesso no. Adesso sappiamo che il meccanismo si può inceppare. Si può fermare”, dichiara Massini. Ecco, probabilmente è necessario rimodulare le nostre frequenze. E magari spogliarsi della fretta, per godere di quell’hic et nunc che troppo spesso aderisce superficialmente sulla nostra pelle. Proiettati come siamo costantemente in avanti. Solo così, forse, impareremo ad apprezzare il limbo dell’attesa, del durante, del mentre. Di quel sabato del villaggio cantato da Leopardi. E forse impareremo anche a fruire del passato in altro modo. Non riproponendo schemi visti e rivisti. Perché quegli schemi non andranno certo più bene. Bensì riformulando la memoria sulla base del presente. Assenza la chiama retroinnovazione. E mi sa che ha ragione.

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Cristina Viggè
2020-04-16T17:15:41+02:00

Antonio Pappalardo al Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Antonio Pappalardo e il rinascimento dei sapori

A 19 anni apre una cascina. O meglio, alza la saracinesca della sua Cascina dei Sapori, in quel di Rezzato. Corre il millesimo 2007 quando Antonio Pappalardo dà avvio alla sua avventura. Con coraggio, audacia e determinazione. Ma pure con tante perplessità. “Sì, all’inizio sono partito con molti dubbi. Che nel giro di due-tre anni ho dovuto obbligatoriamente risolvere. Mi sono accorto che la proposta non andava bene. Non c’era riscontro da parte della gente. E da lì è ricominciato il mio percorso. Fatto di studio e di ricerca. Degli ingredienti, delle farine e degli impasti”, spiega lui. Che di cambi di marcia ne sa qualcosa: visti i natali a Castellammare di Stabia, un bel po' di tempo vissuto in provincia di Napoli e infine l’adozione in terra bresciana.

Antonio Pappalardo con Carlo Passera. Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


Partenze e ripartenze. Nascite e rinascite. Scoperte e riscoperte. Un mestiere in continua evoluzione quello di Antonio. Pronto al confronto e anche al recupero di sapori dimenticati. Al fine di creare topping in perfetta sintonia con le basi, ma anche in armoniosa empatia con territori lontani e vicini. Un esempio? La valorizzazione della pecora gigante bergamasca. No, non un animale mitologico, bensì una carne buona e sostenibile. “Aveva rischiato l’estinzione. Quasi più nessuno la comprava. E invece, l’immigrazione e la religione musulmana, che non permette il consumo di maiale, hanno salvato questa razza pregiata. Che vanta carni magre e un gusto per nulla selvatico. Al contrario, delicato ed elegante”, commenta il pizza chef. Quasi a dire che, spesso e volentieri, una variazione nel contesto culturale e materiale della società possono portare a trasformazioni. E a nuove opportunità. Chissà, forse questo tsunami ci farà capire che l’erba del vicino (contadino) può essere sempre più verde. E saremo ben felici di coglierla.


La Cascina dei Sapori di Antonio Pappalardo riaprirà a Rezzato (Brescia). Intanto Antonio ci propone la ricetta della sua Pastiera napoletana.


❓Sapremo far luce sui prodotti poveri e dimenticati❓
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Cristina Viggè
2020-04-16T17:34:13+02:00

Foto della pizza di Antonio Pappalardo
con la pecora gigante bergamasca by Enrica Guariento

Leggi gli articoli su identitagolose.it e su reportergourmet.it

Diremo tutta la verità del cibo? 

Lungo L’Argine a Vencò, Antonia Klugmann raccoglie le erbacce. No, non le erbe aromatiche. Bensì le erbacce selvatiche e selvagge. Quelle indigene ed endemiche, nate e cresciute spontaneamente in un determinato luogo. Lì e solo lì. “Sono strepitose, meglio di un’insalata”, spiega la chef triestina - ma di stanza nella goriziana Dolegna del Collio - in una bella diretta Instagram con Paolo Marchi (e in questo articolo su identitagolose.it). E anche su reportergourmet.it lo chef belga Christophe Hardiquest - stellato dominus del Bon Bon di Liegi - dichiara: “Dobbiamo cucinare ciò che abbiamo di fronte e tornare a cose semplici, favorendo la filiera breve. Il prodotto sarà migliore e più bello se utilizzato nella sua regione e nella sua stagione. Si può essere creativi anche senza disporre di 400 prodotti disponibili tutto l’anno. Dobbiamo imparare di nuovo a dare valore al fegato di pollame, a preparare le casseruole, a cucinare una coda di bue”. Ma non finisce qui. Davide Oldani, patron del D’O di Cornaredo, pensa a una cucina del futuro meno cervellotica ed esclusiva, e più inclusiva. Fatta per avvicinare e mettere a proprio agio il commensale. E pure Eugenio Boer accende i riflettori sul Bel Paese. E post lockdown, per il suo salottiero [bu:r] milanese, ha già pronta una proposta-inno al tricolore. “Scelgo di onorare la mia terra, anche se sono orgogliosamente di sangue olandese. Scelgo di essere patriottico perché voglio che la nostra Italia torni a splendere nella bellezza delle sue opere e di chi la vive”, ammette lui. Che già svela un piatto prossimo venturo: Una cima alla genovese ma non troppo. Una ricetta della tradizione ligure: presentata visivamente come se fosse un nipponico roll, ma fiera, nella sua interiorità, di valorizzare solo ingredienti nazionali. Così come il burro, un grande must del [bu:r], non verrà più dalla Normandia, ma dalla Lombardia. Anzi, da una cascina fuori città. Il monito è dunque quello di tornare a una cucina sincera, capace di emozionare e di stupire. Dicendo sempre la verità. Il resto? Lo faranno la sala e un rinnovato calore familiare. Come ben spiega Carlotta Perilli, compagna di Eugenio e maître: “Le mascherine copriranno i nostri sorrisi, ma la passione e l’amore per ciò che facciamo si leggerà dai nostri occhi”.

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Cristina Viggè
2020-04-20T15:15:36+02:00

Carmen Vecchione a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Carmen Vecchione: “Riaccendere un altro interruttore”

È nata. Rinata. E rinascerà. Carmen Vecchione, millesimo ’74 e la verde Irpinia nel sangue, non si è mai seduta sugli allori. Neppure su quelli della laurea in Economia e Commercio. Tant’è che dopo alcuni anni da commercialista decide di cambiare strada. Completamente. Andando a lavorare al fianco dello chef Lino Scarallo, nel ristorante avellinese La Maschera. “Poi però mi sono appassionata alla pasticceria. Trovo che mi somigli caratterialmente. Perché è programmatica, rigorosa. Come sono io”, spiega Carmen. Che così riscopre il lievito madre. “Nella casa dei miei nonni, che avevano un’azienda agricola, il lievito da riporto per il pane era cosa normale. Noi bambini sentivamo sempre il suo profumo. Così quando mi sono riavvicinata a lui, anche grazie a Rolando Morandin, mi è sembrato un elemento a me familiare”, ribadisce la pastry chef. Capitana della pasticceria Dolciarte di Avellino. “Ecco, in questo periodo di chiusura forzata, dopo un attimo di immobilismo, è stato proprio il lievito madre a ridarmi l’energia. Il fatto stesso di doverlo rinfrescare, di doverlo nutrire e tenere in vita mi ha fatto sentire di nuovo viva e utile. Però me ne avanzava sempre molto. Allora ho deciso di donarlo. Un pezzetto per ciascuno. Ogni giorno, lo metto nei sacchetti e lo posiziono fuori dalla porta del laboratorio. Che sta a cinquanta metri da dove abito. Mi basta sentire il rumore della carta e so già che qualcuno lo sta prendendo per portarlo a casa sua. E questo mi rende estremamente felice”.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Intanto? Pulisce. “Ho tirato a lucido il laboratorio”, dichiara soddisfatta. Ma il suo rassettare non è un semplice spolverare e riordinare. “Questa potrebbe essere l’occasione per resettare, azzerare e ricominciare. Seguendo un nuovo modo di ragionare. Magari tagliando, anche se con un po’ di malinconia, i rami secchi. Intendo linee di produzione ormai obsolete. Che non danno più soddisfazione. Per idearne delle altre. Fresche e diverse. Certo, è necessaria una buona dose di spirito critico. Ma si può spegnere l’interruttore. E riaccenderne un altro. Senza cambiare identità. Perché la mia pasticceria rimane la mia pasticceria. Ogni dolce, ogni minimo dettaglio è studiato con cura. Qui ci sono solo prodotti creati da me”, continua Carmen. Che non dimentica il suo essere irpina. Il suo far parte di un territorio generoso. Capace di regalare eccellenze quali la cipolla ramata di Montoro, la castagna di Montella, la mela annurca e la nocciola mortarella. “Io ci tengo alla tradizione. Il mio è più un rinnovare forme e consistenze”. Sì, ci si può reinventare senza cambiare se stessi.


La pasticceria Dolciarte di Carmen Vecchione riaprirà ad Avellino. Intanto Carmen ci propone la ricetta dei suoi Plum-cake alla ricotta e mele annurche.


❓Sapremo accendere nuovi interruttori❓
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Cristina Viggè
2020-04-20T15:52:14+02:00

Foto di Capri23auto da Pixabay

Leggi l'articolo su gastronomika.it by linkiesta.it

Sapremo reinventarci?

Tagliare i rami secchi. Per farne crescere di nuovi. Sfoltire per rinforzare. In vigna si attua il diradamento per ottenere grappoli più vigorosi, migliorando la qualità dell’uva e del vino. Verrebbe da pensare: perché non approfittare di questo momento per risintonizzare, riformulare, riorganizzare, riprogettare la propria attività? Ricominciando in un altro modo. Oppure non cambiando quel che si faceva, ma rimodulando la strategia. O ancora, aggiungendo un quid diverso. Perché diversi saranno i camportamenti, i bisogni e le esigenze della gente. In questo bell’articolo di gastronomika.it (il nuovo magazine quotidiano diretto da Anna Prandoni, all’interno de linkiesta.it), Fabio Tammaro, napoletano adottato da Verona e capitano dell’Officina dei Sapori, racconta la sua personalissima idea di delivery. Che mira a mantenere e a non snaturare l’identità del suo ristorante marino, che rimane e rimarrà quel che è già. Come? Creando due spin-off, o meglio, due “virtual brand” (come li chiama lui) delivery oriented, capaci di colpire due target differenti. Uno più pop e uno top. Senza minimamente intaccare il bacino di utenza principale del locale. Geniale. Ma il pensiero corre anche anche a chi ha voluto rafforzare (o realizzare ad hoc) un e-shop. “Ora mi arrivano gli ordini persino da Milano. Chi l’avrebbe mai detto”, commenta Paolo Brunelli dal suo headquarter di Senigallia. Paolo che ha stretto pure un “patto” con Alessandro Coppari di Mezzometro, dando vita a un’italianissima combo di consegna a domicilio: pizza + gelato. Certo, l’unione fa la forza. Anche fra artigiani differenti. E poi? C’è persino chi ha un’idea brillante. Come Marco Zorzettig, friulano imprenditore del vino e della birra. Alla guida delle aziende Altùris e La Tunella, nonché produttore della birra agricola artigianale Gjulia. Ebbene, in tandem con Gimmi Bodigoi, titolare dello Studio SBengineering (sempre a Cividale del Friuli), ha dato forma a TAACfatto®. “È una colonnina alta circa 1,70 metri e larga circa 35 centimetri, che può essere posta all’ingresso di qualsiasi esercizio pubblico ed è in grado di misurare, in pochi istanti, la temperatura corporea di una persona. Basterà solo guardare il display e in un istante verrà rilevata la temperatura. Se quest’ultima risulta inferiore ai 37,5 gradi si visualizzerà il semaforo verde di libero accesso ma se è superiore la macchina trasmetterà un segnale acustico e luminoso al cliente, ma anche al personale della sala mettendoli così in allerta”, spiega il visionario Marco. Intanto, Piero Gabrieli, direttore marketing di Molino Quaglia, propone un corso digitale, in una “vera” aula virtuale e interattiva, per meglio comprendere un mercato dallo scenario tutto nuovo. Perché alla ripartenza tutto sarà differente. Dalla prossemica alla percezione, dalle aspettative all'emozione. E bisogna avere gli strumenti giusti.

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Cristina Viggè
2020-05-23T16:28:34+02:00

Tommaso Cannata a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Tommaso Cannata: il rinascimento del fornaio

“Questo periodo l’ho definito del doppio occhio. Grazie ai social tu potevi guardare tutti. Ma venivi pure osservato. Il bello? Che è stata un’occasione per capire e riscoprire il valore del pane. Sì, gli italiani si sono riavvicinati al pane. Che finalmente è tornato a essere protagonista nelle case. Non dobbiamo lasciarci sfuggire questa opportunità. Che va coltivata, annaffiata, alimentata”, spiega Tommaso Cannata. Un fornaio, come ama orgogliosamente definirsi lui. “I fornai devono riprendersi il loro spazio. Si devono rimpossessare del loro mestiere. Perché il pane lo fanno loro. Un tempo, in ogni paese, il dottore, il farmacista e il fornaio erano un punto di riferimento. Ecco, dovremmo tornare ad esserlo, creando un movimento forte e coeso. Pensare che qui a Messina esiste persino la Confraternita di San Sebastiano dei Fornai. E nella chiesa di San Francesco dei Mercanti abbiamo un’antica statua lignea dedicata al santo. Ogni terza domenica di gennaio andiamo a far benedire il pane”, racconta lui. Fiero patron della Boutique del Pane a Messina (sua città di origine) e anche alla guida della sicilianissima bakery I Compari a Milano. In un fertile andirivieni fra Trinacria e Lombardia. Non dimenticando mai panini e pagnotte. E neppure il lievito madre: battezzato Turi. “Salvatore, come mio padre e come mio figlio”.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Pane. Ma anche terra. “Nella zona di Raddusa ho opzionato otto ettari di campi di grano. Specialmente evolutivo ma anche maiorca”, continua Cannata. Uno dei fondatori di Simenza, la cumpagnìa siciliana sementi contadine presieduta da Giuseppe Li Rosi. “Simenza è un’associazione che ha fatto crescere tante piccole aziende. Dando linfa ed energia. Io, nelle mie produzioni, cerco di valorizzare tutta la filiera: dalle arance ai carciofi, dalle mandorle ai formaggi e salumi”, precisa Cannata. Che concentra il rinascimento siciliano nella focaccia messinese, nel pane cunzatu, nel pitone (sorta di calzone-panzerotto ripieno), nella brioche col tuppo, nei fagottini di mele (dell’Etna) e noci (dei Nebrodi), nonché nell’arancino. Made in Sicily dalla pelle al cuore. Vista la panatura a base di grani originari e il riso carnaroli semintegrale dell’Agribioconti, l’azienda agricola di Nello Conti. Che conta vaste risaie nella Piana di Catania. Per non parlare della tuma, del ragù, dell’olio extravergine, degli ortaggi e dello zafferano. Quello ennese delle Sorelle Turco.

La Boutique del Pane di Tommaso Cannata è aperta a Messina. I Compari - Sicily for Life riapriranno a Milano. Intanto Tommaso ci propone la ricetta della sua focaccia messinese con Petra Evolutiva, scarola, tuma, pomodori e acciughe.


❓Riusciremo a ridar valore al pane❓
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Cristina Viggè
2020-05-23T16:59:52+02:00

Photo courtesy by Peck

Leggi l'articolo su econopoly.ilsole24ore.com

Grazie ai nuovi saperi, daremo lustro ai vecchi mestieri?

Un tempo c’era il garzone di bottega. Giovane factotum con il compito, fra i tanti, di consegnar la spesa a domicilio. Ora c’è il rider, pronto a correr rapido - generalmente in bici o in motorino - per recapitare a casa il cibo tanto desiderato. E spesso ordinato attraverso piattaforme quali Delivery, Glovo, Just Eat o Uber Eats. Un fattorino? No, molto di più. Una figura professionale dalle grandi responsabilità, che andrebbe tutelata e valorizzata. Ora che è tornata (quasi) indispensabile. Ma molti sono gli antichi mestieri tornati alla ribalta. Pur con gli opportuni aggiornamenti. Pensiamo all’agricoltore (ora è un vanto esserlo), al panificatore, all’artigiano, all’infermiere. Abbiamo riscoperto il valore del ben fare. Meglio se con le mani. Anche le gastronomie sono tornate in auge. Pure con qualche valido upgrade. A Milano, in piena pandemia, è nata Via Archimede - Gastronomia di Quartiere, con tanto di ghost kitchen e piatti buoni e concreti. Il brand Giacomo ha aperto Giacomo Gastronomia in piazza Amendola 1 (angolo via Previati). Un progetto già in cantiere, accelerato dall’emergenza Covid-19, per poter servire anche la zona ovest della metropoli.   Mentre in Sottocorno 36 resta attiva più che mai la Rosticceria, con corredo di garden. Così come in super forma resta Peck, un’icona, un cult, la gastronomia di lusso per antonomasia. Una e trina: il tempio di via Spadari 9, in pieno centro; lo spazio in CityLife (Piazza Tre Torri), pensato per mangiare in una gastronomia; e il negozio - aperto quasi un anno fa - in Porta Venezia, per offrire un’esperienza quotidiana “sotto casa”.


Uno dei food box di Retrodelivery.it


E a Roma? Roscioli resta un must, tra formaggi, salumi, oli, salse, mieli, aceti e condimenti. Ma avanza pure RetroBottega, la creatura degli chef Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice, posizionata tra piazza Navona e il Pantheon. Un’insegna poliedrica, che presto si è andata completando con RetroPasta, lab di pasta artigianale (sia da asporto che da consumo in loco, a pranzo), e RetroVino, modernissima vineria alternativa. Una realtà iper dinamica, che ha appena lanciato il canale Retrodelivery.it, pronto a raccogliere in un clic tutto il mondo "Retro" by Miocchi-Lo Iudice. Godendo anche della partnership con Roscioli. Una vera e propria dispensa virtuale e virtuosa. Perché in grado di dar valore a una lunga filiera di casari, allevatori, macellari, viticoltori e produttori di frutta e verdura. Creando una rete etica di economia sostenibile. Senza dimenticare la creatività dei due cuochi, concentrata nei food box: kit ad hoc (con allegate le istruzioni) per preparare at home prelibatezze d’autore. Dal burger al sandwich, dalla cacio e pepe all’amatriciana, dal vitello tonnato agli gnocchi al burro e alici, dai plin alle erbe spontanee fino ai tortellini ppp. Piselli, pastrami e panna. Classicissimi e contemporanei.

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Cristina Viggè
2020-06-11T14:58:19+02:00

Mario Bacilieri a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Mario Bacilieri: le relazioni meravigliose

“In questo periodo mi sono ricaricato e rigenerato tanto. E ho imparato tanto. Ritrovando la mia dimensione. Sia dentro di me sia nelle relazioni con i miei collaboratori e i miei familiari. Ho avuto la possibilità di vivere per ben tre mesi con i miei figli Rachele e Riccardo, cosa che non era mai successa, e con mia moglie Roberta. Anche se lei, lavorando all’ospedale di Saronno, è stata davvero in prima linea. Così ho imparato ad ascoltare le loro esigenze. E loro a capire le mie. Un’esperienza davvero bellissima, straordinaria. Tornassi indietro direi: meno male. Sì, ho preferito non seguire la tivù, per concentrarmi più sui rapporti umani. Quelli sinceri, veri, essenziali. Quelli con la mia famiglia e con i miei dipendenti. Loro sono fondamentali. Ho capito che il faccio tutto io non ha proprio più senso. Tu da solo non puoi farcela. Ma insieme agli altri sì. E loro si sono dimostrati all’altezza. Anzi, Rachele, che si è appena laureata, ora ha iniziato a lavorare in pasticceria, al bancone. Mentre Riccardo è sempre concentrato sul cioccolato”. A parlare, fiero e felicissimo, è Mario Bacilieri, saggio patron della dolce insegna che, in quel di Marchirolo (Varese), porta il suo cognome. In un monolite di granito bianco, nutrito dal vetro, dal ferro, dal legno, dall’acciaio e dall’ardesia asiatica. Ma pure dall’arte e da mille idee.

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


“Tra l’altro ho approfittato di questo periodo di lockdown per sistemare il negozio. Ho comprato nuovi tavoli. Grandi. Adesso ci stanno quattro persone, ma un domani ce ne potranno stare addirittura dodici. In modalità condivisione. Ho cercato di rivoluzionare lo spazio, investendo sul futuro. Perché bisogna sempre proiettarsi avanti. E poi noi siamo amanti del bello. E abbiamo scelto gli arredi seguendo il nostro gusto. Perché alla fine devi regalare un’emozione”, continua Mario. Che ha sempre gettato lo sguardo oltre. Inanellando una serie di esperienze: a Varese, Lavena Ponte Tresa, Luino e Cuveglio. Per poi approdare a Laveno Mombello e infine qui. Anzi, no. Nello stabile accanto. Per poi inaugurare (nel 2012) i luminosi ambienti del suo headquarter. “Sì, io guardo sempre avanti. Ma ho anche compreso quanto serva voltarsi indietro. Per esempio, ho assaggiato con più calma i nostri biscotti e mi sono detto: ma sono fatti bene. Ecco, finalmente ho compreso che anch’io ho qualcosa da dire. Mi sono rafforzato interiormente. Perché quel che conta è la mente. È essere vivo e propositivo con la testa”. Una vera rinascita quella di Bacilieri. Che intanto si fa sempre più digitale. “Certo, abbiamo introdotto il menu con il QR code. Noi le cose nuove le proviamo e poi valutiamo. Ma se non provi non puoi capire”. Del resto, è solo grazie alla sperimentazione che s’imbocca la via dell’evoluzione.

La Pasticceria Bacilieri di Mario Bacilieri ha riaperto a Marchirolo (Varese). 


❓Sapremo ancora costruire rapporti veri e sinceri❓
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Cristina Viggè
2020-06-11T17:14:20+02:00

La rana pescatrice con yogurt e rapa rossa de Il Moro di Monza

Leggi l'articolo su cucina.corriere.it

La famiglia: una nuova risorsa?

In tempo di lockdown abbiamo riaperto le porte di molte relazioni. Quelle con la famiglia anzitutto. Riscoprendoci più vicini a chi da sempre ci sta vicino, ma vuoi per lavoro, vuoi per mille altre ragioni e distrazioni, spesso percepiamo a distanza. Sì, abbiamo riscoperto il senso dell’unione, dello stare insieme e del condividere idee e progetti. Anche molto ambiziosi. È il caso di Carlo Cracco, che decide di ripartire dalla ruralità, coinvolgendo la moglie Rosa Fanti - sempre al suo fianco anche nell’eclettica proposta milanese - nella gestione dell’azienda agricola acquistata a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini. Creando così un filo green tra il “figlio” in Galleria Vittorio Emanuele II e la campagna romagnola. Ma anche offrendo a Rosa un nuovo incarico. E un nuovo canale d’espressione a tutto il gruppo. Che va dal digitale dell'e-shop all’analogico abissale del metter le mani nella terra. Dove torna pure Francesco Martucci, che presto si dividerà fra I Masanelli casertani e la new Pizza Farm dell’agriturismo Posta Mangieri, nell’Alta Murgia. Zona natìa della sua amata Lilia Colonna. Naturalmente in prima linea nell'avventura pugliese, insieme ad altri famigli, proprietari della struttura: Rossella Mastromauro e Cataldo Ferri. 


Da sinistra a destra: Vincenzo, Salvatore e Antonella Butticè

I fratelli Butticè

E i Butticè? I bros siciliani (di Raffadali, nell’Agrigentino) Antonella (la maître), Salvatore (lo chef) e Vincenzo (il regista manager), trapiantati a Monza e da anni alla guida de Il Moro, rafforzano e rinsaldano la loro voglia di fare e sperimentare. Dando vita ad altre “figlie”. Voilà La Bottega de Il Moro (sempre in via Gian Francesco Parravicini 44), formula take out - con tanto di estensione delivery e app (per iOS o Android) per tenersi aggiornati - dell’insegna di fine dining. O meglio, come ben si legge sulla pagina Facebook, traducendo concretamente il concetto: “ordina, passa e mangia dove, quando e con chi vuoi tu”. Motto che vale anche per Atrattoria, che intanto ha preso forma in via Vittorio Emanuele 36 - sempre nella città della Corona Ferrea - proponendo una cucina ancor più schietta e genuina. Fra paccheri ai gamberi e pomodoro, lasagne al ragù di tonno, caponata, parmigiana di melanzane e pesce spada alla messinese.


Cristina Viggè
2020-06-23T13:15:09+02:00

Lo chef Alberto Gipponi, patron del ristorante Dina, nella bresciana Gussago

Alberto Gipponi: la cucina di domani. Se non prima

Mani. Mani che toccano, gesticolano, fanno, creano. Si feriscono, si scottano, bruciano. Tutta colpa dell’aria. Del fuoco, dell’aria e dell’olio bollente. Tutta colpa del destino. Quel venerdì 17 novembre 2017. A poche ore dall’apertura ufficiale del Dina. Nella brescianissima Gussago. Sulla strada del Franciacorta. Ma Alberto Gipponi non molla. Ci crede e non molla. Dina nasce e lui? Rinasce con lei. Più forte di prima. Diverso da prima.

Alberto Gipponi: mani, testa e cuore

Alberto. In tasca: una laurea in Sociologia. In testa: la cucina. Fra le mani: un mondo da costruire. Che lui pian piano costruisce. Pezzo dopo pezzo. Passando per il friulano Orsone by Joe Bastianich. Per poi approdare nel vicino ristorante Da Nadia di Erbusco e far tappa all’Osteria Francescana di Massimo Bottura. Intesse la tela Gipponi. E poi la disegna, chiamandola Dina. Come la nonna materna. Mentre all’ingresso urla forte e chiaro il suo mantra, nutrendolo di energia (al neon): “Until then if not before”. Mutuandolo direttamente dall’artista inglese Jonathan Monk. E palesando uno spirito in perenne fermento, nella calma apparente. Un’anima da Cime Tempestose, sotto una pelle “trasformata”.

Alberto Gipponi - Foto di Lido Vannucchi

“In questo momento non mi lamento. Va molto meglio di quanto avessi immaginato. Ma ci sono importanti cambi nella brigata. Che sto affrontando con assoluta serenità. Io ho ben chiari i miei obiettivi e li ho condivisi con i miei ragazzi. Ho detto tranquillamente: la vita è una. Sia per me sia per voi. Non vi è tempo da perdere, né per me né per voi. Voglio solo gente che abbia voglia di concentrarsi e portare avanti questo progetto. Il risultato è stato che chi è rimasto ha davvero cambiato mentalità. E chi non se la sentiva se n’è andato. Il mio sous-chef, Gian Nicola, è tornato in Sardegna. E con lui la sua compagna, la capo partita degli antipasti. Perché ho tanti limiti, ma credo di saper usare bene le parole. Per guidare le persone a fare le proprie scelte. Liberamente. Senza costrizioni. Ecco, oggi va tutto meglio. Chi è qua ha i miei stessi principi e obiettivi”, spiega Gipponi. Raccontando l’ennesima rinascita del Dina.

La sala Laboratorio - Foto di Chiara Pesciolino

Una brigata coesa. Una squadra nella quale poter credere. Un gruppo di cui fidarsi e al quale affidarsi. Anche e soprattutto riconoscendone il valore. “Certo. Chi ha valore deve saper riconoscere e celebrare il valore dell’altro”, precisa Alberto. Dando fiato a un pensiero alimentato da una profonda sensibilità e da una sincera generosità. “Non posso mettere confini al sogno e così mi figuro che i cuochi italiani si riconoscano, vedano il valore l’uno dell’altro, senza timore. Senza paura di essere messi in ombra, senza angoscia di perdere il podio, la luce delle scene, senza il graffio dell’invidia. Lo dico quasi da genitore, senza fronzoli, con verità, chi ha figli o è figlio lo sa. Sentir riconoscere il proprio valore è come innaffiare un seme. Mettere a fuoco se stessi attraverso gli occhi, le parole, il riconoscimento dell’altro è germogliare, crescere, gemmare”, scrive Gipponi sul numero 26 di Cook_inc. (ma consiglio di leggere il testo integrale, anche online cookinc.it), l’unconventional magazine diretto dalla brava Anna Morelli.

Alberto Gipponi concentrato sulla preparazione dei casoncelli

I casoncelli di carne e grana padano by Alberto Gipponi

Indomito Alberto. Che, fra bianco, luce e ombra, fra la quiete del legno, la ruvidità della pietra e l’esuberanza del colore, infila la sua filosofia. Intrepida e scalpitante nel suo osservare un domani che vorrebbe fosse già oggi. La sua mission? Quella di dar voce a un movimento della cucina italiana. Scevro da egoismi, individualismi e campanilismi. Un nuovo umanesimo? Un nuovo rinascimento? Forse. Chissà. Forse sarà necessario un manifesto. Forse una codifica delle tecniche made in Italy. Forse un po’ di coraggio. Forse basterebbe davvero ascoltare, ascoltarsi e riconoscere quel quid dell’alter.  


Alberto Gipponi - Foto di Pietro Lazzarini

Intanto? Lo chef propone la sua tasting compilation. Spaziando da Jagged Little Pill (terzo album di Alanis Morissette) ad Appetite for Destruction (il primo album in studio dei Guns N’ Roses) sino a Nevermind (il secondo album dei Nirvana). Anche se il nirvana lo fa raggiungere lui al commensale. In un’ascesi spirituale che dalle cozze, aglio dolce, caffè e balsamite raggiunge il climax nel latte e brodo di fieno. Dessert pronto a mettere il punto a una serie di pietanze che - in carta - finiscono con la virgola. In una sintassi culinaria in grado di dar forza alla singola vivanda, conducendo all’assaggio di quella successiva. Gipponi e il lògos fluido, liquido e consequenziale dell’assaggiare.

Il ristorante Dina di Alberto Gipponi ha riaperto a Gussago (Brescia). 


❓Sapremo anche dar senso a un luogo❓
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Cristina Viggè
2020-06-23T14:14:01+02:00

Isola La Certosa, Venezia

Leggi l'approfondimento su nonsprecare.it

Sapremo recuperare il lògos di un luogo?

Ex. Particella latina, pronta a indicare una qualifica, carica o condizione avvenuta in precedenza. Una sorta di prequel della situazione attuale. Spesso con valore velatamente negativo. A torto. In quell’ex si cela e si celebra l’origine, la radice, la storia, il passato. Di un oggetto, una persona o addirittura un luogo. Sì, un luogo. Perché anche i luoghi nascono, muoiono e rinascono. Recuperando il loro senso perduto nel tempo, oppure divenendo altro. Basti pensare a Molino Quaglia. Il vecchio impianto si è trasformato in uno spazio di formazione in perenne evoluzione. Fiero di ospitare aule e laboratori, corsi ed eventi, Università della Pizza e della Farina.

L'Hostaria in Certosa

Alberto Sonino, Michele Pozzani, Raffaele Alajmo, Silvio Giavedoni e Massimiliano Alajmo

Due architetti, Michela De Poli e Guido Incerti, nel volume Atlante dei paesaggi riciclati (edito da Skira), analizzano più di cinquanta progetti di rinascita e riqualifica ambientale ed economica. In giro per il mondo. Nel segno del non spreco e della rinascita. Intanto? Proprio in Italia, nella Laguna veneta, l’Isola della Certosa è oggetto di un interessante e sostenibile programma di rigenerazione urbana, firmato Vento di Venezia, la società fondata da Alberto Sonino. Che, in un tandem publico-privato col Comune di Venezia, ha bonificato l’isola e sublimato l’ex stabilimento industriale militare in un parco naturale. Perfetto per passeggiare nel verde, ma anche per attraccare la propria barca o il proprio yacht. Il Venezia Certosa Marina, infatti, è un porto sicuro. In tutti i sensi: una iper attrezzata darsena da diporto, pronta a garantire oltre trecento ormeggi. Con corredo di albergo, attività artigianali di costruzione e riparazione delle unità navali, scuola nautica, ship chandler e noleggio di kaiak. Il tutto incastonato come un cameo fra il Lido, Le Vignole e il centro storico della Serenissima.

Gli esterni dell'Hostaria in Certosa, sul finir del pontile del vaporetto

Il barman Lucas Kelm, il manager Michele Pozzani e lo chef Silvio Giavedoni

Una vera oasi La Certosa. Che ora diviene ancor più preziosa, grazie allo sbarco ufficiale del gruppo Alajmo. Naturalmente in collaborazione con la realtà VdV by Sonino. Ecco dunque il nuovissimo pop-up estivo del grande team capitanato da Massimiliano e Raffaele: l’Hostaria in Certosa. Aperta sette giorni su sette, dalle 9 del mattino a mezzanotte. Per passare dal cappuccino al tramezzino, dal pranzo allo Spritz, da un gelato soft a un dopocena a ritmo dei cocktail preparati dal bartender Lucas Kelm. “È una storia incredibile. Fino a sabato 25 aprile alle 9 del mattino non esisteva nemmeno l’idea, poi mi arriva un sms di Alberto Sonino e da qui ha inizio il concept di un nuovo format, un locale che nasce anche dal contributo delle idee di molti del nostro staff, animati dalla voglia di ripartire, di far rivivere Venezia, di animare la laguna ed accogliere i nostri ospiti”, svela Raf. Raccontando la genesi di uno spazio che si snoda alla fine del pontile del vaporetto. Fra dentro e fuori. Fra lounge e salottini. Rivelando i tratti easy di un'insegna votata al mare. Persino nelle divise del personale, realizzate con materiali tecnici, che ricordano quelle utilizzate dagli equipaggi degli yacht. Mentre i tavoli vengono sfiorati dalla brezza della luce delle lampade di Davide Groppi. 


Le seppioline alla griglia con polenta

Lo scartosso di calamari, cipolla e fiori di zucca

Le linguine al burro bavarese e acciughe del Cantabrico

Il sandwich del timoniere

Gli spaghetti alle vongole con aglio, olio, peperoncino, sedano e pomodoro

“Il desiderio di ritrovarsi in un ambiente libero, in mezzo alla laguna, ci consente di proporre una cucina facile, immediata, comprensibile, che rassicuri tutti i palati e che racconti, attraverso la semplicità, la bellezza del nostro territorio, commenta Max. Quindi? Moscardini all’aglio, olio, limone e prezzemolo con patate bollite; seppioline alla griglia con polenta; e scartosso di calamari, cipolla e fiori di zucca. E ancora, vitello in salsa tonnata con fagiolini e capperi all’aceto balsamico; sandwich del timoniere; e faraona alla salvia e rosmarino allo spiedo. E per chi ama le verdure? Insalata di melone, anguria, cetrioli, sedano e basilico; riso bianco e nero con curry, peperoncino, curcuma verdure estive e passata di carote; e parmigiana di melanzane MariaPia. Non trascurando i dolci, messi a punto nel MammaRita Lab, come la Torta Venezia, la Torta Leone (virtuosa di cioccolato fondente e della birra Leön by Teo Musso, patron di Baladin), nonché la Focaccia Mediterranea all’olio extravergine di oliva, con origano, capperi, olive, peperoncino e limone canditi. Invece, per chi volesse mangiare in barca, è disponibile un comodo servizio di takeaway.


Echos porta la musica fra i paesaggi artistici dell'Alessandrino - Foto di Giulia Sirolli




E poi? Ci sono i luoghi dimenticati e ritrovati. Anche grazie alla musica. Come ben fa il festival internazionale Echos, giunto alla sua 22esima edizione, grazie all’Associazione Musicale Ondasonora e alla direzione artistica di Sergio Marchegiani. Mission? Accendere i riflettori su chiese, chiostri, pievi, torri, ville e castelli dell’Alessandrino, trasformandoli da luoghi silenziosi in luoghi social. Nutriti dalle relazioni e dalla creazione. Palcoscenici aperti e democratici, fieri di ospitare una serie di concerti, dal 24 luglio al 12 settembre. Di cui due eccezionalmente in streaming: dalla Pinacoteca dei Frati Cappuccini di Voltaggio e dall’Abbazia Cistercense di Rivalta Scrivia. Una meticolosa opera di decentramento culturale, capace di dar voce a "paesaggi" artistici. Persino attraverso i suoni di pianoforte e violoncello, tromba e flauto, fisarmonica e sax.



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INDICE

Alberto Di Michele e i suoi ricominciamo

Il calo dello smog

Corrado Assenza e il cambio di marcia

Passato, presente, futuro

Antonio Pappalardo: ripartenze e riscoperte

La verità del cibo

Carmen Vecchione e il rewind 2.0

Resilienza e azione

Tommaso Cannata: terra, grano, pane

Il ritorno del ben fare

Mario Bacilieri: una nuova dimensione

Radici, affetti, progetti

Alberto Gipponi: il valore dell’altro

Rigenerando il paesaggio

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INDICE

Alberto Di Michele e i suoi ricominciamo

Il calo dello smog

Corrado Assenza e il cambio di marcia

Passato, presente, futuro

Antonio Pappalardo: ripartenze e riscoperte

La verità del cibo

Carmen Vecchione e il rewind 2.0

Resilienza e azione

Tommaso Cannata: terra, grano, pane

Il ritorno del ben fare

Mario Bacilieri: una nuova dimensione

Radici, affetti, progetti

Alberto Gipponi: il valore dell’altro

Rigenerando il paesaggio

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rinascita.

FUORI IL PROSSIMO
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Piero Gabrieli

2020-03-31T00:00:00+02:00

#dilloconpetra   Partecipa al sondaggio con 1 click 

 

Quasi un presentimento. Posso dirlo ora con il senno di poi. Poco più di un mese fa a Sigep (ma a ripensarci oggi sembra un'altra era), nello spazio di Petra, un bel gruppo di pasticcieri e pizzaioli si è fatto riprendere in brevi interviste per dire la propria su una parola estratta a caso tra 5 (empatia, rinascita, sogno, social, terra). In questa edizione di Sigep avevamo preferito organizzare un confronto di opinioni, piuttosto che un palco dove esibirsi e raccontare i propri prodotti. Un confronto di opinioni per lasciare una traccia del proprio pensiero come segno di percorsi nuovi da intraprendere nella ristorazione di qualità. È interessante ascoltare queste video-testimonianze, ora che tutti abbiamo il presentimento di cambiamenti radicali nei modelli di vita e di consumo del dopo-coronavirus. Oggi che viviamo con la sensazione del pericolo,  guardare oltre attraverso i desideri, i sogni e i progetti di chi, ancora pochi giorni fa, affrontava con fiducia il futuro, dà la forza per superare positivamente questa terribile emergenza per ripartire subito con più forza ed entusiasmo.

 

Piero Gabrieli
2020-03-13T15:38:15+01:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Alberto Di Michele: "Mare e Pizza sono Felicità"

Una storia di rinascite continue: dopo la scuola l'innamoramento per la pizza durante il servizio di leva, esperienze in giro per l'Europa come animatore nei villaggi turistici e poi l'approdo nella sua terra con l'idea di lavorare a stretto contatto con il mare. E così trasforma uno stabilimento balneare in una meta di appassionati di pizza contemporanea che lavora tutto l'anno, anche d'inverno quando le altre attività del lungomare chiudono. Una spinta continua a rinascere, nel lavoro e nella vita, con il desiderio di dare il meglio ai propri clienti.

La Pizzeria New Sporting di Alberto di Michele riaprirà a Montesilvano (Pescara). Intanto Alberto ci propone la ricetta della sua Pizza con ventricina vastese, crema allo zafferano di Navelli e rucola.


❓Cosa sta accadendo allo smog dopo giorni di emergenza virus❓
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Piero Gabrieli
2020-03-14T11:03:10+01:00

Screenshot da @SanGasso  - Leggi i tweet dell'autore

Contribuiremo a tenere bassi livelli di smog? 

Una notizia positiva sugli effetti collaterali dell'epidemia in corso: l'aria è più pulita, lo smog si dissolve. Una tragedia di proporzioni che rischiano di diventare epocali genera i presupposti per un ambiente di vita più sano. Sorprendente l'immagine superiore (ingrandimento del post a sinistra) dove il confronto è fatto tra due date pre-festive a distanza di 1 mese (sabato 8 febbraio e sabato 7 marzo) Ma saremo in grado, passata questa emergenza, di non ricadere completamente negli errori del passato? 

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-04-09T16:19:27+02:00

Corrado Assenza a PizzaUp 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Ripartire dall'essere.

Per una rinascita bisogna cambiare paradigma. «Pensare agli altri come se stessi pensando a te». Corrado Assenza docet. Il dominus del Caffè Sicilia di Noto, in provincia di Siracusa, esorta a ripartire dalla società e dalle persone. O meglio, dal senso di un gesto, dalla microquotidianità, dalla microfiliera. Pronta a dare dignità al contadino e all’artigiano. Non dimenticando di «rimettere il cibo al proprio posto». Perché ogni pietanza ha un habitat naturale di consumo. Casa, ristorante o locale che sia. Nel nome della freschezza.

Corrado Assenza intervistato da Cristina Viggè in diretta Instagram.

Corrado Assenza: rimodulare il pensiero

Riflettere. Questo tempo atemporale ci ha regalato la possibilità di meditare, ragionare, valutare e considerare nuove eventualità. Ci ha dato l’opportunità di poter cambiare mentalità. Questo momento sospeso, mutevole, provvisorio, in precario equilibrio fra l’oggi e il domani ci ha guidato, in un modo o nell’altro, a cercare di trovare una nuova stabilità. Interna ed esterna. Ci ha condotto a una rigenerazione, fisica e mentale. Ci ha costretto a risintonizzare le priorità. Si tratta di quel meccanismo che va sotto il nome di omeostasi. “La natura non conosce regole ferree. La regola ferrea è che non c’è una regola ferrea. Non esiste il punto di equilibrio. Bensì l’equilibrio intorno a un punto”, spiega Corrado Assenza, il dotto patron del Caffè Sicilia di Noto.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


Che prende Petra Evolutiva proprio come exemplum di potenziale rinascita. Lei, frutto di un miscuglio di grani nato in Siria, rinato come popolazione in Sicilia e sublimato a farina in Veneto. Lei, capace di scardinare il concetto di monocoltura in agricoltura per sposare la cultura della diversità. Premiando in tal modo il lavoro e il sacrificio del contadino. Lei, figlia di grani differenti e resilienti. Che danno spighe alte e basse, chiare e scure. Fiere di supportarsi a vicenda, creando un tessuto dalle maglie talmente strette da non lasciare spazio ad erbe estranee, pericolose e infestanti. Spighe sapienti, che ogni anno devono saper mutare registro, adeguandosi a suolo e clima. Lei, una farina che cambia ad ogni annata, senza mai essere uguale a se stessa. Una farina da eleggere a modello di vita. E di una novella società. Abbandonando il comodo adagio del “si è sempre fatto così”. “Petra Evolutiva ha imposto un cambio di mentalità. Sia a chi molisce il grano. Sia a chi utilizza la farina per tradurla in pane, pasta, pizza e delizie di pasticceria”. E, forse, dovremmo prendere esempio da lei. Auspicando un nuovo rinascimento.


Il Caffè Sicilia di Corrado Assenza riaprirà a Noto (Siracusa). Intanto Corrado ci propone la ricetta della sua torta Nata d'Inverno, Rinata a Primavera.


❓Come coniugheremo passato, presente e futuro❓
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Cristina Viggè
2020-04-09T16:26:31+02:00

Foto di PIRO4D da Pixabay

Rivedi il video su la7.it

Sapremo riformulare il nostro tempo? 

Il futuro? Non sarà più dato per scontato. La memoria? L’avremo tatuata sulla pelle. E il presente? Forse impareremo a viverlo più intensamente. Lo scrittore Stefano Massini, in una puntata di Piazza Pulita (andata in onda su La7) ha snocciolato, come un rosario, le dieci cose che #fuoridalcovid non saranno più come prima. Dalla visione del mondo alla politica, dalla socialità alla circolarità. “L’altro giorno una persona mi ha detto: vedi ci sono gli alberi in fiore. Però non sembra nemmeno primavera. Ha detto una cosa vera. E ha a che fare con questa circolarità. Noi eravamo convinti di stare come dei criceti dentro la gabbia. Che corrono continuamente. Dentro un meccanismo che era sempre uguale. A un certo punto arrivavano i fiori sopra gli alberi e sapevamo che era primavera. Poi sarebbe finito piano piano l’anno scolastico. Allora arrivavano le vacanze. Dopo le vacanze, a settembre, si tornava sui banchi, e poi c’era quella breve parte di autunno e poi Natale. E dopo Natale tutto ricominciava. Tutto uguale. Adesso no. Adesso sappiamo che il meccanismo si può inceppare. Si può fermare”, dichiara Massini. Ecco, probabilmente è necessario rimodulare le nostre frequenze. E magari spogliarsi della fretta, per godere di quell’hic et nunc che troppo spesso aderisce superficialmente sulla nostra pelle. Proiettati come siamo costantemente in avanti. Solo così, forse, impareremo ad apprezzare il limbo dell’attesa, del durante, del mentre. Di quel sabato del villaggio cantato da Leopardi. E forse impareremo anche a fruire del passato in altro modo. Non riproponendo schemi visti e rivisti. Perché quegli schemi non andranno certo più bene. Bensì riformulando la memoria sulla base del presente. Assenza la chiama retroinnovazione. E mi sa che ha ragione.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-04-16T17:15:41+02:00

Antonio Pappalardo al Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Antonio Pappalardo e il rinascimento dei sapori

A 19 anni apre una cascina. O meglio, alza la saracinesca della sua Cascina dei Sapori, in quel di Rezzato. Corre il millesimo 2007 quando Antonio Pappalardo dà avvio alla sua avventura. Con coraggio, audacia e determinazione. Ma pure con tante perplessità. “Sì, all’inizio sono partito con molti dubbi. Che nel giro di due-tre anni ho dovuto obbligatoriamente risolvere. Mi sono accorto che la proposta non andava bene. Non c’era riscontro da parte della gente. E da lì è ricominciato il mio percorso. Fatto di studio e di ricerca. Degli ingredienti, delle farine e degli impasti”, spiega lui. Che di cambi di marcia ne sa qualcosa: visti i natali a Castellammare di Stabia, un bel po' di tempo vissuto in provincia di Napoli e infine l’adozione in terra bresciana.

Antonio Pappalardo con Carlo Passera. Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


Partenze e ripartenze. Nascite e rinascite. Scoperte e riscoperte. Un mestiere in continua evoluzione quello di Antonio. Pronto al confronto e anche al recupero di sapori dimenticati. Al fine di creare topping in perfetta sintonia con le basi, ma anche in armoniosa empatia con territori lontani e vicini. Un esempio? La valorizzazione della pecora gigante bergamasca. No, non un animale mitologico, bensì una carne buona e sostenibile. “Aveva rischiato l’estinzione. Quasi più nessuno la comprava. E invece, l’immigrazione e la religione musulmana, che non permette il consumo di maiale, hanno salvato questa razza pregiata. Che vanta carni magre e un gusto per nulla selvatico. Al contrario, delicato ed elegante”, commenta il pizza chef. Quasi a dire che, spesso e volentieri, una variazione nel contesto culturale e materiale della società possono portare a trasformazioni. E a nuove opportunità. Chissà, forse questo tsunami ci farà capire che l’erba del vicino (contadino) può essere sempre più verde. E saremo ben felici di coglierla.


La Cascina dei Sapori di Antonio Pappalardo riaprirà a Rezzato (Brescia). Intanto Antonio ci propone la ricetta della sua Pastiera napoletana.


❓Sapremo far luce sui prodotti poveri e dimenticati❓
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Cristina Viggè
2020-04-16T17:34:13+02:00

Foto della pizza di Antonio Pappalardo
con la pecora gigante bergamasca by Enrica Guariento

Leggi gli articoli su identitagolose.it e su reportergourmet.it

Diremo tutta la verità del cibo? 

Lungo L’Argine a Vencò, Antonia Klugmann raccoglie le erbacce. No, non le erbe aromatiche. Bensì le erbacce selvatiche e selvagge. Quelle indigene ed endemiche, nate e cresciute spontaneamente in un determinato luogo. Lì e solo lì. “Sono strepitose, meglio di un’insalata”, spiega la chef triestina - ma di stanza nella goriziana Dolegna del Collio - in una bella diretta Instagram con Paolo Marchi (e in questo articolo su identitagolose.it). E anche su reportergourmet.it lo chef belga Christophe Hardiquest - stellato dominus del Bon Bon di Liegi - dichiara: “Dobbiamo cucinare ciò che abbiamo di fronte e tornare a cose semplici, favorendo la filiera breve. Il prodotto sarà migliore e più bello se utilizzato nella sua regione e nella sua stagione. Si può essere creativi anche senza disporre di 400 prodotti disponibili tutto l’anno. Dobbiamo imparare di nuovo a dare valore al fegato di pollame, a preparare le casseruole, a cucinare una coda di bue”. Ma non finisce qui. Davide Oldani, patron del D’O di Cornaredo, pensa a una cucina del futuro meno cervellotica ed esclusiva, e più inclusiva. Fatta per avvicinare e mettere a proprio agio il commensale. E pure Eugenio Boer accende i riflettori sul Bel Paese. E post lockdown, per il suo salottiero [bu:r] milanese, ha già pronta una proposta-inno al tricolore. “Scelgo di onorare la mia terra, anche se sono orgogliosamente di sangue olandese. Scelgo di essere patriottico perché voglio che la nostra Italia torni a splendere nella bellezza delle sue opere e di chi la vive”, ammette lui. Che già svela un piatto prossimo venturo: Una cima alla genovese ma non troppo. Una ricetta della tradizione ligure: presentata visivamente come se fosse un nipponico roll, ma fiera, nella sua interiorità, di valorizzare solo ingredienti nazionali. Così come il burro, un grande must del [bu:r], non verrà più dalla Normandia, ma dalla Lombardia. Anzi, da una cascina fuori città. Il monito è dunque quello di tornare a una cucina sincera, capace di emozionare e di stupire. Dicendo sempre la verità. Il resto? Lo faranno la sala e un rinnovato calore familiare. Come ben spiega Carlotta Perilli, compagna di Eugenio e maître: “Le mascherine copriranno i nostri sorrisi, ma la passione e l’amore per ciò che facciamo si leggerà dai nostri occhi”.

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Cristina Viggè
2020-04-20T15:15:36+02:00

Carmen Vecchione a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Carmen Vecchione: “Riaccendere un altro interruttore”

È nata. Rinata. E rinascerà. Carmen Vecchione, millesimo ’74 e la verde Irpinia nel sangue, non si è mai seduta sugli allori. Neppure su quelli della laurea in Economia e Commercio. Tant’è che dopo alcuni anni da commercialista decide di cambiare strada. Completamente. Andando a lavorare al fianco dello chef Lino Scarallo, nel ristorante avellinese La Maschera. “Poi però mi sono appassionata alla pasticceria. Trovo che mi somigli caratterialmente. Perché è programmatica, rigorosa. Come sono io”, spiega Carmen. Che così riscopre il lievito madre. “Nella casa dei miei nonni, che avevano un’azienda agricola, il lievito da riporto per il pane era cosa normale. Noi bambini sentivamo sempre il suo profumo. Così quando mi sono riavvicinata a lui, anche grazie a Rolando Morandin, mi è sembrato un elemento a me familiare”, ribadisce la pastry chef. Capitana della pasticceria Dolciarte di Avellino. “Ecco, in questo periodo di chiusura forzata, dopo un attimo di immobilismo, è stato proprio il lievito madre a ridarmi l’energia. Il fatto stesso di doverlo rinfrescare, di doverlo nutrire e tenere in vita mi ha fatto sentire di nuovo viva e utile. Però me ne avanzava sempre molto. Allora ho deciso di donarlo. Un pezzetto per ciascuno. Ogni giorno, lo metto nei sacchetti e lo posiziono fuori dalla porta del laboratorio. Che sta a cinquanta metri da dove abito. Mi basta sentire il rumore della carta e so già che qualcuno lo sta prendendo per portarlo a casa sua. E questo mi rende estremamente felice”.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Intanto? Pulisce. “Ho tirato a lucido il laboratorio”, dichiara soddisfatta. Ma il suo rassettare non è un semplice spolverare e riordinare. “Questa potrebbe essere l’occasione per resettare, azzerare e ricominciare. Seguendo un nuovo modo di ragionare. Magari tagliando, anche se con un po’ di malinconia, i rami secchi. Intendo linee di produzione ormai obsolete. Che non danno più soddisfazione. Per idearne delle altre. Fresche e diverse. Certo, è necessaria una buona dose di spirito critico. Ma si può spegnere l’interruttore. E riaccenderne un altro. Senza cambiare identità. Perché la mia pasticceria rimane la mia pasticceria. Ogni dolce, ogni minimo dettaglio è studiato con cura. Qui ci sono solo prodotti creati da me”, continua Carmen. Che non dimentica il suo essere irpina. Il suo far parte di un territorio generoso. Capace di regalare eccellenze quali la cipolla ramata di Montoro, la castagna di Montella, la mela annurca e la nocciola mortarella. “Io ci tengo alla tradizione. Il mio è più un rinnovare forme e consistenze”. Sì, ci si può reinventare senza cambiare se stessi.


La pasticceria Dolciarte di Carmen Vecchione riaprirà ad Avellino. Intanto Carmen ci propone la ricetta dei suoi Plum-cake alla ricotta e mele annurche.


❓Sapremo accendere nuovi interruttori❓
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Cristina Viggè
2020-04-20T15:52:14+02:00

Foto di Capri23auto da Pixabay

Leggi l'articolo su gastronomika.it by linkiesta.it

Sapremo reinventarci?

Tagliare i rami secchi. Per farne crescere di nuovi. Sfoltire per rinforzare. In vigna si attua il diradamento per ottenere grappoli più vigorosi, migliorando la qualità dell’uva e del vino. Verrebbe da pensare: perché non approfittare di questo momento per risintonizzare, riformulare, riorganizzare, riprogettare la propria attività? Ricominciando in un altro modo. Oppure non cambiando quel che si faceva, ma rimodulando la strategia. O ancora, aggiungendo un quid diverso. Perché diversi saranno i camportamenti, i bisogni e le esigenze della gente. In questo bell’articolo di gastronomika.it (il nuovo magazine quotidiano diretto da Anna Prandoni, all’interno de linkiesta.it), Fabio Tammaro, napoletano adottato da Verona e capitano dell’Officina dei Sapori, racconta la sua personalissima idea di delivery. Che mira a mantenere e a non snaturare l’identità del suo ristorante marino, che rimane e rimarrà quel che è già. Come? Creando due spin-off, o meglio, due “virtual brand” (come li chiama lui) delivery oriented, capaci di colpire due target differenti. Uno più pop e uno top. Senza minimamente intaccare il bacino di utenza principale del locale. Geniale. Ma il pensiero corre anche anche a chi ha voluto rafforzare (o realizzare ad hoc) un e-shop. “Ora mi arrivano gli ordini persino da Milano. Chi l’avrebbe mai detto”, commenta Paolo Brunelli dal suo headquarter di Senigallia. Paolo che ha stretto pure un “patto” con Alessandro Coppari di Mezzometro, dando vita a un’italianissima combo di consegna a domicilio: pizza + gelato. Certo, l’unione fa la forza. Anche fra artigiani differenti. E poi? C’è persino chi ha un’idea brillante. Come Marco Zorzettig, friulano imprenditore del vino e della birra. Alla guida delle aziende Altùris e La Tunella, nonché produttore della birra agricola artigianale Gjulia. Ebbene, in tandem con Gimmi Bodigoi, titolare dello Studio SBengineering (sempre a Cividale del Friuli), ha dato forma a TAACfatto®. “È una colonnina alta circa 1,70 metri e larga circa 35 centimetri, che può essere posta all’ingresso di qualsiasi esercizio pubblico ed è in grado di misurare, in pochi istanti, la temperatura corporea di una persona. Basterà solo guardare il display e in un istante verrà rilevata la temperatura. Se quest’ultima risulta inferiore ai 37,5 gradi si visualizzerà il semaforo verde di libero accesso ma se è superiore la macchina trasmetterà un segnale acustico e luminoso al cliente, ma anche al personale della sala mettendoli così in allerta”, spiega il visionario Marco. Intanto, Piero Gabrieli, direttore marketing di Molino Quaglia, propone un corso digitale, in una “vera” aula virtuale e interattiva, per meglio comprendere un mercato dallo scenario tutto nuovo. Perché alla ripartenza tutto sarà differente. Dalla prossemica alla percezione, dalle aspettative all'emozione. E bisogna avere gli strumenti giusti.

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Cristina Viggè
2020-05-23T16:28:34+02:00

Tommaso Cannata a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Tommaso Cannata: il rinascimento del fornaio

“Questo periodo l’ho definito del doppio occhio. Grazie ai social tu potevi guardare tutti. Ma venivi pure osservato. Il bello? Che è stata un’occasione per capire e riscoprire il valore del pane. Sì, gli italiani si sono riavvicinati al pane. Che finalmente è tornato a essere protagonista nelle case. Non dobbiamo lasciarci sfuggire questa opportunità. Che va coltivata, annaffiata, alimentata”, spiega Tommaso Cannata. Un fornaio, come ama orgogliosamente definirsi lui. “I fornai devono riprendersi il loro spazio. Si devono rimpossessare del loro mestiere. Perché il pane lo fanno loro. Un tempo, in ogni paese, il dottore, il farmacista e il fornaio erano un punto di riferimento. Ecco, dovremmo tornare ad esserlo, creando un movimento forte e coeso. Pensare che qui a Messina esiste persino la Confraternita di San Sebastiano dei Fornai. E nella chiesa di San Francesco dei Mercanti abbiamo un’antica statua lignea dedicata al santo. Ogni terza domenica di gennaio andiamo a far benedire il pane”, racconta lui. Fiero patron della Boutique del Pane a Messina (sua città di origine) e anche alla guida della sicilianissima bakery I Compari a Milano. In un fertile andirivieni fra Trinacria e Lombardia. Non dimenticando mai panini e pagnotte. E neppure il lievito madre: battezzato Turi. “Salvatore, come mio padre e come mio figlio”.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Pane. Ma anche terra. “Nella zona di Raddusa ho opzionato otto ettari di campi di grano. Specialmente evolutivo ma anche maiorca”, continua Cannata. Uno dei fondatori di Simenza, la cumpagnìa siciliana sementi contadine presieduta da Giuseppe Li Rosi. “Simenza è un’associazione che ha fatto crescere tante piccole aziende. Dando linfa ed energia. Io, nelle mie produzioni, cerco di valorizzare tutta la filiera: dalle arance ai carciofi, dalle mandorle ai formaggi e salumi”, precisa Cannata. Che concentra il rinascimento siciliano nella focaccia messinese, nel pane cunzatu, nel pitone (sorta di calzone-panzerotto ripieno), nella brioche col tuppo, nei fagottini di mele (dell’Etna) e noci (dei Nebrodi), nonché nell’arancino. Made in Sicily dalla pelle al cuore. Vista la panatura a base di grani originari e il riso carnaroli semintegrale dell’Agribioconti, l’azienda agricola di Nello Conti. Che conta vaste risaie nella Piana di Catania. Per non parlare della tuma, del ragù, dell’olio extravergine, degli ortaggi e dello zafferano. Quello ennese delle Sorelle Turco.

La Boutique del Pane di Tommaso Cannata è aperta a Messina. I Compari - Sicily for Life riapriranno a Milano. Intanto Tommaso ci propone la ricetta della sua focaccia messinese con Petra Evolutiva, scarola, tuma, pomodori e acciughe.


❓Riusciremo a ridar valore al pane❓
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Cristina Viggè
2020-05-23T16:59:52+02:00

Photo courtesy by Peck

Leggi l'articolo su econopoly.ilsole24ore.com

Grazie ai nuovi saperi, daremo lustro ai vecchi mestieri?

Un tempo c’era il garzone di bottega. Giovane factotum con il compito, fra i tanti, di consegnar la spesa a domicilio. Ora c’è il rider, pronto a correr rapido - generalmente in bici o in motorino - per recapitare a casa il cibo tanto desiderato. E spesso ordinato attraverso piattaforme quali Delivery, Glovo, Just Eat o Uber Eats. Un fattorino? No, molto di più. Una figura professionale dalle grandi responsabilità, che andrebbe tutelata e valorizzata. Ora che è tornata (quasi) indispensabile. Ma molti sono gli antichi mestieri tornati alla ribalta. Pur con gli opportuni aggiornamenti. Pensiamo all’agricoltore (ora è un vanto esserlo), al panificatore, all’artigiano, all’infermiere. Abbiamo riscoperto il valore del ben fare. Meglio se con le mani. Anche le gastronomie sono tornate in auge. Pure con qualche valido upgrade. A Milano, in piena pandemia, è nata Via Archimede - Gastronomia di Quartiere, con tanto di ghost kitchen e piatti buoni e concreti. Il brand Giacomo ha aperto Giacomo Gastronomia in piazza Amendola 1 (angolo via Previati). Un progetto già in cantiere, accelerato dall’emergenza Covid-19, per poter servire anche la zona ovest della metropoli.   Mentre in Sottocorno 36 resta attiva più che mai la Rosticceria, con corredo di garden. Così come in super forma resta Peck, un’icona, un cult, la gastronomia di lusso per antonomasia. Una e trina: il tempio di via Spadari 9, in pieno centro; lo spazio in CityLife (Piazza Tre Torri), pensato per mangiare in una gastronomia; e il negozio - aperto quasi un anno fa - in Porta Venezia, per offrire un’esperienza quotidiana “sotto casa”.


Uno dei food box di Retrodelivery.it


E a Roma? Roscioli resta un must, tra formaggi, salumi, oli, salse, mieli, aceti e condimenti. Ma avanza pure RetroBottega, la creatura degli chef Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice, posizionata tra piazza Navona e il Pantheon. Un’insegna poliedrica, che presto si è andata completando con RetroPasta, lab di pasta artigianale (sia da asporto che da consumo in loco, a pranzo), e RetroVino, modernissima vineria alternativa. Una realtà iper dinamica, che ha appena lanciato il canale Retrodelivery.it, pronto a raccogliere in un clic tutto il mondo "Retro" by Miocchi-Lo Iudice. Godendo anche della partnership con Roscioli. Una vera e propria dispensa virtuale e virtuosa. Perché in grado di dar valore a una lunga filiera di casari, allevatori, macellari, viticoltori e produttori di frutta e verdura. Creando una rete etica di economia sostenibile. Senza dimenticare la creatività dei due cuochi, concentrata nei food box: kit ad hoc (con allegate le istruzioni) per preparare at home prelibatezze d’autore. Dal burger al sandwich, dalla cacio e pepe all’amatriciana, dal vitello tonnato agli gnocchi al burro e alici, dai plin alle erbe spontanee fino ai tortellini ppp. Piselli, pastrami e panna. Classicissimi e contemporanei.

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Cristina Viggè
2020-06-11T14:58:19+02:00

Mario Bacilieri a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Mario Bacilieri: le relazioni meravigliose

“In questo periodo mi sono ricaricato e rigenerato tanto. E ho imparato tanto. Ritrovando la mia dimensione. Sia dentro di me sia nelle relazioni con i miei collaboratori e i miei familiari. Ho avuto la possibilità di vivere per ben tre mesi con i miei figli Rachele e Riccardo, cosa che non era mai successa, e con mia moglie Roberta. Anche se lei, lavorando all’ospedale di Saronno, è stata davvero in prima linea. Così ho imparato ad ascoltare le loro esigenze. E loro a capire le mie. Un’esperienza davvero bellissima, straordinaria. Tornassi indietro direi: meno male. Sì, ho preferito non seguire la tivù, per concentrarmi più sui rapporti umani. Quelli sinceri, veri, essenziali. Quelli con la mia famiglia e con i miei dipendenti. Loro sono fondamentali. Ho capito che il faccio tutto io non ha proprio più senso. Tu da solo non puoi farcela. Ma insieme agli altri sì. E loro si sono dimostrati all’altezza. Anzi, Rachele, che si è appena laureata, ora ha iniziato a lavorare in pasticceria, al bancone. Mentre Riccardo è sempre concentrato sul cioccolato”. A parlare, fiero e felicissimo, è Mario Bacilieri, saggio patron della dolce insegna che, in quel di Marchirolo (Varese), porta il suo cognome. In un monolite di granito bianco, nutrito dal vetro, dal ferro, dal legno, dall’acciaio e dall’ardesia asiatica. Ma pure dall’arte e da mille idee.

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


“Tra l’altro ho approfittato di questo periodo di lockdown per sistemare il negozio. Ho comprato nuovi tavoli. Grandi. Adesso ci stanno quattro persone, ma un domani ce ne potranno stare addirittura dodici. In modalità condivisione. Ho cercato di rivoluzionare lo spazio, investendo sul futuro. Perché bisogna sempre proiettarsi avanti. E poi noi siamo amanti del bello. E abbiamo scelto gli arredi seguendo il nostro gusto. Perché alla fine devi regalare un’emozione”, continua Mario. Che ha sempre gettato lo sguardo oltre. Inanellando una serie di esperienze: a Varese, Lavena Ponte Tresa, Luino e Cuveglio. Per poi approdare a Laveno Mombello e infine qui. Anzi, no. Nello stabile accanto. Per poi inaugurare (nel 2012) i luminosi ambienti del suo headquarter. “Sì, io guardo sempre avanti. Ma ho anche compreso quanto serva voltarsi indietro. Per esempio, ho assaggiato con più calma i nostri biscotti e mi sono detto: ma sono fatti bene. Ecco, finalmente ho compreso che anch’io ho qualcosa da dire. Mi sono rafforzato interiormente. Perché quel che conta è la mente. È essere vivo e propositivo con la testa”. Una vera rinascita quella di Bacilieri. Che intanto si fa sempre più digitale. “Certo, abbiamo introdotto il menu con il QR code. Noi le cose nuove le proviamo e poi valutiamo. Ma se non provi non puoi capire”. Del resto, è solo grazie alla sperimentazione che s’imbocca la via dell’evoluzione.

La Pasticceria Bacilieri di Mario Bacilieri ha riaperto a Marchirolo (Varese). 


❓Sapremo ancora costruire rapporti veri e sinceri❓
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Cristina Viggè
2020-06-11T17:14:20+02:00

La rana pescatrice con yogurt e rapa rossa de Il Moro di Monza

Leggi l'articolo su cucina.corriere.it

La famiglia: una nuova risorsa?

In tempo di lockdown abbiamo riaperto le porte di molte relazioni. Quelle con la famiglia anzitutto. Riscoprendoci più vicini a chi da sempre ci sta vicino, ma vuoi per lavoro, vuoi per mille altre ragioni e distrazioni, spesso percepiamo a distanza. Sì, abbiamo riscoperto il senso dell’unione, dello stare insieme e del condividere idee e progetti. Anche molto ambiziosi. È il caso di Carlo Cracco, che decide di ripartire dalla ruralità, coinvolgendo la moglie Rosa Fanti - sempre al suo fianco anche nell’eclettica proposta milanese - nella gestione dell’azienda agricola acquistata a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini. Creando così un filo green tra il “figlio” in Galleria Vittorio Emanuele II e la campagna romagnola. Ma anche offrendo a Rosa un nuovo incarico. E un nuovo canale d’espressione a tutto il gruppo. Che va dal digitale dell'e-shop all’analogico abissale del metter le mani nella terra. Dove torna pure Francesco Martucci, che presto si dividerà fra I Masanelli casertani e la new Pizza Farm dell’agriturismo Posta Mangieri, nell’Alta Murgia. Zona natìa della sua amata Lilia Colonna. Naturalmente in prima linea nell'avventura pugliese, insieme ad altri famigli, proprietari della struttura: Rossella Mastromauro e Cataldo Ferri. 


Da sinistra a destra: Vincenzo, Salvatore e Antonella Butticè

I fratelli Butticè

E i Butticè? I bros siciliani (di Raffadali, nell’Agrigentino) Antonella (la maître), Salvatore (lo chef) e Vincenzo (il regista manager), trapiantati a Monza e da anni alla guida de Il Moro, rafforzano e rinsaldano la loro voglia di fare e sperimentare. Dando vita ad altre “figlie”. Voilà La Bottega de Il Moro (sempre in via Gian Francesco Parravicini 44), formula take out - con tanto di estensione delivery e app (per iOS o Android) per tenersi aggiornati - dell’insegna di fine dining. O meglio, come ben si legge sulla pagina Facebook, traducendo concretamente il concetto: “ordina, passa e mangia dove, quando e con chi vuoi tu”. Motto che vale anche per Atrattoria, che intanto ha preso forma in via Vittorio Emanuele 36 - sempre nella città della Corona Ferrea - proponendo una cucina ancor più schietta e genuina. Fra paccheri ai gamberi e pomodoro, lasagne al ragù di tonno, caponata, parmigiana di melanzane e pesce spada alla messinese.


Cristina Viggè
2020-06-23T13:15:09+02:00

Lo chef Alberto Gipponi, patron del ristorante Dina, nella bresciana Gussago

Alberto Gipponi: la cucina di domani. Se non prima

Mani. Mani che toccano, gesticolano, fanno, creano. Si feriscono, si scottano, bruciano. Tutta colpa dell’aria. Del fuoco, dell’aria e dell’olio bollente. Tutta colpa del destino. Quel venerdì 17 novembre 2017. A poche ore dall’apertura ufficiale del Dina. Nella brescianissima Gussago. Sulla strada del Franciacorta. Ma Alberto Gipponi non molla. Ci crede e non molla. Dina nasce e lui? Rinasce con lei. Più forte di prima. Diverso da prima.

Alberto Gipponi: mani, testa e cuore

Alberto. In tasca: una laurea in Sociologia. In testa: la cucina. Fra le mani: un mondo da costruire. Che lui pian piano costruisce. Pezzo dopo pezzo. Passando per il friulano Orsone by Joe Bastianich. Per poi approdare nel vicino ristorante Da Nadia di Erbusco e far tappa all’Osteria Francescana di Massimo Bottura. Intesse la tela Gipponi. E poi la disegna, chiamandola Dina. Come la nonna materna. Mentre all’ingresso urla forte e chiaro il suo mantra, nutrendolo di energia (al neon): “Until then if not before”. Mutuandolo direttamente dall’artista inglese Jonathan Monk. E palesando uno spirito in perenne fermento, nella calma apparente. Un’anima da Cime Tempestose, sotto una pelle “trasformata”.

Alberto Gipponi - Foto di Lido Vannucchi

“In questo momento non mi lamento. Va molto meglio di quanto avessi immaginato. Ma ci sono importanti cambi nella brigata. Che sto affrontando con assoluta serenità. Io ho ben chiari i miei obiettivi e li ho condivisi con i miei ragazzi. Ho detto tranquillamente: la vita è una. Sia per me sia per voi. Non vi è tempo da perdere, né per me né per voi. Voglio solo gente che abbia voglia di concentrarsi e portare avanti questo progetto. Il risultato è stato che chi è rimasto ha davvero cambiato mentalità. E chi non se la sentiva se n’è andato. Il mio sous-chef, Gian Nicola, è tornato in Sardegna. E con lui la sua compagna, la capo partita degli antipasti. Perché ho tanti limiti, ma credo di saper usare bene le parole. Per guidare le persone a fare le proprie scelte. Liberamente. Senza costrizioni. Ecco, oggi va tutto meglio. Chi è qua ha i miei stessi principi e obiettivi”, spiega Gipponi. Raccontando l’ennesima rinascita del Dina.

La sala Laboratorio - Foto di Chiara Pesciolino

Una brigata coesa. Una squadra nella quale poter credere. Un gruppo di cui fidarsi e al quale affidarsi. Anche e soprattutto riconoscendone il valore. “Certo. Chi ha valore deve saper riconoscere e celebrare il valore dell’altro”, precisa Alberto. Dando fiato a un pensiero alimentato da una profonda sensibilità e da una sincera generosità. “Non posso mettere confini al sogno e così mi figuro che i cuochi italiani si riconoscano, vedano il valore l’uno dell’altro, senza timore. Senza paura di essere messi in ombra, senza angoscia di perdere il podio, la luce delle scene, senza il graffio dell’invidia. Lo dico quasi da genitore, senza fronzoli, con verità, chi ha figli o è figlio lo sa. Sentir riconoscere il proprio valore è come innaffiare un seme. Mettere a fuoco se stessi attraverso gli occhi, le parole, il riconoscimento dell’altro è germogliare, crescere, gemmare”, scrive Gipponi sul numero 26 di Cook_inc. (ma consiglio di leggere il testo integrale, anche online cookinc.it), l’unconventional magazine diretto dalla brava Anna Morelli.

Alberto Gipponi concentrato sulla preparazione dei casoncelli

I casoncelli di carne e grana padano by Alberto Gipponi

Indomito Alberto. Che, fra bianco, luce e ombra, fra la quiete del legno, la ruvidità della pietra e l’esuberanza del colore, infila la sua filosofia. Intrepida e scalpitante nel suo osservare un domani che vorrebbe fosse già oggi. La sua mission? Quella di dar voce a un movimento della cucina italiana. Scevro da egoismi, individualismi e campanilismi. Un nuovo umanesimo? Un nuovo rinascimento? Forse. Chissà. Forse sarà necessario un manifesto. Forse una codifica delle tecniche made in Italy. Forse un po’ di coraggio. Forse basterebbe davvero ascoltare, ascoltarsi e riconoscere quel quid dell’alter.  


Alberto Gipponi - Foto di Pietro Lazzarini

Intanto? Lo chef propone la sua tasting compilation. Spaziando da Jagged Little Pill (terzo album di Alanis Morissette) ad Appetite for Destruction (il primo album in studio dei Guns N’ Roses) sino a Nevermind (il secondo album dei Nirvana). Anche se il nirvana lo fa raggiungere lui al commensale. In un’ascesi spirituale che dalle cozze, aglio dolce, caffè e balsamite raggiunge il climax nel latte e brodo di fieno. Dessert pronto a mettere il punto a una serie di pietanze che - in carta - finiscono con la virgola. In una sintassi culinaria in grado di dar forza alla singola vivanda, conducendo all’assaggio di quella successiva. Gipponi e il lògos fluido, liquido e consequenziale dell’assaggiare.

Il ristorante Dina di Alberto Gipponi ha riaperto a Gussago (Brescia). 


❓Sapremo anche dar senso a un luogo❓
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Cristina Viggè
2020-06-23T14:14:01+02:00

Isola La Certosa, Venezia

Leggi l'approfondimento su nonsprecare.it

Sapremo recuperare il lògos di un luogo?

Ex. Particella latina, pronta a indicare una qualifica, carica o condizione avvenuta in precedenza. Una sorta di prequel della situazione attuale. Spesso con valore velatamente negativo. A torto. In quell’ex si cela e si celebra l’origine, la radice, la storia, il passato. Di un oggetto, una persona o addirittura un luogo. Sì, un luogo. Perché anche i luoghi nascono, muoiono e rinascono. Recuperando il loro senso perduto nel tempo, oppure divenendo altro. Basti pensare a Molino Quaglia. Il vecchio impianto si è trasformato in uno spazio di formazione in perenne evoluzione. Fiero di ospitare aule e laboratori, corsi ed eventi, Università della Pizza e della Farina.

L'Hostaria in Certosa

Alberto Sonino, Michele Pozzani, Raffaele Alajmo, Silvio Giavedoni e Massimiliano Alajmo

Due architetti, Michela De Poli e Guido Incerti, nel volume Atlante dei paesaggi riciclati (edito da Skira), analizzano più di cinquanta progetti di rinascita e riqualifica ambientale ed economica. In giro per il mondo. Nel segno del non spreco e della rinascita. Intanto? Proprio in Italia, nella Laguna veneta, l’Isola della Certosa è oggetto di un interessante e sostenibile programma di rigenerazione urbana, firmato Vento di Venezia, la società fondata da Alberto Sonino. Che, in un tandem publico-privato col Comune di Venezia, ha bonificato l’isola e sublimato l’ex stabilimento industriale militare in un parco naturale. Perfetto per passeggiare nel verde, ma anche per attraccare la propria barca o il proprio yacht. Il Venezia Certosa Marina, infatti, è un porto sicuro. In tutti i sensi: una iper attrezzata darsena da diporto, pronta a garantire oltre trecento ormeggi. Con corredo di albergo, attività artigianali di costruzione e riparazione delle unità navali, scuola nautica, ship chandler e noleggio di kaiak. Il tutto incastonato come un cameo fra il Lido, Le Vignole e il centro storico della Serenissima.

Gli esterni dell'Hostaria in Certosa, sul finir del pontile del vaporetto

Il barman Lucas Kelm, il manager Michele Pozzani e lo chef Silvio Giavedoni

Una vera oasi La Certosa. Che ora diviene ancor più preziosa, grazie allo sbarco ufficiale del gruppo Alajmo. Naturalmente in collaborazione con la realtà VdV by Sonino. Ecco dunque il nuovissimo pop-up estivo del grande team capitanato da Massimiliano e Raffaele: l’Hostaria in Certosa. Aperta sette giorni su sette, dalle 9 del mattino a mezzanotte. Per passare dal cappuccino al tramezzino, dal pranzo allo Spritz, da un gelato soft a un dopocena a ritmo dei cocktail preparati dal bartender Lucas Kelm. “È una storia incredibile. Fino a sabato 25 aprile alle 9 del mattino non esisteva nemmeno l’idea, poi mi arriva un sms di Alberto Sonino e da qui ha inizio il concept di un nuovo format, un locale che nasce anche dal contributo delle idee di molti del nostro staff, animati dalla voglia di ripartire, di far rivivere Venezia, di animare la laguna ed accogliere i nostri ospiti”, svela Raf. Raccontando la genesi di uno spazio che si snoda alla fine del pontile del vaporetto. Fra dentro e fuori. Fra lounge e salottini. Rivelando i tratti easy di un'insegna votata al mare. Persino nelle divise del personale, realizzate con materiali tecnici, che ricordano quelle utilizzate dagli equipaggi degli yacht. Mentre i tavoli vengono sfiorati dalla brezza della luce delle lampade di Davide Groppi. 


Le seppioline alla griglia con polenta

Lo scartosso di calamari, cipolla e fiori di zucca

Le linguine al burro bavarese e acciughe del Cantabrico

Il sandwich del timoniere

Gli spaghetti alle vongole con aglio, olio, peperoncino, sedano e pomodoro

“Il desiderio di ritrovarsi in un ambiente libero, in mezzo alla laguna, ci consente di proporre una cucina facile, immediata, comprensibile, che rassicuri tutti i palati e che racconti, attraverso la semplicità, la bellezza del nostro territorio, commenta Max. Quindi? Moscardini all’aglio, olio, limone e prezzemolo con patate bollite; seppioline alla griglia con polenta; e scartosso di calamari, cipolla e fiori di zucca. E ancora, vitello in salsa tonnata con fagiolini e capperi all’aceto balsamico; sandwich del timoniere; e faraona alla salvia e rosmarino allo spiedo. E per chi ama le verdure? Insalata di melone, anguria, cetrioli, sedano e basilico; riso bianco e nero con curry, peperoncino, curcuma verdure estive e passata di carote; e parmigiana di melanzane MariaPia. Non trascurando i dolci, messi a punto nel MammaRita Lab, come la Torta Venezia, la Torta Leone (virtuosa di cioccolato fondente e della birra Leön by Teo Musso, patron di Baladin), nonché la Focaccia Mediterranea all’olio extravergine di oliva, con origano, capperi, olive, peperoncino e limone canditi. Invece, per chi volesse mangiare in barca, è disponibile un comodo servizio di takeaway.


Echos porta la musica fra i paesaggi artistici dell'Alessandrino - Foto di Giulia Sirolli




E poi? Ci sono i luoghi dimenticati e ritrovati. Anche grazie alla musica. Come ben fa il festival internazionale Echos, giunto alla sua 22esima edizione, grazie all’Associazione Musicale Ondasonora e alla direzione artistica di Sergio Marchegiani. Mission? Accendere i riflettori su chiese, chiostri, pievi, torri, ville e castelli dell’Alessandrino, trasformandoli da luoghi silenziosi in luoghi social. Nutriti dalle relazioni e dalla creazione. Palcoscenici aperti e democratici, fieri di ospitare una serie di concerti, dal 24 luglio al 12 settembre. Di cui due eccezionalmente in streaming: dalla Pinacoteca dei Frati Cappuccini di Voltaggio e dall’Abbazia Cistercense di Rivalta Scrivia. Una meticolosa opera di decentramento culturale, capace di dar voce a "paesaggi" artistici. Persino attraverso i suoni di pianoforte e violoncello, tromba e flauto, fisarmonica e sax.



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