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IL "QUOTIDIANO" DI CRISTINA VIGGÈ

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VIVA la Valpolicella

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L’Amarone e gli altri vini di casa Tedeschi incontrano i piatti della chef Viviana Varese. E nasce un dialogo vitale e vigoroso, fatto di vibranti sfumature, di profonda sensibilità e di energica sostenibilità

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Tags: ValpolicellaAmaroneVinoChefViviana VareseTedeschi

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VIVA la Valpolicella

L’Amarone e gli altri vini di casa Tedeschi incontrano i piatti della chef Viviana Varese. E nasce un dialogo vitale e vigoroso, fatto di vibranti sfumature, di profonda sensibilità e di energica sostenibilità

Testi Cristina Viggè

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La Valpolicella è viva. E non solo perché è vitale, dinamica e scattante. Ma anche perché viva è la passione delle persone che la abitano e che la sanno valorizzare. “Sì, noi facciamo solo vini di terroir, ottenuti solo da vigneti di collina”, precisa con fierezza Sabrina Tedeschi. Che, con la sorella maggiore Antonietta e col fratello Riccardo (l’enologo di famiglia), porta avanti la maison Tedeschi, capitanata dal visionario papà Lorenzo. Per tutti Renzo. Colui che, agli inizi degli anni Sessanta, ebbe la lungimirante idea di vinificare separatamente le uve del vigneto Monte Olmi, dando vita a uno dei primi cru di Valpolicella. 



Terra, dunque. Terra, terra, terra. Da accudire, ascoltare, rispettare, celebrare, esaltare e interpretare. Per produrre etichette virtuose, capaci di condensare il genius loci, l’hic et nunc, il suolo, la stagione, la vendemmia. Terra di Valpolicella, alla quale la Tedeschi family è ancorata dal lontano 1630. “Siamo convinti che ogni nostro vino debba essere considerato come un figlio della nostra terra e della nostra storia. L'autenticità dei nostri vini nasce da 400 anni di viva passione e di attenta ricerca”, ripete Renzo. Mentre Antonietta e Sabrina diffondono il verbo e lo stile Tedeschi. Facendo sentire la sua voce anche a una buona stella.



E così le Tedeschi sisters sono arrivate a Milano, per presentarsi alla corte di VIVA, il ristorante - al secondo piano di Eataly Smeraldo - che porta impresso persin nel nome la spiccata identità di Viviana Varese. Sintetizzando in un acronimo tutto il senso della vita: che è gioia, entusiasmo, esuberanza, coraggio, caparbietà, etica, sostenibilità, condivisione, contaminazione, inclusione, stupore, calore e colore. Anzi, colori. Visto che è l’iridescenza a far dal fil rouge allo spazio. Vigoroso, energico, cangiante. Con la profondità spirituale del blu a far da tono dominante. E con le luci Discovery by Artemide, in sinergia con Halo Sky by Mandalaky, a creare atmosfere in equilibrio fra materia ed evanescenza. 



Luce viva. Come vivo è il legno che nutre il locale. Infatti i tavoli in massello di briccole sono griffati Riva 1920, che ha messo a punto un’itera collezione dedicata ai pali della laguna di Venezia: quelli che fan da bussola alle imbarcazioni, segnalando le vie d’acqua e le maree. Pali, temprati dalla salsedine, forgiati dal tempo, esposti alle intemperie e scolpiti dal lavorio dei molluschi, che tornano a nuova vita, facendosi desco. Mentre il social table - in millenario legno kauri - porta la firma di Renzo e Matteo Piano, gli arredi sono di Koll, le posate di Gio Ponti, e le ceramiche decorative - disegnate da Viviana - sono opera della giovane designer Gala Rotelli. A immagine e somiglianza di sassi, ma in vetro di Murano, forgiate nella storica vetreria di Massimiliano Schiavon. Gala, figlia di quel Marco Nereo che ha composto il “murale” che spicca lungo una delle pareti. Compendio di segni, glifi, pittogrammi e parole come verità, libertà, armonia, stupore, umanità e terra.



Earth. Perché sempre alla terra si torna. Terra da studiare, per portare avanti una viticoltura sensibile e sostenibile. Per questo la maison Tedeschi - certificata secondo gli standard di Biodiversity Friend ed Equalitas - ha avviato un processo di zonazione e di caratterizzazione dei vigneti, al fine di analizzare il terreno e misurare il modo in cui la pianta si esprime a livello vegetativo. Non solo. “Da veri pionieri, abbiamo intrapreso uno studio di caratterizzazione aromatica. Per meglio capire come la composizione di un terreno possa influenzare gli aromi di un vino. Così sapremo associare a ogni particella determinate peculiarità aromatiche”, puntualizza Sabrina. Della serie, ossidi di ferro e manganese favoriscono le nuance speziate e di frutti rossi tipiche dell’Amarone; la sabbia accentua i toni di ribes e lampone; e l’argilla, in connubio con minerali ferrosi, conferisce struttura e longevità. 




Etichette vive, che hanno ben saputo sposare la cucina energica ed esplosiva di Viviana. Puntuale nell’abbinare a perfezione i nettari della storica azienda con le sue pietanze. Pensate per l’occasione e naturalmente espressione della terra. Incipit con una giostra di amuse-bouche: crema di sedano rapa, funghi e chips di pelle di topinambur; taco con testina di maialino e peperoncino rocoto; finta oliva con gelato all’oliva; e patata lessata con cuore di burro e pancetta, terra di olive nere e salsa al rosmarino. Nel calice: il Soave “Capitel Tenda” 2018: garganega in purezza per un’etichetta che esce dal coro dei rossi di famiglia per incontrare levità e delicatezza. Un vino vellutato, ideale anche con la pizza fritta, variazione di pomodori, mozzarella di bufala e bavarese di pomodoro. A palesare subito l’anima verace e campana di Viviana. Affiancata dalla sous-chef e capo pasticcera Ida Brenna e dal sous-chef Matteo Carnaghi.




Viviana che poi propone il risotto al parmigiano reggiano 36 mesi con sugo d’arrosto. Un risotto all’onda. Sublime. Commovente. Emozionante. Sintesi di pulizia, tecnica, maestria. Summa di semplicità, complessità e intensità. Crasi di passato (con Nino Bergese a far da capofila) e presente (le lamelle di tartufo nero). Un risotto assoluto. Al di là delle mode e delle tendenze. Al di là degli stereotipi. Così come superbo è il vino scelto in abbinamento: il Valpolicella Superiore “Maternigo” 2016. Un cru. Figlio del vigneto più Impervio (si chiama proprio così) della tenuta: acquistata nel 2006 e che vanta un’estensione totale di 84 ettari, di cui 32 vitati. “È un vino in cui crediamo molto. E che fin da subito ha ottenuto importanti riconoscimenti. Fra cui anche i Tre Bicchieri del Gambero Rosso”, svela Antonietta. Fiera di un nettare di razza ma di grande finezza, nato da uve (corvina, corvinone e rondinella) cresciute (e leggermente surmaturate) in un vigneto resiliente, dalla forte pendenza. Un vino di carattere, che affina in botti rovere di Slavonia per circa 18 mesi e per altri sei in bottiglia. “Maternigo significa casa della madre, perché nella tenuta vi è una struttura che anticamente ospitava ragazze madri. In epoca più recente invece ha accolto ex detenuti. Supportandoli nel lavoro in campagna. Ora abbiamo in progetto la sua ristrutturazione, per la trasformazione in un relais”, confessa Antonietta. 






Una proprietà Maternigo fatta anche di boschi e uliveti. Dalle cui olive si ottiene l’olio extravergine della maison, delicato blend di un manipolo di cultivar, quali favarol, grignano, frantoio, leccino e pendolino. Giunge invece da un’altra tenuta, La Fabriseria, il Valpolicella Classico Superiore che ne mutua il nome. Provenendo dal vigneto più elevato, che se ne sta a circa 500 metri di altitudine, nutrito da marne e argille.“Qui, a differenza del vino precedente, oltre a corvina, corvinone e rondinella, vi è anche un po’ di oseleta. Si tratta di un vino elegante e complesso, con sfumature speziate più dolci rispetto al Maternigo. E poi c’è una curiosità. Fabriseria viene da Fabbriceria. E anche nostro nonno era fabbricere. Ossia faceva parte del consiglio dedicato alla gestione della costruzione di una nuova chiesa. E nelle riunioni si usava sempre portare una bottiglia di vino buono”, racconta Sabrina. Spiegando un’etichetta che porta ancora impressa la croce.  




In abbinata? Manzo affumicato al profumo di cardamomo, purè di patate, cavolo nero e acqua di provola. Un’altra vivanda intensa e profonda di Viviana. Terragna e al contempo ariosa e setosa. Ideale anche in tandem con un cult di casa Tedeschi: l’Amarone della Valpolicella Classico Riserva (millesimo 2013) “Capitel Monte Olmi”. “È il nostro portabandiera. Perché lui è genio e compostezza. Lui ha tutto: eleganza, struttura, bevibilità, longevità. È riconoscibile. È il nostro cru dal 1964 e continua a far parlare di sé. Del resto, se si chiama Amarone, deve pur essere un vino grande”, dichiara Sabrina. Mentre accende i riflettori su un nettare iconico, figlio dell’omonimo vigneto terrazzato - acquistato nel lontano 1918 - che si estende per 2,5 ettari nella frazione di Pedemonte (comune di San Pietro in Cariano), dove ha sede anche la cantina. Uve utilizzate? Corvina, corvinone, rondinella e anche una piccola percentuale di oseleta, negrara, dindarella, croatina e forselina. Lasciate in appassimento controllato per quattro mesi. Per un’autorevole docg, che riposa per quattro anni in botti e per altri dodici mesi in bottiglia. 





Stesse uve, con l’aggiunta di rossignola, per il “Capitel Fontana” Recioto della Valpolicella Classico 2015. Che matura per due anni in fusti di rovere di Slavonia, raggiungendo la giusta concentrazione e la perfetta dolcezza. Senza mai essere né ruffiano né stucchevole. Un nettare rubino e brillante, vocato ai formaggi erborinati e ai dessert. E la mousse di nocciola con cuore morbido e frolla croccante conferma la vocazione. Sancita da una nobile grappa, ottenuta dalla distillazione delle vinacce dell’Amarone “Capitel Monte Olmi”. Dopotutto anche la vinaccia è materia viva e vitale. 



Foto di Brambilla-Serrani, Sonia Marin e Azzurra Primavera per Viviana Varese


2019-12-06T00:00:00+01:00

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