• FuoriDiMe
  • About
  • HOME
  • BLOG mobi
  • BLOG
  • MONOGRAFIE
Site TitleSite Slogan

terra.

FUORI IL PROSSIMO
Iscriviti alla Newsletter e ricevi per primo le novità.

Leggi l'introduzione

SFOGLIA DA SINISTRA A DESTRA

Cristina Viggè
2020-04-18T00:00:00+02:00

Simone Padoan fotografato per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Mai perdere l'identità.

Più che sulla terra lui preferisce andare nella terra. Cercando e cogliendo le radici. Persino della lingua. Simone Padoan, capitano de I Tigli di San Bonifacio (Verona), ama il dialetto, la materia, la filiera colta. E ama anche guardare le cose da un punto di vista dinamico e propositivo. Della serie, la noia può essere un’opportunità per riflettere, pensare, realizzare: un innovativo sistema di consegna della pizza in tutta Italia. Un delivery interattivo ed esperienziale, capace di non far perdere mai né la gestualità né l’identità.

Simone Padoan intervistato da Cristina Viggè in diretta Instagram.

Simone Padoan: fiori, Tigli, viaggi e radici rurali

Sua figlia l’ha chiamata Gaia. Come Gea, madre di tutti gli dei dell’Olimpo, dea della natura e della fertilità, identificazione della Terra stessa. Sì, terra. Perché è nella terra che affondano le origini di Simone Padoan. Così come nella terra si tuffano le radici degli alberi che danno il nome alla sua insegna, nella veronese San Bonifacio: I Tigli. Anno di nascita 1994. “Arrivo da una famiglia dalla matrice rurale. E forse proprio l’aspetto contadino mi ha permesso di avere radici ben salde e idee precise su quello che volevo fare”, spiega Simone. Ultimo di nove figli. Nati e cresciuti in seno di una famiglia molto unita. Pronta a tener fede a un rituale sacro: quello del pasto. Tutti intorno a un tavolo. Ancor oggi elemento centrale del locale, tanto da farsi addirittura social e conviviale. Poi? È sempre la terra a parlare, coinvolgendo pavimenti, arredi e sedute. In un dialogo fra porfido, pietra gialla di Vicenza e legno di cedro.


Simone Padoan si racconta per l'Almanacco della Pizza - Riprese a cura di Enrica Guariento


E sempre dalla terra vien da pensare siano sbocciati quei “fiori di stagione” che, negli anni Novanta, corredavano i primi menu di Simone. Una carta povera, con pizze semplici. Terra. Sulla quale Simone è caduto e sulla quale si è rialzato. Con più grinta e coraggio. Nel 1999, alla fine del secondo millennio. Chissà, forse un segno del destino. “Dopo ogni momento buio e di crisi c’è una rinascita. C’è una voglia di riscatto. C’è il desiderio di vedere la luce”. E lui? Non solo vede la luce, ma accende pure i riflettori su un mestiere, quello del pizzaiolo, che andava nobilitato. “Mestiere, non lavoro”, precisa Simone. “Perché il lavoro lo fai. Il mestiere lo vivi. È la tua espressione. La tua identità”. Della serie, un mestiere lo porti con te. Ovunque tu vada. E proprio durante un viaggio in moto in Toscana, con un gruppo di amici, Simone ha un’illuminazione sulla via di San Quirico d’Orcia. Assaggia la burrata. Colpo di fulmine. Specialmente se sposata col prosciutto. Da lì l’idea di quella che ormai è un’icona: la “Burrata e Crudo”. Talmente copiata da spingere Padoan a farne lui stesso una copia, ma col gambero (crudo). “Rimango convinto che il copiare sia la forma più alta di adulazione. E credo che il copiare ti possa spronare a fare sempre di più, mettendoti in competizione con te stesso. Mentre l’essere copiato ti fa capire di essere sulla strada giusta. Un’idea più essere fantastica nella tua testa. Ma diventa bella se trova consenso”. E le idee possono nascere guardando il mondo con occhi nuovi.

Il locale I Tigli di Simone Padoan riaprirà a San Bonifacio (Verona). Intanto Simone ci propone una ricetta del cuore, una torta dei dì di festa in famiglia: la Torta delle Rose. 


❓Torneremo a viaggiare❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-04-18T14:08:59+02:00

Il Monastero Santa Rosa Hotel & Spa indossa il Tricolore

Leggi l'articolo su touringclub.it

Come cambierà la nostra idea di viaggio?

Difficile fare previsioni. Perché molte sono le variabili dipendenti: chiusura delle frontiere, limitazione negli spostamenti, sicurezza, ferie, disponibilità monetaria. Una cosa è certa: anche nel turismo muteranno modelli e paradigmi. Sarà indispensabile un cambiamento di rotta. Una vera e propria “ripartenza”. E magari non dallo stesso binario. In questo articolo del touringclub.it si fa un’attenta analisi della situazione, indagando pure emergenti forme di tour. Come l’undertourism, contrapposto all’overtourism. Ovvero un tipo di turismo orgoglioso di privilegiare l’Italia, i territori meno noti e affollati, le attività en plein air e i ritmi lenti. Troverà spazio anche quella formula di viaggio detta staycation, ossia di prossimità, a breve-medio raggio. Non lontano dalla propria abitazione. Ecco, forse i viaggi si faranno più easy, ma indubbiamente non meno emozionanti. Si potranno scoprire luoghi prima non considerati e si riuscirà a osservare quelli conosciuti con occhi curiosi. Intanto? Lo stupore arriva anche guardando tutti quei monumenti, quelle ville, quei resort e quelle residenze che durante la pandemia hanno voluto indossare i luminosi colori della bandiera nazionale. Per ribadire la loro presenza e la loro speranza d’accoglienza. È successo per la villa medicea La Ferdinanda di Artimino, toscanissimo Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ed è accaduto pure per il Monastero di Santa Rosa di Conca dei Marini, sulla Costiera Amalfitana, eletto "Hotel of The Year by European Hotel Awards 2020". Intanto? Tour operator, agenzie e organizzatori di eventi si fanno capofila della filiera “viaggio”, lanciando il “Manifesto del Turismo” e ripetendo il mantra: #ripartiamodallitalia. E per ragionare sul domani? Roberta Garibaldi - docente universitaria e autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano - ha messo in calendario una serie di “dialoghi” interattivi (veri e propri webinar gratuiti e disponibili per due settimane dopo il live), capaci di chiamare all’appello operatori e professionisti del settore wine & food. Per riflettere sul futuro e per ragionare sui possibili scenari, sulle eventuali strategie da adottare, sui nuovi trend e sulle prospettive di un comparto che dovrà ricominciare con gli strumenti più aggiornati.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-04-28T17:52:20+02:00

Cristian Marasco - Foto di Brambilla-Serrani

Cristian Marasco: radici campane e swing brianzolo

Lui ha fatto tanto per lei. E lei? Nel 2011 lo ha premiato con un riconoscimento prestigioso quale l’Ambrogino d’Oro. Cittadinanza onoraria annessa e connessa. Lei è Merate, in provincia di Lecco. Lui è Cristian Marasco, che a Lecco ci è nato, che vanta radici campane e che vive e lavora a Merate. Dove guida con tutta la famiglia La Grotta Azzurra. Aperta dal lontano 1982 da mamma Gigliola e papà Crescenzio. Un’insegna di successo, divenuta ormai una e trina. Visto che ha colonizzato anche Garlate (sempre in Brianza) e Bonate Sopra (nella Bergamasca). Questione di visione, di sensibilità umana e imprenditoriale, di feeling e di sintonia con una terra e con il suo ricco patrimonio culturale, ambientale e gastronomico. Insomma, Cristian ha saputo ascoltare Merate, la “sua” Brianza e la Lombardia. Ed è stato ripagato.


Cristian Marasco nello spazio Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019 - Riprese di Andrea Tadioli

Ma non basta. “In questo momento complesso mi sentivo in dovere di fare qualcosa di più per Merate e la mia terra”, precisa Marasco. Che non ci pensa due volte e mette a punto il suo personale delivery, con tanto di impasto a lunga lievitazione studiato ad hoc e suggerimenti utili per il consumo e la cottura perfetta della pizza (aggiungendo pure l’opzione conservazione: in frigorifero o in congelatore). Non solo. Marasco dona. Il suo tempo e le sue creazioni. Sono infatti cinque settimane che, puntuale ogni martedì, porta le sue pizze (ma è stata pure la volta delle colombe) all’ospedale di Merate, alla casa di riposo e alla Croce Rossa di Olgiate Molgora. Ricevendo messaggi colmi d’affetto. E poi? Continua a dare visibilità alla Brianza e alla Lombardia. Optando per una filiera sapiente e trasparente. Il che significa anche scegliere un salume nobile come la Collinetta, una pancetta cotta, arrotolata e leggermente affumicata firmata Marco d’Oggiono. E ancora, il taleggio della Valsassina, la polenta, la borroeula. Un’icona del genius loci, griffata dalla macelleria Da Pinuccio, a Sartirana di Merate. Perché sempre lì si torna. Non dimenticando certo il mare. Quello della Campania Felix delle sue origini. Che almeno si può sognare e assaggiare sopra la pizza. Alici di Cetara docent.


Le tre insegne La Grotta Azzurra di Cristian Marasco riapriranno a Merate, Garlate (Lecco) e Bonate Sopra (Bergamo). Intanto Cristian ci propone la ricetta della sua focaccia alla fecola di patate e lievito madre, da farcire con la pancetta Collinetta di Marco d'Oggiono, il taleggio della Valsassina e gli spinacini novelli.


❓Impareremo a guardare vicino❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-04-28T18:13:49+02:00

Paesaggio siciliano: foto di Peter H da Pixabay

Guarda il video su rainews.it/tgr/sicilia

Sapremo riconquistare i nostri territori?

Si esorta sempre a guardare lontano. Vero. Verissimo. È importante essere visionari e lungimiranti. Vedere oltre. Ma forse in questo momento il vedere oltre sta proprio nella capacità di osservare più consapevolmente quello che sta vicino. No, non s’intende ciò che sta fuori dalla finestra - di cui ormai sappiamo ogni dettaglio -, ma ciò che ci sta intorno, ossia borghi, boschi, castelli, pievi, laghi, siti archeologici e rurali. Si potrà viaggiare meno? E allora perché non riscoprire la bellezza del piccolo mondo in cui viviamo e lavoriamo? L’Italia ha una fortuna: non solo un’immensa biodiversità agricola, ma pure un’ineguagliabile ecletticità paesaggistica. Ogni territorio è un microcosmo di meraviglia. E per capirlo non serve andare da Aosta a Trieste e dalle Alpi all’Etna. Bensì dalla spiaggia di Marina di Cottone all’Etna. A piedi. Come ben fa da tredici edizioni (la quattordicesima è spostata al 12 giugno 2021) la SuperMaratona dell’Etna: da zero a tremila metri in una sola gara. E in una sola parte della Sicilia. Sì, forse ha ragione il governatore della regione Nello Musumeci quando, in un’intervista al Tgr Rai, afferma: “Quest’anno i protagonisti del turismo in Sicilia saranno i siciliani, perché noi puntiamo, per ovvie ragioni, su un turismo autoctono”. Perché no? Basti pensare alle fitte reti di consorzi, strade del vino e dei sapori, enti e associazioni culturali che operano in ogni dove, difendendo il territorio, valorizzando il territorio e incentivando un turismo lento, colto, responsabile e sostenibile. Ecco, magari bisognerebbe semplicemente farlo coinvolgendo ancor meglio chi sta già in "casa". Intanto è nato "Io resto in Italia", progetto corale che riunisce oltre duecento imprenditori del turismo. Una piattaforma che mira a dare ossigeno al settore, promuovendo gli itinerari di prossimità. Un serbatoio di pensieri che si nutre di talk, conferenze e idee open source. 

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-05T15:45:04+02:00

Giuseppe Rizzo fotografato per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Giuseppe Rizzo: il nuovo angolo Dell’Angolo

Ha voluto ritrarli in uno scatto, postato su Facebook e Instagram: rapanelli, finocchi e agretti, giunti freschi freschi da Cascina Pasini. A Cisliano, nel Parco Agricolo Sud Milano. Li ha fotografati per raccontare la sua filosofia a chilometro cortissimo. Per comunicare il suo essere saldamente connesso con il territorio. Per trasmettere un messaggio di fiducia e di trasparenza. Con un semplice fermo immagine, denso di significato, Giuseppe Rizzo narra il suo voler far parte di una filiera colta e virtuosa. Il suo voler difendere e valorizzare un comprensorio attivo e dinamico. Dislocato fuori dalla città, ma non così tanto. Una rural zone dove spesso lui va a spasso con Zuwa, il suo fedele rhodesian ridgeback. Per poi tornare nel suo “parco giochi”: l’attrezzatissimo laboratorio, attiguo all’insegna che guida: il ristorante Dell’Angolo (completato dal claim: il lato buono della cucina e della pizza). Battezzato così per la posizione: proprio sulla svolta che fa via Eugenio Villoresi, correndo via Volontari della Libertà.


Giuseppe Rizzo si racconta per l'Almanacco della Pizza - Riprese a cura di Enrica Guariento


E adesso? Giuseppe ha aperto un angolo nell’Angolo. Una bakery contemporanea, dove presentare ed enfatizzare alcuni dei suoi cult, come il pane (in diverse tipologie, s’intende), i dolci lievitati, i grissini. “Pensare che sono nati come forma di recupero dell’impasto. E invece ora dobbiamo fare un impasto apposta per loro”, continua Giuseppe. Orgoglioso del nuovissimo corner-panetteria. Non solo un nuovo punto di riferimento per il paese, ma pure un “punto” perfettamente coerente con tutto il resto della proposta. Che contempla pietanze dallo spirito lombardo e mediterraneo, nonché pizze e focacce evolute. Naturalmente anche in versione consegna a domicilio e asporto. “È un lavoro certosino. Perché confezioniamo e infiocchettiamo ben bene ogni alimento ed elemento. Inserendo descrizioni e istruzioni. Ma si sa, la parte estetica è importante. E ci sta dando soddisfazione”.

Il ristorante Dell'Angolo di Giuseppe Rizzo riaprirà a Vittuone (Milano). Intanto Giuseppe ci propone la ricetta della pappa al pomodoro con le vongole e il pane rustico artigianale. 


❓Sapremo riscrivere la nostra territorialità❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-05T16:04:12+02:00

Giuseppe Rizzo a spasso nel parco per con Zuwa - Foto di Thorsten Stobbe

Leggi l'articolo su touringclub.it 

Riusciremo ad accendere nuovi fari?

Dalla Ville Lumière alla Ville du quart d’heure il passo è breve. In tutti sensi. Così, le proiezioni post pandemia riaccendono i riflettori sul progetto della “città dei 15 minuti”, teorizzato per Parigi dal docente della Sorbona Carlos Moreno. L’idea? Quella di sostituire il centro di una metropoli con tanti centri. Quartieri efficienti, sostenibili e performanti, dove ogni azione-reazione sia a portata di mano (o di bicicletta): dall’apprendimento al divertimento, dal far la spesa all’uscire a cena. Un sistema rivoluzionario per decentrare, ricentrando l’obiettivo. Del resto, questi mesi di “fermo macchina” hanno insegnato a guardare e a onorare il qui ed ora. Gli innumerevoli divieti e le limitazioni agli spostamenti hanno incentivato il commercio di prossimità. Riportando la luce sulla bottega, sul negozio sotto casa, sul panificio di fiducia. Nella distanza, si è tornati a dare forza alla parola “vicino”. Perché vicino è un concetto. Un punto di riferimento. Un faro. Che vale sia per la città sia per la campagna. Basti pensare ai ristoranti stellati. Quanti sono posizionati fuori dai nuclei cittadini eppur diventati mete predilette? Ecco, forse dovremo imparare a rielaborare trama e ordito del tessuto sociale. E scoprire che tutto è possibile. Anche in un quarto d’ora.  

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-17T16:55:12+02:00

Alberto Morello nel suo orto sinergico - Foto di aromi.group

Alberto Morello: ortaggi ed energia

Mette le mani in pasta. Ma pure nella terra. O meglio, nell’orto che se ne sta proprio accanto alla pizzeria. Incarnandone l’anima più green. “Si tratta di un orto nato da un lunghissimo e continuo studio. Ho preso il meglio dell'agricoltura sinergica, in cui piante, ortaggi e fiori crescono in sintonia fra loro, aiutandosi e difendendosi a vicenda, e l'ho mixato con altre tecniche che ho imparato. Traducendo il tutto a modo mio. Creando così un orto evolutivo”, racconta Alberto Morello, giovane e dinamico capitano di Gigi Pipa, a Este. Insegna ospitata, guarda caso, in quella che un tempo fu la fabbrica di fiammiferi Saffa. Un locale ampio e arioso, con tanto di plateatico e 250 metri quadrati di zona coltivata. Senza fertilizzanti, senza concimi chimici, nel massimo rispetto per l’ambiente e in perfetta sinergia con la pizzeria. Dove pennellate di “verde” non mancano mai. Seguendo rigorosamente la stagionalità. E la territorialità. Certo, perché laddove l’orto non arriva, arriva la filiera colta. Fiera di far luce anche sugli asparagi di Pernumia, veri gioielli dei Colli Euganei. Ingredienti di eccellenza, pronti a finire sulle pizze e nella nuova serie di burger. In cui non manca il “Farm”, con carne di manzo, erbette di campo, pecorino di fossa, cipolla caramellata, pomodorini confit e maionese alla senape. Il tutto proposto - per l’asporto e il delivery - persino in versione kit. Con corredo di istruzioni per completare a casa le preparazioni.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019


Terra. Che per Alberto significa anche radici. Le sue, affondate nel Padovano. E quelle con la “R” maiuscola, orgogliose di dare il nome al ristorante dello chef Andrea Valentinetti, nel cuore della città del Santo. Con cui Morello, per un weekend, ha dato forma a un brunch a quattro mani. In un incontro ravvicinato "a distanza" fra basi e condimenti, pronti a eleggere a protagonista la gallina padovana. Insomma, questione di simpatia, empatia e sinergia. Per fare rete con i colleghi vicini. Per creare una circolarità fra professionalità e competenze diverse. Per superare l’egocentrismo nel segno di un ritrovato territorialismo. Un altro esempio? La combo focaccia dolce e gelato messa a punto con Giuseppe Schizzerotto della pasticceria atestina VanigliaCioccolato.

La pizzeria Gigi Pipa di Alberto Morello ha riaperto a Este (Padova). E Alberto ci propone la ricetta dei suoi biscotti al germe di grano. 


❓Sapremo fare rete con i nostri “vicini”❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-17T17:08:09+02:00

La focaccia dolce alla fava tonka e cioccolato bianco di Alberto Morello
incontra il gelato di Giuseppe Schizzerotto - Foto di aromi.group

Leggi l'articolo sull'ecodibergamo.it

Impareremo a creare nuove reti?

Mai come ora i social ci hanno aiutato a fare rete. Mai come in questi mesi la Rete ha messo in circolo idee, visioni, emozioni e futuribili proiezioni. Mai come durante la pandemia ci siamo sentiti vicini seppur distanti. Mai come nella tempesta, l’appartenenza a un territorio si è potuta trasformare in forza. Umana e professionale. Basti pensare a una città come Senigallia. Dov’è germogliato il sodalizio delivery pizza-gelato by Coppari e Brunelli. E dove sono nati pure i box emozionali Made in Senigallia, griffati dalle stelle della solare località marchigiana.


La partnership fra Peck e il Corriere della Sera


E ancora, basti pensare alla partnership fra Peck e il Corriere della Sera. Due brand profondamente legati a Milano. Persino quasi coetanei: annata 1876 per la celebre gastronomia; millesimo 1883 per lo storico quotidiano di via Solferino. “Dall’inizio di questa difficile situazione abbiamo potenziato i servizi di delivery per consentire ai milanesi di mantenere le loro abitudini senza dover uscire di casa. Ma non di solo pane vive l’uomo, e così è nata l’idea di portare a domicilio anche l’informazione di qualità. Così importante per vivere in modo consapevole questo tempo pieno di domande e incertezze. Un’integrazione di servizi che ci siamo sentiti di offrire ai nostri clienti e che ha riscontrato molti messaggi di soddisfazione”, racconta Leone Marzotto, ceo di Peck. Ma molte, nel settore industriale, sono state le fertili alleanze fra competenze. Com’è accaduto nella Bergamasca, dove numerose aziende hanno stretto inedite collaborazioni, creando filiere produttive destinate a mascherine, camici e igienizzanti. Unendo, nella massima flessibilità, le singole specificità. Forse un modello da seguire anche su scala nazionale. Superando egoismi e inutili campanilismi. Nel segno di un vincente gioco di squadra.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-28T16:52:40+02:00

Tiziano Busuoli a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Tiziano Busuoli: Ritratto Padano

Talvolta è questione di tempismo. “Papà Goliardo e mamma Bianca inaugurarono la pasticceria nel 1966. E io sono stato concepito in contemporanea. Visto che sono nato l’anno successivo”, racconta Tiziano Busuoli, che con la sorella Cristina e la moglie Serena - che gestisce il laboratorio - porta avanti la boutique di famiglia. A Mirandola, in provincia di Modena. In quell’Emilia che si distende serena e pianeggiante, appena superato il Po (venendo da nord). Un destino segnato quello di Tiziano. Che con passione tiene fede a un credo artigiano fondato su freschezza, qualità e genuinità. Mixando sapientemente tradizione ed evoluzione. Passato e spirito contemporaneo. “Certo, ora poi c’è anche mio figlio Emanuele che si occupa della zona bar e gestisce il marketing. Concentrandosi sull’immagine della nostra pasticceria”. Perché Busuoli lo sa: comunicazione e social sono fondamentali. Anche per raccontare la storia e il genius loci. Incarnato in un dolce dal nome “Ritratto Padano”. “Si tratta di una delizia buonissima, particolarissima e profondamente radicata nella nostra campagna. Con lei vincemmo nel 2017 il concorso Sweet Bologna”, ricorda orgoglioso Tiziano. Che rende onore alla saba (mosto cotto) declinandola in un cremoso e in una crema leggera; alla mela campanina (marinata e caramellata); e alle noci. Presenti nella dacquoise e nella pastafrolla. Una torta tonda, dalla superficie a strisce. A ricreare la visione prospettica dei campi coltivati. Un assaggio che si fa paesaggio.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2020


Così come ancorato alla terra è un lievitato - proposto tutto l’anno - intitolato a Giovanni Pico della Mirandola, celebre umanista del Quattrocento, nato proprio qui. Ecco dunque la “Mirandolina", summa di pere dell’Emilia Romagna igp, noci, cioccolato, lievito madre e farine Petra 1 e Petra 3. Un savoir-faire artigiano rispettoso della memoria, ma pure capace di far vibrare la creatività. Espressa nell’agrumata “Lemond”, cake integrale alla mandorla (con la buccia) dalle nuance radiose; nella più esotica “Oriental”, armonioso compendio di tè matcha giapponese, curd al mango e crema di cioccolato bianco profumata al limone; e nella saggia “Altea”, emblema di forza e di coraggio. Mutuando il nome da una pianta officinale rinomata per le sue virtù medicamentose e terapeutiche. Del resto althòs, in greco, significa curare, guarire. Un dolce della rinascita e della ripartenza, fra mousse alla robiola, cake al grano saraceno, croccantino fondente e composta di amarene.  


La Pasticceria Busuoli di Tiziano Busuoli ha riaperto a Mirandola (Modena). Intanto Tiziano ci propone la ricetta della sua torta Pertikus con Petra 9 e confettura al lampone.


❓Torneremo a dar luce agli artigiani❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-28T17:55:30+02:00

Foto di Thorsten Stobbe per Petra - Molino Quaglia

Leggi l'articolo sull'avvenire.it

Sapremo tornare alla bottega?

“Chi esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie, svolta generalmente in una bottega”. Così l’enciclopedia Treccani definisce l’artigiano. Colui che sa lavorare con le mani. Tenendo i piedi per terra. E mettendoci testa e cuore. Colui che concentra nella forza dell'agire coscienza, coerenza e conoscenza. Colui che tocca e ascolta la materia, per poterla valorizzare al meglio. Marmo, tempera, legno, ferro, latte o farina che sia. Del resto, “andare a bottega” significa e significava imparare un mestiere. Che non è possibile apprendere diversamente. Se non facendo pratica e fatica. Se non ripetendo il gesto, per reiterarlo e codificarlo. In Giappone, alcuni maestri di arti manuali sono considerati addirittura “Tesori nazionali viventi”. Ne ilGolosario - Guida alle cose buone d’Italia, Paolo Massobrio accende la luce su boutique del gusto, microbirrifici, cantine, oleifici, drogherie, enoteche, macellerie, pescherie, gastronomie, pasticcerie, gelaterie. Depositarie di un sapere. Profondamente aggrappato a un luogo. Certo, perché la bottega di prossimità è un faro. Un punto di riferimento. Un presidio di paese o di quartiere. Basti pensare all’Associazione Botteghe Storiche di Lombardia, nata nel 2018 (e facente parte della Confesercenti regionale) con una precisa mission: tutelare un grande patrimonio della collettività.


La nuova Bottega Mazzolino


Botteghe. Ambasciatrici del genius loci. Anche quando corrono online. Come ben sa fare una bottega virtuale appena nata, ma già capace di dar voce all’anima agricola di un intero territorio, che va dall’Oltrepò Pavese all’Appennino, concentrando l’attenzione sull’artigianalità. Il suo nome? Bottega Mazzolino. Anzi: bottegamazzolino.com, gastronomico spin-off dell’omonima tenuta vitivinicola, posizionata sulla destra del Po, nel paesaggio collinare di Corvino San Quirico. Un piccolo clos (per dirla alla maniera della Borgogna) di venti ettari, in cui regna il pinot nero. Affiancato da croatina, chardonnay e moscato. Pronti a regalar nettari in vendita sull’e-shop, insieme a molte altre eccellenze. O meglio, come spiega Francesca Seralvo, proprietaria della tenuta e ora anima della bottega: “Prodotti, figli di gesti agricoli, realizzati da persone vere che abbiamo avuto la fortuna di conoscere grazie al nostro lavoro; amici ancora prima di artigiani che, come noi, hanno deciso di mettere la loro terra al centro di tutto”. Ecco allora i formaggi di capra del Boscasso (a Ruino) e quelli vaccini della fattoria di Campolungo; i salumi del Tizzo (a Torrazza Coste) e il riso delle Tenute Bazzani (in Lomellina); i mieli di Luca Bonizzoni (a Casteggio) e le gelatine di Cascina Costanza (a Godiasco Salice Terme); sino alle confetture e alle conserve di Cascina Rivali (a Lugagnano Val d’Arda). Per un paniere colmo di saggia bontà.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-06-03T16:25:56+02:00

Il pasticcere Sandro Maritani

Sandro Maritani: se il confine non significa fine

“La nostra è una terra di frontiera. Ma io il confine non lo vivo come un limite, bensì come un arricchimento, come uno stimolo e come un’opportunità di scambio, incontro e confronto. Fra culture, colture, saperi e sapori”, spiega Sandro Maritani. Alla regia di una pasticceria che porta fiera il cognome di famiglia: a Staranzano, in provincia di Gorizia. Laddove il Friuli Venezia Giulia corre verso la Slovenia. “Noi siamo lontano da tutti e da tutto”, precisa Sandro. Ma non poi così lontano dall’incanto vitivinicolo del Collio Goriziano, dall’iconico fiume Isonzo, dall’augusta Aquileia, dal maestoso Castello di Duino e dal verde del Parco Naturale Laghi di Doberdò e Pietrarossa. “Il bello? È che abbiamo uno sguardo privilegiato sulla Mitteleuropa”, continua mister Maritani. Che con forza, visione e coraggio porta avanti una storia cominciata da un forno. Sì, dal panificio del bisnonno Luciano, che passa la passione al figlio Carlo e lui al figlio Ottavio. Che, con la moglie Rosalba, indaga le nuove prospettive della pasticceria. Trasmettendo competenza e conoscenza al figlio Sandro. “Ma il pane lo faccio ancora. Anzi, stiamo aumentando la produzione”, svela orgoglioso l’artigiano.

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2020


“E poi, in questo periodo, hanno avuto tanto successo i dolci tipici. Come la pinza, il presnitz e la putizza”, continua il maestro. Facendo riferimento a un dolce semplice e localissimo, ideale per la colazione; a una delizia regale, amata dall’imperatore Francesco I, a forma di corona, a base di pasta sfoglia e preziosa di noci, uvette, pinoli, rum, zucchero di canna e cannella; e a un’altra golosità in equilibrio fra Trieste e il Carso. Piedi per terra, dunque, ma sempre guardando la contemporaneità con occhi curiosi. Sta lì il segreto dei Maritani. Sta nel non perdere l’hic et nunc e nell’osservare l’orizzonte. Sta nel realizzare biscotti fragranti e torte moderne. Sta nell’accogliere l’ospite con un perfetto servizio dietro il bancone e nell’andare incontro al cliente, con un delivery fatto per bene. Intanto? Sandro pensa, riflette, sperimenta e si cimenta nelle sue adorate longuette: barchette di frolla d’innata eleganza. “Abbiamo riaperto anche il Caffè Carducci e il Caffè Municipio di Monfalcone. Dove siamo specializzati negli aperitivi”, racconta. Ricordando le altre due insegne di famiglia. Complice il fratello Paolo e il suo profondo expertise in fatto di vini e di cocktail. Per una proposta che mette sempre il grandangolo.


La Pasticceria Maritani di Sandro Maritani ha riaperto a Staranzano (Gorizia). E Sandro ci propone la ricetta dei suoi Biscotti Bonsemì.


❓Torneremo a superare le frontiere❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-06-03T16:50:31+02:00

Guardando Gavi dal Forte - Consorzio Tutela del Gavi

Leggi l'approfondimento su ec.europa.eu

Le chiameremo ancora frontiere?

La pandemia ha chiuso le porte. E non solo quelle di casa. Il blocco generale non ha risparmiato le frontiere. Che pian piano stanno per riaprire i loro varchi. Così come son tornati liquidi i confini fra regioni. Confini. Importanti, per delineare e definire un’identità: locale o nazionale che sia. Confini che delimitano, ma che certo non limitano. Anzi. Esortano ad andare oltre. Dipende sempre da come si osservano le cose. Da come si guarda la frontiera. Ossia inesauribile spazio di opportunità. Un’area di scambio, dialogo e confronto. Una terra di confluenza, in cui il qua e il là si mescolano, perennemente. Creando un mix di culture: linguistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche. Frontiera come energia, vitalità, dinamismo. Basti pensare a un generoso e fertile terroir alessandrino qual è quello di Gavi e del Gavi, augusto bianco piemontese - figlio d’uva cortese - tutelato dalla docg. Una denominazione in bilico fra Monferrato e Mar Ligure. Versatile crocevia in cui si alternano filari, boschi e colline. Storicamente chiamato, non a caso, Oltregiogo (ossia superato il Passo dei Giovi) e facente parte dell’entroterra della Repubblica di Genova. 


L'etichetta d'artista della bottiglia istituzionale 2020 del Consorzio Tutela del Gavi


Una zona di passaggio. Capace di valorizzare il suo spirito crossover persino in un’immagine. Anzi, in quella che è la neonata etichetta della bottiglia istituzionale 2020 del Consorzio Tutela del Gavi. Un’etichetta-icona, ambasciatrice di un paesaggio in un assaggio. Portavoce di un territorio dalla posizione strategica: fra Liguria, Torino e Milano. A firmarla? L’artista Riccardo Guasco, illustratore poetico e ironico, ammiratore di Picasso e di Depero, dei manifesti di inizio Novecento e della grafica de Il Corriere dei Piccoli. Un’etichetta al femminile, per meglio precisare il senso di salvaguardia e protezione. Un’etichetta-ritratto di Gavia, leggendaria principessa che si narra abbia dato il nome a Gavi. Tra fluenti e sinuosi capelli che simboleggiano il mare e braccia pronte a cingere le colline, i vigneti e il granitico Forte. Antico avamposto difensivo.


I prodotti firmati Hermes Botanica

Frontiera come tensione creativa. Anche per le Cantine Gori di Nimis, in provincia di Udine. Nell’estremo lembo dei colli orientali del Friuli. Una realtà visionaria, che, grazie al brand Hermes Botanica, dà voce alle Alpi e al Mediterraneo, alla memoria e all’ingegno, ai vitigni e alle botaniche, all’enologia e alla mixology. Superando i confini della mente e del palato. Senza mai tradire la tradizione della grappa. Ecco allora il nuovo “Amaro”, sodalizio fra erba iva balsamica - conosciuta anche come achillea moscata (che cresce fra i 1.400 e tremila metri) - e l’agrumata scorza del mandarino. Il tutto lasciato in infusione nella grappa. Ma ecco anche la trilogia di vermut: il “Bianco”, tandem di ribolla gialla e friulano, con la complicità di spezie ed erbe aromatiche (fra cui artemisia, genziana, cannella, semi e radici di angelica, cardamomo, arancio amaro, camomilla e rabarbaro); il “Cannabis”, cui concorrono estratto di semi di cannabis sativa, ma anche zenzero, limone, imperatoria, curcuma e china; nonché il “Rosso”, tributo al Ramandolo, nato dalle uve di verduzzo lasciate ad appassire. Come qui si usa fare.

Partecipa al sondaggio.


Cristina Viggè
2020-06-20T15:51:34+02:00

Alessandro Plastina - Foto di Thorsten Stobbe

Alessandro Plastina: Calabria a Trecentogradi

“Lo scorso settembre ho aperto in centro a Corigliano. Lì mi sono concentrato sulla pizza in teglia alla romana. Un po’ perché mancava come proposta in zona e un po’ perché mi intrigava l’idea di farla e di presentarla. Così ho inaugurato Trecentogradi. Mutuando il nome dalla temperatura perfetta per sfornare questo tipo di pizza. Ma non solo da solo. Con me ci sono altri due soci: Carmine Fontana e Gregorio Caldeo. Il primo è un pizzaiolo di lungo corso, che già lavora con noi alla pizzeria Mimosa. Mentre Gregorio è colui che si occupa dell’amministrazione”. Mentre racconta, Alessandro Plastina, è felice. Sia della nuova avventura, nel cuore del paese, sia di continuare a portare avanti un’insegna storica come la Mimosa, aperta da papà Claudio nel lontano 1986, in un'area più periferica di Corigliano Calabro, frazione del comune di Corigliano-Rossano. In provincia di Cosenza. “Siamo a 40-45 minuti di auto dall’altopiano della Sila”, spiega orgoglioso Alessandro. Che, in perfetta sintonia con la squadra - e con il collega e socio Carmine -, si alterna alla regia degli impasti e del forno. “Sono una sera qua e una sera là”, precisa sorridendo.

Alessandro Plastina si racconta a PizzaUp 2019 - Riprese a cura di Enrica Guariento

La pizza in teglia con fiori di zucca, 'nduja e pomodorini gialli di Trecentogradi

Tanto, le due realtà sono diverse. Anzi, si compensano e si completano. “Alla pizzeria Mimosa abbiamo circa 120 coperti all’interno e altrettanti nello spazio esterno pavimentato. Lì abbiamo il forno a legna. Proponiamo la pizza tonda e quella in pala. Anche se non nego che, dopo 35 anni di attività, vorremmo fare una bella ristrutturazione e ampliare anche la proposta. Invece, da Trecentogradi abbiamo meno posti a sedere. Una trentina. Che ora naturalmente sono stati ridotti a 18-20. La protagonista, come dicevo, è la pizza in teglia. Partendo da una biga, preparo un impasto ad alta idratazione. Arrivo all’80%. Però propongo anche la pizza in pala. Che comunque è differente da quella della Mimosa, perché cotta nel forno elettrico. E poi abbiamo il padellino. In questo caso utilizzo il lievito madre, un licoli che rinfresco con la farina Panettone. E arricchisco il tutto con un po’ di integrale Petra 9. Ma ho anche iniziato a preparare la tonda. In questo caso spingo il forno a 350°C. Sta andando bene. Ha preso piede”, commenta orgoglioso Plastina. Fiero anche della sua lungimiranza: “Il delivery da Trecentogradi l’abbiamo sempre fatto. Anche prima della pandemia. Quindi eravamo preparati. E ora proseguiamo con le consegne a domicilio, con l’asporto e con il servizio al tavolo”. Per una proposta a trecentosessanta gradi. 


La pizza al padellino, preziosa della cipolla rossa di Tropea

Due locali. Due motori ben oliati. A un passo dal mare. “Certo, qui ci sono le splendide spiagge di Schiavonea. La patria di Rino Gattuso”, puntualizza il pizzaiolo, con una bella laurea in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, ma pure con tanta voglia di dar voce alla sua terra. “Cerco di valorizzare i prodotti regionali e gli artigiani locali. La ’nduja, per esempio, la abbino ai fiori di zucca e ai pomodorini gialli di Corbara. Ma ovviamente non dimentico la cipolla rossa di Tropea, il caciocavallo silano, la salsiccia calabrese e tante altre eccellenze del salumificio Madeo di San Demetrio Corone”, spiega Alessandro, raccontando una realtà posizionata sulle Colline Joniche Presilane che vanta, fra le tante referenze, anche una collection a base di suino nero di Calabria. “Pure la mozzarella di bufala è autoctona, firmata da Bufavella, proprio di Corigliano. E le alici le prendo qua vicino. Le ho assaggiate, sono belle carnose. Non hanno proprio nulla da invidiare a quelle del Mar Cantabrico”, aggiunge lui. Che, intanto, unisce nord e sud nella prosciutto (di Parma) e fichi (indigeni). “Inoltre da bere proponiamo Clemì, una bibita alle clementine della Piana di Sibari prodotta dai fratelli Gallo”. Che sono riusciti a catturare il caldo sole del sud, mettendolo sotto vetro. E servendolo persino in lattina.


Le pizzerie Mimosa e Trecentogradi di Alessandro Plastina hanno riaperto a Corigliano Calabro (Cosenza). Intanto Alessandro ci propone la ricetta della pizza tonda con mozzarella di bufala calabrese, 'nduja, pomodorino giallo e menta.


❓Come potremo narrare il territorio❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-06-20T17:19:32+02:00

Gli spaghetti con vongole veraci, bottarga e pomodorini del piennolo del Vesuvio del Crispi

Leggi l'approfondimento su medioera.it

Come racconteremo le nostre radici?

Quanti significati racchiusi nella parola terra. Cinque lettere che concentrano valori immensi, quali origini, radici, provenienza e senso d’appartenenza. Ma anche partenza, viaggio, incontro, confronto, confini e nuove frontiere. Da indagare e da conquistare. Terra come vicino e come lontano. Terra come racconto. Come possibilità di narrazione. Di una tradizione, ma pure di se stessi e di quello che si fa. “Nel mio dna ci sono sia la matrice napoletana di mamma Carmen sia l’imprinting cremonese di papà Ugo”, spiega col cuor contento Carlo Yuri Dossena, chef e patron del ristorante Crispi, a Milano. “Mio padre è sempre stato un ristoratore. E io sono cresciuto in cucina con lui. Rubando con gli occhi un po’ qua e un po’ là. Pelando le patate, pulendo i pavimenti e sistemando le celle delle vivande. E così, quando ho aperto la mia insegna, per affetto nei suoi confronti, l’ho voluta battezzare con il nome di una piazzetta dove lui ha lavorato. Piazza Crispi per l’appunto. E poi mi piaceva: un nome corto. Semplice da pronunciare e da ricordare”, spiega Yuri. “Sì, all’epoca mamma era giovanissima e innamorata della storia del Dottor Zivago. E così io e mia sorella siamo stati battezzati Yuri e Lara”. 


La parmigiana di melanzane scomposta del Crispi

Crispi intanto festeggia i suoi primi vent’anni. Un vero millennial: nato nel 2000 in via Cadore, per poi trasferirsi nella residenziale via Bronzetti, nel 2013. Accendendo i riflettori su una cucina partenopea contemporanea. Della serie, veracità ed eleganza. Il lungomare di Mergellina sfiorato dalla Madonnina. “Il mio pallino è il pomodoro fresco. Per ottenere la salsa lo faccio cuocere per tre ore. Piano piano. Così perde tutta la sua acidità”, precisa il cuoco. “Ci condisco gli spaghetti. Sono uno di miei cavalli di battaglia. Ma in realtà amo fare tutti i primi piatti. Sono convinto che nella loro preparazione possa davvero uscire l’anima dello chef”. Che in effetti esce. Anche negli spaghetti a’ vongole; nella pasta, patate e provola; e nei paccheri al ragù di polipo o alla vesuviana, con aglio, olio, peperoni, basilico e immancabile salsa di pomodoro. Non dimenticando la parmigiana di melanzane scomposta. “Prendo delle melanzane piccole. Le faccio a fette e le passo nella farina, nell’uovo e nel pangrattato. Poi le friggo e completo il tutto con pomodoro fresco e stracciatella”. Che Yuri utilizza anche per chiosare una raffinata tartare di salmone e pesce spada. Non tradendo baccalà fritto, ’mpepatella di cozze e pizza. Cotta nel forno a legna e proposta anche nella versione fritta. Col pomodoro ’n coppa.

Lo chef Yuri Dossena, patron del Crispi. In sala c'è mamma Carmen

La pizza fritta con la salsina di pomodoro fatta in casa

Gli spaghetti con salsa di pomodoro homemade, burrata e basilico

Il fritto all'italiana: crocchette di patate, olive all'ascolana e mozzarelle in carrozza

Una Napoli moderna e scattante quella di Yuri. Servita in un locale dalle linee chiare, pulite, geometriche ed essenziali. Che con la stagione estiva si allunga nel rilassante dehors. Dove il rito dell’aperitivo si fa ancor più piacevole. Restando fedele al credo dosseniano-napoletano-italiano della pasta. “Ogni sera propongo un’entrée e due assaggi di primi. Spaziando da regione a regione. Oppure soffermandomi su una regione. È il mio modo per raccontare l’Italia e le sue tradizioni. Recuperando i grandi classici. La lasagna, l’amatriciana, la cacio e pepe”, puntualizza lui. Che abbina il tutto con un calice di vino o con uno Spritz. Al prezzo democratico e popolarissimo di 9 euro. “Lo faccio perché mi diverto. Non sto troppo a guardare il food cost. Se una pietanza richiede la ricotta di pecora io ce la metto”. Questione di coerenza. 



Cristina Viggè
2020-07-09T16:34:53+02:00

Gianluca Gorini - Foto di Nicolò Brunelli

Gianluca Gorini e le sue country roads

“Tutto sta andando per il meglio. Anzi, oltre le attese. Sì, perché a dire il vero non avevo grosse aspettative. E invece… si vede che in due anni abbiamo seminato bene. Il territorio risponde, ci sostiene in tutto per tutto. Insomma, la macchina è ripartita e ne siamo felici. Abbiamo ritrovato le giuste energie e aggiunto anche nuove motivazioni. Siamo pronti per affrontare l’estate, ma soprattutto l’autunno e l’inverno. Che sono le stagioni della nostra massima espressione”. È carico Gianluca Gorini, chef e patron del ristorante stellato che porta il suo cognome. E che profuma di casa. A San Piero in Bagno. In terra di Forlì-Cesena. Così come grintosi sono Sara Silvani - compagna di Gianluca e radiosa grand dame della sala - e la brillante brigata. Che, per raccontare la verità del vino, conta sul savoir-faire del sommelier Mauro Donatiello, fratello (gemello) di quel Vincenzo che se ne sta alle redini della cantina del Piazza Duomo di Alba.

La sala del ristorante daGorini, a San Piero in Bagno

daGorini l'accoglienza ha i sapori di casa - Foto di Nicolò Brunelli

La cucina nell'anima di Gianluca Gorini: l'opera di Fiorenza Pancino

Romagna dunque. Fortissimamente Romagna. Con il fiume Savio ad attraversar le campagne e a tracciare la rotta dall’entroterra al Mar Adriatico. Con la piccola fattoria della famiglia di Sara a concorrere all’avventura ristorativa. E con una colta filiera di agricoltori, contadini e artigiani a far da corollario. Per dar vita a una cucina profondamente legata alla ruralità, anche quando si concede un azzurro tuffo in acqua. Ecco allora la sfilata delle entrée, sapiente tributo a ortaggi e piante aromatiche: cavolfiore marinato in rosso, bottarga di tonno, polline e maionese al miele; pomodoro ripieno alla brace, acqua di pomodoro e pesto di erbe tostate; porro fondente, nocciola, pâté di fegatini, timo e tartufo nero. Non dimenticando la selvaggina - capriolo marinato, salsa alla senape, cipolla rossa di Tropea, olive di Taggia e frutti rossi - e neppur la fauna marina: ricciola scottata, vinaigrette al tosazu, alga nori, sedano e mela verde.

Gianluca Gorini e la compagna Sara Silvani

Sembra di sentire il refrain di John Denver. Country roads, take me home. Anche assaporando il resto della carta. Risotto al finocchio, estratto di camomilla e limone; tortelli di cacciagione, pesca, gelsomino e vermut bianco; mezze maniche alle canocchie, peperoni bruciati e foglie di capperi; tagliolini tiepidi di rapa rossa, battuto di gamberi rosa e bergamotto candito. E ancora, maialino di mora romagnola alla vaniglia, arachidi, carota e mostarda di agrumi; anguilla alla brace, birra scura, scalogno, rapa bianca e tarassaco; nonché agnello alla brace, stridoli, salsa di acciughe e tartufo nero. Romagna. Romagna. Romagna. Amara, acida, dolce. Pop, rock, jazz, soul. Anche se lui, Gianluca, è originario di Pesaro. Ma basta avere orecchio, ascoltare il territorio e tradurlo in vivande. Persino piatti e portaposate sono firmati dalla ceramista faentina (d'adozione) Elvira Keller. Mentre la teoria di mestoli alla parete incarnano un'opera dell'artista - veneta ma di stanza nella città manfreda - Fiorenza Pancino.


Il cavolfiore marinato in rosso con bottarga di tonno, polline e maionese al miele - Foto di Nicolò Brunelli

I tortelli di cacciagione, pesca, gelsomino e vermut bianco - Foto di Nicolò Brunelli

“Ma per chi si fida, vuole davvero osare e sentire il brivido correre lungo la schiena, propongo La mia mano libera. Da sette e da nove portate. Certo, non è un menu che tutti si posso concedere. Ma vi assicuro che ci diamo dentro”, racconta fiero Gorini. Che non dimentica i dessert, fra zuppa inglese a modo suo; semifreddo al raviggiolo (un must dell'Appennino Tosco-Romagnolo), amarene sciroppate, croccante alle noci e vermut rosso; torta al caramello, frutto della passione, fava di cacao e salsa mou al sale di Cervia; e rabarbaro al gin, crema di mandorle armelline e sorbetto di lamponi. Per un dolce fucsia. Colorato, vibrante e vivace come la Romagna.

La torta al caramello, passion fruit, fava di cacao e salsa mou al sale di Cervia - Foto di Nicolò Brunelli

E per esplorare nuove strade? C’è tutta una sezione - sul sito ufficiale dell’insegna - dedicata a un bel viaggio regionale (con qualche divagazione nella vicinissima Toscana). Per scoprire l’habitat goriniano. Fatto di luoghi e di spazi interconnessi. Come il Parco delle Foreste Casentinesi, il santuario francescano della Verna, il Monastero di Camaldoli, la diga di Ridracoli. Perché un ristorante non è solo un ristorante. Ma il racconto di un ecosistema.

Il ristorante daGorini di Gianluca Gorini ha riaperto a San Piero in Bagno (Forlì-Cesena).


❓Sapremo tracciare nuove rotte nei nostri territori❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-07-10T10:05:53+02:00

Si cammina fra le vigne, grazie ai nuovi Sentieri Gastronomici - Foto di Efrem Zanchettin

Leggi l'approfondimento su smartgreenpost.it

Disegneremo nuovi sentieri?

“Diego Bongiovanni è uno di quelli che hanno accettato la vera sfida 2020. Perché in genere, nel turismo, si cerca di migliorare il prodotto. Si tende a prendere quello che si ha già, facendone l’upgrade. Ma oggi questo ragionamento non vale più. È necessario ridisegnare i processi. È una questione di design applicato alla proposta turistica. Siamo in mano a un pugno di eroi, capaci di tagliare sartorialmente un’offerta. Rendendola il più possibile sostenibile”, spiega Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Langhe Monferrato Roero, alla presentazione ufficiale dei Sentieri Gastronomici. Visionario progetto territoriale - anzi regionale - firmato da uno chef-imprenditore quale Diego Bongiovanni. Noto volto televisivo - in primis, La prova del cuoco su Rai 1 - ma anche testimonial, consulente e ideatore di format inediti e competitivi. “Inizialmente questo lockdown mi ha messo in crisi. Temevo di veder sgretolare tutto ciò che avevo costruito. Ma poi mi sono fermato e ho capito. Non dovevo più essere un cuoco nazional popolare con influenze piemontesi. Ma essere un cuoco piemontese in grado di influenzare il mondo nazional popolare. Ho pensato alle province, ai comuni, alle frazioni, alle persone, ai prodotti del Piemonte e a quanto potesse essere interessante raccontarne la storia”, commenta l’astigianissimo Diego. Che ha riletto il concetto stesso di sentiero. Inteso come iter di conoscenza.

Into the wine - Foto di Efrem Zanchettin

Sentieri come terre: da toccare, ammirare e respirare, tenendo i piedi per terra. Sentieri come paesaggio e come assaggio. Sentieri come sensibilità, empatia, condivisione. Sentieri come lentezza e consapevolezza. Sentieri come rete, unione, collaborazione: fra pubblico e privato, sindaci locali e istituzioni regionali, enti e consorzi lungimiranti (incluso quello dell’Asti e del Moscato d’Asti docg). Sentieri 2.0: come connessione fra consumatori e produttori. Certo, da una parte c'è un pubblico che ama camminare, mangiare e ascoltare. Dall’altra, ci sono produttori e artigiani che portano avanti con passione, dedizione ed evoluzione il proprio lavoro. Il tutto in un’ottica di turismo di prossimità, responsabile, illuminato e circolare. Perché pronto a mettere in circolo il saper fare, valorizzando l’economia locale e stimolando tutto l’indotto. “Questo è un progetto bello e innovativo perché aiuta il piccolo. E soprattutto perché non porta il cibo verso la persona, ma conduce le persone verso i cibi. Nel segno di un vero e proprio panteismo”, puntualizza saggiamente il critico gastronomico Piermichele Gamba.

Vigne d'estate a Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

Diego Bongiovanni assaggia i vini della maison Criölin - Foto di Efrem Zanchettin

In dotazione? Lo zainetto logato - Foto di Efrem Zanchettin

Passeggiando fra i vigneti di Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

A Castagnole delle Lanze si può anche adottare un filare - Foto di Efrem Zanchettin

Non mere passeggiate, dunque. “Certo, queste non sono semplici scampagnate. Noi gli ospiti non li lasciamo soli. Vengono accompagnati, passo passo, da esperte guide naturalistiche ed ecoturistiche. Che sanno spiegare con competenza un monumento, che sanno soffermarsi su un punto di particolare interesse storico e artistico e che sanno riconoscere la flora locale. Magari consigliando il miglior utilizzo di un’erba o di un prodotto autoctono in cucina”, aggiunge Bongiovanni. Che ha pensato a itinerari fra le vigne, i boschi, i campi, le vie urbane. Da vivere a piedi ma pure in e-bike (le bici elettriche sono fornite da un’azienda convenzionata, con tutto l’equipaggiamento necessario). “Per i percorsi a piedi abbiamo pensato a un massimo di 7 chilometri. Che salgono a 25 per le biciclette. Nel pieno rispetto del social distancing”, precisa Diego. Che ha studiato tutto. Per filo e per segno. Un logo iconico: un cucchiaio innervato di sentieri colorati e diversificati, per evocare la biodiversità delle zone piemontesi. Un portale: in grado di raccontare i luoghi, e non solo di venderli online. Uno zainetto griffato: contenente una mappa (con corredo di suggerimenti, indizi e indirizzi enogastronomici), una tasca porta bicchiere, un calice in plastica rigida e una tovaglia per il picnic.

Incontri ravvicinati con l'uva - Foto di Efrem Zanchettin

Un buon calice di Asti o di Moscato d'Asti docg - Foto di Efrem Zanchettin

Il vitigno moscato bianco - Foto courtesy del Consorzio dell'Asti e del Moscato d'Asti docg

Fotografando il paesaggio - Foto di Efrem Zanchettin

Ovvio, come potrebbe mancare il momento déjeuner sur l’herbe? Tant’è che i cestini divengono essi stessi percorso esperienziale. Da fare in loco o da portare a casa. “Sono la mia fotografia, la mia istantanea, il mio sguardo sul Piemonte”, dichiara lo chef. Che ha messo a punto i box gourmand in tandem con Shopiemonte. “E una volta acquistato un sentiero se ne può comprare un altro. Oppure si può acquistare un altro kit gustoso”. Che, per esempio, inanella gli snack al tartufo di Tartuflanghe (di Piobesi d’Alba); il salame dell’agrisalumeria Luiset (di Ferrere, Asti); il Cusiè di pecora e vacca by Beppino Occelli (stagionato nelle cantine di Valcasotto, nel Cuneese); e la torta di nocciole della pasticceria Scagline (di San Damiano d’Asti).

La geometria delle vigne - Foto di Efrem Zanchettin

Fra grano e grappoli - Foto di Efrem Zanchettin

Molti i sentieri in programma. Ma il primo a fare il suo debutto ufficiale è quello a Castagnole delle Lanze, nell’Astigiano. Nella terra di mezzo fra Langhe e Monferrato. Nel cuore del Patrimonio Unesco. In un geometrico susseguirsi di vigneti che spesso cedono spazio a frutteti e noccioleti. Un paradiso di rara bellezza, che vanta i suoi highlights. Vedi il Parco della Rimembranza, con la torre panoramica voluta dal conte Paolo Ballada di San Robert e utilizzata come osservatorio astronomico; l’antica pieve in frazione Carossi; la chiesetta di San Defendente; nonché la maison Dogliotti 1870, posizionata nella parte bassa del borgo.

Barbera d'Asti e salame a casa Dogliotti 1870

Ivan Dogliotti

Il Moscato d'Asti secondo Erik Dogliotti

La sala degustazione della cantina Dogliotti 1870

Tappa d'assaggio alla cantina Dogliotti 1870 - Foto di Efrem Zanchettin

Un aperitivo a base di vermouth bianco 18/70 e acini di moscato ghiacciati - Foto di Efrem Zanchettin

Una maison ultracentenaria, oggi portata avanti dai fratelli Erik e Ivan (enologo e responsabile commerciale) e dal cugino Matteo (alla parte grafica). Fieri d’aver dato una nuova interpretazione del Moscato d’Asti. “Volevo dimostrare il grandissimo potenziale di questo vitigno. Andando oltre la sua concezione aromatica. E liberandolo dal giogo del fine pasto. Per sposarlo anche a piatti salati. Lascio il moscato sui suoi lieviti per più di un anno. Una parte in acciaio e una in legno. E una volta imbottigliato lo faccio riposare ancora per parecchio tempo in cantina. Sviluppa un ampio ventaglio di profumi. Oltreché un’acidità e una sapidità straordinarie”, spiega Erik. Che va a creare anche un cru di Moscato d’Asti: il Berlet, figlio della storica vigna di famiglia. E realizza pure il vermouth bianco 18/70. Complice sempre il Moscato d’Asti e ben 51 spezie e aromi, fra cui l’immancabile assenzio. “Il nonno lo produsse fino agli anni Settanta. Così nel 2011 abbiamo deciso di ripescarne la ricetta. Lo facciamo anche rosso, utilizzando la Barbera d’Asti e 46 botaniche. Del resto il vermouth è l’autentico aperitivo piemontese”, racconta orgoglioso Ivan.

Rose: le regine della vigna - Foto di Efrem Zanchettin

Una sosta lungo il cammino, per conoscere l'azienda agricola Criölin - Foto di Efrem Zanchettin

Storie. Da scoprire passeggiando o pedalando. Storie come quella di Claudio Canavero, alle redini di un’azienda a cui già papà Angelo ha dato notevole impulso e a cui lui dà forza, audacia e coraggio: Criölin. Che mutua il nome dal grande strumento (tenuto in equilibrio da tre legni) utilizzato per setacciare il frumento dei contadini. Una realtà rurale e sincera, che produce una più quotidiana Barbera d’Asti e una più ricercata Vigna Rorisso, affinata in barrique di rovere; un armonioso Chardonnay cru Praddone e un delicato, elegante e appena petillant - Moscato d’Asti, proveniente dalle vigne di Castiglione Tinella. Iconico moscato, letto anche in versione passito: ideale con formaggi e foie gras.

Scoprendo fiori ed erbe lungo i sentieri - Foto di Efrem Zanchettin

Nella cantina di Piero Cane, sempre a Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

Terre Bianche presenta le sue preziose nocciole - Foto di Efrem Zanchettin

Intanto, fra brevi aneddoti su lattughino selvatico e tarassaco, piantaggine e amaranto, coda di cavallo e portulaca, ecco farsi avanti le tonde e gentili dell’azienda agricola Terre Bianche. Che, dal 1980, fa della corilicoltura il suo must. Eleggendo a protagonista la nocciola: tostata, trasformata in pasta e farina, tradotta in croccante e biscotti e naturalmente in creme spalmabili: bianca, al gianduia e fondente. Mentre Piero Cane fra Tris: un bianco ottenuto da tre vitigni, quali chardonnay, cortese e favorita. Non trascurando un vibrante Rosé da uve nebbiolo e neppure una signorile Barbera d’Asti come La Patrizia. E i Bianco bros? Figli di Mauro, Davide, Matteo e Cristiano (rispettivamente 22, 20 e 19 anni) sono i timonieri millennial della Tenuta San Mauro. Una cantina fascinosa (e pure panoramica), che conta due cascine satelliti: Ca’ Nova, in quel di Neive, dove nasce un sorprendente Barbaresco; e Cascina Vallone (podere vicino a Castagnole Lanze), dove prende forma la Barbera d’Asti Superiore.

Diego Bongiovanni e Davide Bianco della Tenuta San Mauro - Foto di Efrem Zanchettin

Matteo Bianco della Tenuta San Mauro presenta le eccellenze della maison - Foto di Efrem Zanchettin

Le possibili letture dello zafferano di Silvio Saglietti - Foto di Efrem Zanchettin

E cresce proprio in terra di barbera lo zafferano di Silvio Saglietti, a capo del nuovo brand Saglietti 1941. Della serie, laddove un tempo c’erano i vitigni ora sbocciano fiori e stimmi. Credendo nella coltivazione biologica e seguendo la tecnica del sovescio, per il mantenimento della fertilità del suolo. Un temerario Silvio, che con lo zafferano ha dato pure vita alla grappa Aurum, a base di vinacce di arneis (grazie alla collaborazione con la Distilleria Castelli di Cortemilia) e alle Gemme: fondenti cioccolatini, realizzati in tandem con Cioccopassione di Incisa Scapaccino, non lontano da Nizza Monferrato. Sentieri insomma, sensoriali e sartoriali. 




Libreria >

INDICE

Simone Padoan e le radici contadine

Partenze e ripartenze

Cristian Marasco e la “sua” Brianza

L'elogio del “vicino”

Giuseppe Rizzo: punti di riferimento

A misura d'uomo

Alberto Morello: orto e sinergia

Nuove alleanze territoriali

Tiziano Busuoli: dolcissima Emilia

Savoir-faire artigiano

Sandro Maritani: dolci senza frontiere

Superando i confini

Alessandro Plastina: fra Ionio e Sila

Narrazioni territoriali

Gianluca Gorini: Romagna rulez

Percorsi sartoriali e sensoriali

Condividi
Tweet

Info | +39 0429 649150 | Map

Libreria >

INDICE

Simone Padoan e le radici contadine

Partenze e ripartenze

Cristian Marasco e la “sua” Brianza

L'elogio del “vicino”

Giuseppe Rizzo: punti di riferimento

A misura d'uomo

Alberto Morello: orto e sinergia

Nuove alleanze territoriali

Tiziano Busuoli: dolcissima Emilia

Savoir-faire artigiano

Sandro Maritani: dolci senza frontiere

Superando i confini

Alessandro Plastina: fra Ionio e Sila

Narrazioni territoriali

Gianluca Gorini: Romagna rulez

Percorsi sartoriali e sensoriali

Condividi
Tweet

Info | +39 0429 649150 | Map

Site TitleSite Slogan

terra.

FUORI IL PROSSIMO
Iscriviti alla Newsletter e ricevi per primo le novità.

Leggi l'introduzione

Cristina Viggè
2020-04-18T00:00:00+02:00

Simone Padoan fotografato per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Mai perdere l'identità.

Più che sulla terra lui preferisce andare nella terra. Cercando e cogliendo le radici. Persino della lingua. Simone Padoan, capitano de I Tigli di San Bonifacio (Verona), ama il dialetto, la materia, la filiera colta. E ama anche guardare le cose da un punto di vista dinamico e propositivo. Della serie, la noia può essere un’opportunità per riflettere, pensare, realizzare: un innovativo sistema di consegna della pizza in tutta Italia. Un delivery interattivo ed esperienziale, capace di non far perdere mai né la gestualità né l’identità.

Simone Padoan intervistato da Cristina Viggè in diretta Instagram.

Simone Padoan: fiori, Tigli, viaggi e radici rurali

Sua figlia l’ha chiamata Gaia. Come Gea, madre di tutti gli dei dell’Olimpo, dea della natura e della fertilità, identificazione della Terra stessa. Sì, terra. Perché è nella terra che affondano le origini di Simone Padoan. Così come nella terra si tuffano le radici degli alberi che danno il nome alla sua insegna, nella veronese San Bonifacio: I Tigli. Anno di nascita 1994. “Arrivo da una famiglia dalla matrice rurale. E forse proprio l’aspetto contadino mi ha permesso di avere radici ben salde e idee precise su quello che volevo fare”, spiega Simone. Ultimo di nove figli. Nati e cresciuti in seno di una famiglia molto unita. Pronta a tener fede a un rituale sacro: quello del pasto. Tutti intorno a un tavolo. Ancor oggi elemento centrale del locale, tanto da farsi addirittura social e conviviale. Poi? È sempre la terra a parlare, coinvolgendo pavimenti, arredi e sedute. In un dialogo fra porfido, pietra gialla di Vicenza e legno di cedro.


Simone Padoan si racconta per l'Almanacco della Pizza - Riprese a cura di Enrica Guariento


E sempre dalla terra vien da pensare siano sbocciati quei “fiori di stagione” che, negli anni Novanta, corredavano i primi menu di Simone. Una carta povera, con pizze semplici. Terra. Sulla quale Simone è caduto e sulla quale si è rialzato. Con più grinta e coraggio. Nel 1999, alla fine del secondo millennio. Chissà, forse un segno del destino. “Dopo ogni momento buio e di crisi c’è una rinascita. C’è una voglia di riscatto. C’è il desiderio di vedere la luce”. E lui? Non solo vede la luce, ma accende pure i riflettori su un mestiere, quello del pizzaiolo, che andava nobilitato. “Mestiere, non lavoro”, precisa Simone. “Perché il lavoro lo fai. Il mestiere lo vivi. È la tua espressione. La tua identità”. Della serie, un mestiere lo porti con te. Ovunque tu vada. E proprio durante un viaggio in moto in Toscana, con un gruppo di amici, Simone ha un’illuminazione sulla via di San Quirico d’Orcia. Assaggia la burrata. Colpo di fulmine. Specialmente se sposata col prosciutto. Da lì l’idea di quella che ormai è un’icona: la “Burrata e Crudo”. Talmente copiata da spingere Padoan a farne lui stesso una copia, ma col gambero (crudo). “Rimango convinto che il copiare sia la forma più alta di adulazione. E credo che il copiare ti possa spronare a fare sempre di più, mettendoti in competizione con te stesso. Mentre l’essere copiato ti fa capire di essere sulla strada giusta. Un’idea più essere fantastica nella tua testa. Ma diventa bella se trova consenso”. E le idee possono nascere guardando il mondo con occhi nuovi.

Il locale I Tigli di Simone Padoan riaprirà a San Bonifacio (Verona). Intanto Simone ci propone una ricetta del cuore, una torta dei dì di festa in famiglia: la Torta delle Rose. 


❓Torneremo a viaggiare❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-04-18T14:08:59+02:00

Il Monastero Santa Rosa Hotel & Spa indossa il Tricolore

Leggi l'articolo su touringclub.it

Come cambierà la nostra idea di viaggio?

Difficile fare previsioni. Perché molte sono le variabili dipendenti: chiusura delle frontiere, limitazione negli spostamenti, sicurezza, ferie, disponibilità monetaria. Una cosa è certa: anche nel turismo muteranno modelli e paradigmi. Sarà indispensabile un cambiamento di rotta. Una vera e propria “ripartenza”. E magari non dallo stesso binario. In questo articolo del touringclub.it si fa un’attenta analisi della situazione, indagando pure emergenti forme di tour. Come l’undertourism, contrapposto all’overtourism. Ovvero un tipo di turismo orgoglioso di privilegiare l’Italia, i territori meno noti e affollati, le attività en plein air e i ritmi lenti. Troverà spazio anche quella formula di viaggio detta staycation, ossia di prossimità, a breve-medio raggio. Non lontano dalla propria abitazione. Ecco, forse i viaggi si faranno più easy, ma indubbiamente non meno emozionanti. Si potranno scoprire luoghi prima non considerati e si riuscirà a osservare quelli conosciuti con occhi curiosi. Intanto? Lo stupore arriva anche guardando tutti quei monumenti, quelle ville, quei resort e quelle residenze che durante la pandemia hanno voluto indossare i luminosi colori della bandiera nazionale. Per ribadire la loro presenza e la loro speranza d’accoglienza. È successo per la villa medicea La Ferdinanda di Artimino, toscanissimo Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ed è accaduto pure per il Monastero di Santa Rosa di Conca dei Marini, sulla Costiera Amalfitana, eletto "Hotel of The Year by European Hotel Awards 2020". Intanto? Tour operator, agenzie e organizzatori di eventi si fanno capofila della filiera “viaggio”, lanciando il “Manifesto del Turismo” e ripetendo il mantra: #ripartiamodallitalia. E per ragionare sul domani? Roberta Garibaldi - docente universitaria e autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano - ha messo in calendario una serie di “dialoghi” interattivi (veri e propri webinar gratuiti e disponibili per due settimane dopo il live), capaci di chiamare all’appello operatori e professionisti del settore wine & food. Per riflettere sul futuro e per ragionare sui possibili scenari, sulle eventuali strategie da adottare, sui nuovi trend e sulle prospettive di un comparto che dovrà ricominciare con gli strumenti più aggiornati.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-04-28T17:52:20+02:00

Cristian Marasco - Foto di Brambilla-Serrani

Cristian Marasco: radici campane e swing brianzolo

Lui ha fatto tanto per lei. E lei? Nel 2011 lo ha premiato con un riconoscimento prestigioso quale l’Ambrogino d’Oro. Cittadinanza onoraria annessa e connessa. Lei è Merate, in provincia di Lecco. Lui è Cristian Marasco, che a Lecco ci è nato, che vanta radici campane e che vive e lavora a Merate. Dove guida con tutta la famiglia La Grotta Azzurra. Aperta dal lontano 1982 da mamma Gigliola e papà Crescenzio. Un’insegna di successo, divenuta ormai una e trina. Visto che ha colonizzato anche Garlate (sempre in Brianza) e Bonate Sopra (nella Bergamasca). Questione di visione, di sensibilità umana e imprenditoriale, di feeling e di sintonia con una terra e con il suo ricco patrimonio culturale, ambientale e gastronomico. Insomma, Cristian ha saputo ascoltare Merate, la “sua” Brianza e la Lombardia. Ed è stato ripagato.


Cristian Marasco nello spazio Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019 - Riprese di Andrea Tadioli

Ma non basta. “In questo momento complesso mi sentivo in dovere di fare qualcosa di più per Merate e la mia terra”, precisa Marasco. Che non ci pensa due volte e mette a punto il suo personale delivery, con tanto di impasto a lunga lievitazione studiato ad hoc e suggerimenti utili per il consumo e la cottura perfetta della pizza (aggiungendo pure l’opzione conservazione: in frigorifero o in congelatore). Non solo. Marasco dona. Il suo tempo e le sue creazioni. Sono infatti cinque settimane che, puntuale ogni martedì, porta le sue pizze (ma è stata pure la volta delle colombe) all’ospedale di Merate, alla casa di riposo e alla Croce Rossa di Olgiate Molgora. Ricevendo messaggi colmi d’affetto. E poi? Continua a dare visibilità alla Brianza e alla Lombardia. Optando per una filiera sapiente e trasparente. Il che significa anche scegliere un salume nobile come la Collinetta, una pancetta cotta, arrotolata e leggermente affumicata firmata Marco d’Oggiono. E ancora, il taleggio della Valsassina, la polenta, la borroeula. Un’icona del genius loci, griffata dalla macelleria Da Pinuccio, a Sartirana di Merate. Perché sempre lì si torna. Non dimenticando certo il mare. Quello della Campania Felix delle sue origini. Che almeno si può sognare e assaggiare sopra la pizza. Alici di Cetara docent.


Le tre insegne La Grotta Azzurra di Cristian Marasco riapriranno a Merate, Garlate (Lecco) e Bonate Sopra (Bergamo). Intanto Cristian ci propone la ricetta della sua focaccia alla fecola di patate e lievito madre, da farcire con la pancetta Collinetta di Marco d'Oggiono, il taleggio della Valsassina e gli spinacini novelli.


❓Impareremo a guardare vicino❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-04-28T18:13:49+02:00

Paesaggio siciliano: foto di Peter H da Pixabay

Guarda il video su rainews.it/tgr/sicilia

Sapremo riconquistare i nostri territori?

Si esorta sempre a guardare lontano. Vero. Verissimo. È importante essere visionari e lungimiranti. Vedere oltre. Ma forse in questo momento il vedere oltre sta proprio nella capacità di osservare più consapevolmente quello che sta vicino. No, non s’intende ciò che sta fuori dalla finestra - di cui ormai sappiamo ogni dettaglio -, ma ciò che ci sta intorno, ossia borghi, boschi, castelli, pievi, laghi, siti archeologici e rurali. Si potrà viaggiare meno? E allora perché non riscoprire la bellezza del piccolo mondo in cui viviamo e lavoriamo? L’Italia ha una fortuna: non solo un’immensa biodiversità agricola, ma pure un’ineguagliabile ecletticità paesaggistica. Ogni territorio è un microcosmo di meraviglia. E per capirlo non serve andare da Aosta a Trieste e dalle Alpi all’Etna. Bensì dalla spiaggia di Marina di Cottone all’Etna. A piedi. Come ben fa da tredici edizioni (la quattordicesima è spostata al 12 giugno 2021) la SuperMaratona dell’Etna: da zero a tremila metri in una sola gara. E in una sola parte della Sicilia. Sì, forse ha ragione il governatore della regione Nello Musumeci quando, in un’intervista al Tgr Rai, afferma: “Quest’anno i protagonisti del turismo in Sicilia saranno i siciliani, perché noi puntiamo, per ovvie ragioni, su un turismo autoctono”. Perché no? Basti pensare alle fitte reti di consorzi, strade del vino e dei sapori, enti e associazioni culturali che operano in ogni dove, difendendo il territorio, valorizzando il territorio e incentivando un turismo lento, colto, responsabile e sostenibile. Ecco, magari bisognerebbe semplicemente farlo coinvolgendo ancor meglio chi sta già in "casa". Intanto è nato "Io resto in Italia", progetto corale che riunisce oltre duecento imprenditori del turismo. Una piattaforma che mira a dare ossigeno al settore, promuovendo gli itinerari di prossimità. Un serbatoio di pensieri che si nutre di talk, conferenze e idee open source. 

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-05T15:45:04+02:00

Giuseppe Rizzo fotografato per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Giuseppe Rizzo: il nuovo angolo Dell’Angolo

Ha voluto ritrarli in uno scatto, postato su Facebook e Instagram: rapanelli, finocchi e agretti, giunti freschi freschi da Cascina Pasini. A Cisliano, nel Parco Agricolo Sud Milano. Li ha fotografati per raccontare la sua filosofia a chilometro cortissimo. Per comunicare il suo essere saldamente connesso con il territorio. Per trasmettere un messaggio di fiducia e di trasparenza. Con un semplice fermo immagine, denso di significato, Giuseppe Rizzo narra il suo voler far parte di una filiera colta e virtuosa. Il suo voler difendere e valorizzare un comprensorio attivo e dinamico. Dislocato fuori dalla città, ma non così tanto. Una rural zone dove spesso lui va a spasso con Zuwa, il suo fedele rhodesian ridgeback. Per poi tornare nel suo “parco giochi”: l’attrezzatissimo laboratorio, attiguo all’insegna che guida: il ristorante Dell’Angolo (completato dal claim: il lato buono della cucina e della pizza). Battezzato così per la posizione: proprio sulla svolta che fa via Eugenio Villoresi, correndo via Volontari della Libertà.


Giuseppe Rizzo si racconta per l'Almanacco della Pizza - Riprese a cura di Enrica Guariento


E adesso? Giuseppe ha aperto un angolo nell’Angolo. Una bakery contemporanea, dove presentare ed enfatizzare alcuni dei suoi cult, come il pane (in diverse tipologie, s’intende), i dolci lievitati, i grissini. “Pensare che sono nati come forma di recupero dell’impasto. E invece ora dobbiamo fare un impasto apposta per loro”, continua Giuseppe. Orgoglioso del nuovissimo corner-panetteria. Non solo un nuovo punto di riferimento per il paese, ma pure un “punto” perfettamente coerente con tutto il resto della proposta. Che contempla pietanze dallo spirito lombardo e mediterraneo, nonché pizze e focacce evolute. Naturalmente anche in versione consegna a domicilio e asporto. “È un lavoro certosino. Perché confezioniamo e infiocchettiamo ben bene ogni alimento ed elemento. Inserendo descrizioni e istruzioni. Ma si sa, la parte estetica è importante. E ci sta dando soddisfazione”.

Il ristorante Dell'Angolo di Giuseppe Rizzo riaprirà a Vittuone (Milano). Intanto Giuseppe ci propone la ricetta della pappa al pomodoro con le vongole e il pane rustico artigianale. 


❓Sapremo riscrivere la nostra territorialità❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-05T16:04:12+02:00

Giuseppe Rizzo a spasso nel parco per con Zuwa - Foto di Thorsten Stobbe

Leggi l'articolo su touringclub.it 

Riusciremo ad accendere nuovi fari?

Dalla Ville Lumière alla Ville du quart d’heure il passo è breve. In tutti sensi. Così, le proiezioni post pandemia riaccendono i riflettori sul progetto della “città dei 15 minuti”, teorizzato per Parigi dal docente della Sorbona Carlos Moreno. L’idea? Quella di sostituire il centro di una metropoli con tanti centri. Quartieri efficienti, sostenibili e performanti, dove ogni azione-reazione sia a portata di mano (o di bicicletta): dall’apprendimento al divertimento, dal far la spesa all’uscire a cena. Un sistema rivoluzionario per decentrare, ricentrando l’obiettivo. Del resto, questi mesi di “fermo macchina” hanno insegnato a guardare e a onorare il qui ed ora. Gli innumerevoli divieti e le limitazioni agli spostamenti hanno incentivato il commercio di prossimità. Riportando la luce sulla bottega, sul negozio sotto casa, sul panificio di fiducia. Nella distanza, si è tornati a dare forza alla parola “vicino”. Perché vicino è un concetto. Un punto di riferimento. Un faro. Che vale sia per la città sia per la campagna. Basti pensare ai ristoranti stellati. Quanti sono posizionati fuori dai nuclei cittadini eppur diventati mete predilette? Ecco, forse dovremo imparare a rielaborare trama e ordito del tessuto sociale. E scoprire che tutto è possibile. Anche in un quarto d’ora.  

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-17T16:55:12+02:00

Alberto Morello nel suo orto sinergico - Foto di aromi.group

Alberto Morello: ortaggi ed energia

Mette le mani in pasta. Ma pure nella terra. O meglio, nell’orto che se ne sta proprio accanto alla pizzeria. Incarnandone l’anima più green. “Si tratta di un orto nato da un lunghissimo e continuo studio. Ho preso il meglio dell'agricoltura sinergica, in cui piante, ortaggi e fiori crescono in sintonia fra loro, aiutandosi e difendendosi a vicenda, e l'ho mixato con altre tecniche che ho imparato. Traducendo il tutto a modo mio. Creando così un orto evolutivo”, racconta Alberto Morello, giovane e dinamico capitano di Gigi Pipa, a Este. Insegna ospitata, guarda caso, in quella che un tempo fu la fabbrica di fiammiferi Saffa. Un locale ampio e arioso, con tanto di plateatico e 250 metri quadrati di zona coltivata. Senza fertilizzanti, senza concimi chimici, nel massimo rispetto per l’ambiente e in perfetta sinergia con la pizzeria. Dove pennellate di “verde” non mancano mai. Seguendo rigorosamente la stagionalità. E la territorialità. Certo, perché laddove l’orto non arriva, arriva la filiera colta. Fiera di far luce anche sugli asparagi di Pernumia, veri gioielli dei Colli Euganei. Ingredienti di eccellenza, pronti a finire sulle pizze e nella nuova serie di burger. In cui non manca il “Farm”, con carne di manzo, erbette di campo, pecorino di fossa, cipolla caramellata, pomodorini confit e maionese alla senape. Il tutto proposto - per l’asporto e il delivery - persino in versione kit. Con corredo di istruzioni per completare a casa le preparazioni.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019


Terra. Che per Alberto significa anche radici. Le sue, affondate nel Padovano. E quelle con la “R” maiuscola, orgogliose di dare il nome al ristorante dello chef Andrea Valentinetti, nel cuore della città del Santo. Con cui Morello, per un weekend, ha dato forma a un brunch a quattro mani. In un incontro ravvicinato "a distanza" fra basi e condimenti, pronti a eleggere a protagonista la gallina padovana. Insomma, questione di simpatia, empatia e sinergia. Per fare rete con i colleghi vicini. Per creare una circolarità fra professionalità e competenze diverse. Per superare l’egocentrismo nel segno di un ritrovato territorialismo. Un altro esempio? La combo focaccia dolce e gelato messa a punto con Giuseppe Schizzerotto della pasticceria atestina VanigliaCioccolato.

La pizzeria Gigi Pipa di Alberto Morello ha riaperto a Este (Padova). E Alberto ci propone la ricetta dei suoi biscotti al germe di grano. 


❓Sapremo fare rete con i nostri “vicini”❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-17T17:08:09+02:00

La focaccia dolce alla fava tonka e cioccolato bianco di Alberto Morello
incontra il gelato di Giuseppe Schizzerotto - Foto di aromi.group

Leggi l'articolo sull'ecodibergamo.it

Impareremo a creare nuove reti?

Mai come ora i social ci hanno aiutato a fare rete. Mai come in questi mesi la Rete ha messo in circolo idee, visioni, emozioni e futuribili proiezioni. Mai come durante la pandemia ci siamo sentiti vicini seppur distanti. Mai come nella tempesta, l’appartenenza a un territorio si è potuta trasformare in forza. Umana e professionale. Basti pensare a una città come Senigallia. Dov’è germogliato il sodalizio delivery pizza-gelato by Coppari e Brunelli. E dove sono nati pure i box emozionali Made in Senigallia, griffati dalle stelle della solare località marchigiana.


La partnership fra Peck e il Corriere della Sera


E ancora, basti pensare alla partnership fra Peck e il Corriere della Sera. Due brand profondamente legati a Milano. Persino quasi coetanei: annata 1876 per la celebre gastronomia; millesimo 1883 per lo storico quotidiano di via Solferino. “Dall’inizio di questa difficile situazione abbiamo potenziato i servizi di delivery per consentire ai milanesi di mantenere le loro abitudini senza dover uscire di casa. Ma non di solo pane vive l’uomo, e così è nata l’idea di portare a domicilio anche l’informazione di qualità. Così importante per vivere in modo consapevole questo tempo pieno di domande e incertezze. Un’integrazione di servizi che ci siamo sentiti di offrire ai nostri clienti e che ha riscontrato molti messaggi di soddisfazione”, racconta Leone Marzotto, ceo di Peck. Ma molte, nel settore industriale, sono state le fertili alleanze fra competenze. Com’è accaduto nella Bergamasca, dove numerose aziende hanno stretto inedite collaborazioni, creando filiere produttive destinate a mascherine, camici e igienizzanti. Unendo, nella massima flessibilità, le singole specificità. Forse un modello da seguire anche su scala nazionale. Superando egoismi e inutili campanilismi. Nel segno di un vincente gioco di squadra.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-05-28T16:52:40+02:00

Tiziano Busuoli a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Tiziano Busuoli: Ritratto Padano

Talvolta è questione di tempismo. “Papà Goliardo e mamma Bianca inaugurarono la pasticceria nel 1966. E io sono stato concepito in contemporanea. Visto che sono nato l’anno successivo”, racconta Tiziano Busuoli, che con la sorella Cristina e la moglie Serena - che gestisce il laboratorio - porta avanti la boutique di famiglia. A Mirandola, in provincia di Modena. In quell’Emilia che si distende serena e pianeggiante, appena superato il Po (venendo da nord). Un destino segnato quello di Tiziano. Che con passione tiene fede a un credo artigiano fondato su freschezza, qualità e genuinità. Mixando sapientemente tradizione ed evoluzione. Passato e spirito contemporaneo. “Certo, ora poi c’è anche mio figlio Emanuele che si occupa della zona bar e gestisce il marketing. Concentrandosi sull’immagine della nostra pasticceria”. Perché Busuoli lo sa: comunicazione e social sono fondamentali. Anche per raccontare la storia e il genius loci. Incarnato in un dolce dal nome “Ritratto Padano”. “Si tratta di una delizia buonissima, particolarissima e profondamente radicata nella nostra campagna. Con lei vincemmo nel 2017 il concorso Sweet Bologna”, ricorda orgoglioso Tiziano. Che rende onore alla saba (mosto cotto) declinandola in un cremoso e in una crema leggera; alla mela campanina (marinata e caramellata); e alle noci. Presenti nella dacquoise e nella pastafrolla. Una torta tonda, dalla superficie a strisce. A ricreare la visione prospettica dei campi coltivati. Un assaggio che si fa paesaggio.


Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2020


Così come ancorato alla terra è un lievitato - proposto tutto l’anno - intitolato a Giovanni Pico della Mirandola, celebre umanista del Quattrocento, nato proprio qui. Ecco dunque la “Mirandolina", summa di pere dell’Emilia Romagna igp, noci, cioccolato, lievito madre e farine Petra 1 e Petra 3. Un savoir-faire artigiano rispettoso della memoria, ma pure capace di far vibrare la creatività. Espressa nell’agrumata “Lemond”, cake integrale alla mandorla (con la buccia) dalle nuance radiose; nella più esotica “Oriental”, armonioso compendio di tè matcha giapponese, curd al mango e crema di cioccolato bianco profumata al limone; e nella saggia “Altea”, emblema di forza e di coraggio. Mutuando il nome da una pianta officinale rinomata per le sue virtù medicamentose e terapeutiche. Del resto althòs, in greco, significa curare, guarire. Un dolce della rinascita e della ripartenza, fra mousse alla robiola, cake al grano saraceno, croccantino fondente e composta di amarene.  


La Pasticceria Busuoli di Tiziano Busuoli ha riaperto a Mirandola (Modena). Intanto Tiziano ci propone la ricetta della sua torta Pertikus con Petra 9 e confettura al lampone.


❓Torneremo a dar luce agli artigiani❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-05-28T17:55:30+02:00

Foto di Thorsten Stobbe per Petra - Molino Quaglia

Leggi l'articolo sull'avvenire.it

Sapremo tornare alla bottega?

“Chi esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie, svolta generalmente in una bottega”. Così l’enciclopedia Treccani definisce l’artigiano. Colui che sa lavorare con le mani. Tenendo i piedi per terra. E mettendoci testa e cuore. Colui che concentra nella forza dell'agire coscienza, coerenza e conoscenza. Colui che tocca e ascolta la materia, per poterla valorizzare al meglio. Marmo, tempera, legno, ferro, latte o farina che sia. Del resto, “andare a bottega” significa e significava imparare un mestiere. Che non è possibile apprendere diversamente. Se non facendo pratica e fatica. Se non ripetendo il gesto, per reiterarlo e codificarlo. In Giappone, alcuni maestri di arti manuali sono considerati addirittura “Tesori nazionali viventi”. Ne ilGolosario - Guida alle cose buone d’Italia, Paolo Massobrio accende la luce su boutique del gusto, microbirrifici, cantine, oleifici, drogherie, enoteche, macellerie, pescherie, gastronomie, pasticcerie, gelaterie. Depositarie di un sapere. Profondamente aggrappato a un luogo. Certo, perché la bottega di prossimità è un faro. Un punto di riferimento. Un presidio di paese o di quartiere. Basti pensare all’Associazione Botteghe Storiche di Lombardia, nata nel 2018 (e facente parte della Confesercenti regionale) con una precisa mission: tutelare un grande patrimonio della collettività.


La nuova Bottega Mazzolino


Botteghe. Ambasciatrici del genius loci. Anche quando corrono online. Come ben sa fare una bottega virtuale appena nata, ma già capace di dar voce all’anima agricola di un intero territorio, che va dall’Oltrepò Pavese all’Appennino, concentrando l’attenzione sull’artigianalità. Il suo nome? Bottega Mazzolino. Anzi: bottegamazzolino.com, gastronomico spin-off dell’omonima tenuta vitivinicola, posizionata sulla destra del Po, nel paesaggio collinare di Corvino San Quirico. Un piccolo clos (per dirla alla maniera della Borgogna) di venti ettari, in cui regna il pinot nero. Affiancato da croatina, chardonnay e moscato. Pronti a regalar nettari in vendita sull’e-shop, insieme a molte altre eccellenze. O meglio, come spiega Francesca Seralvo, proprietaria della tenuta e ora anima della bottega: “Prodotti, figli di gesti agricoli, realizzati da persone vere che abbiamo avuto la fortuna di conoscere grazie al nostro lavoro; amici ancora prima di artigiani che, come noi, hanno deciso di mettere la loro terra al centro di tutto”. Ecco allora i formaggi di capra del Boscasso (a Ruino) e quelli vaccini della fattoria di Campolungo; i salumi del Tizzo (a Torrazza Coste) e il riso delle Tenute Bazzani (in Lomellina); i mieli di Luca Bonizzoni (a Casteggio) e le gelatine di Cascina Costanza (a Godiasco Salice Terme); sino alle confetture e alle conserve di Cascina Rivali (a Lugagnano Val d’Arda). Per un paniere colmo di saggia bontà.

Partecipa al sondaggio.

Cristina Viggè
2020-06-03T16:25:56+02:00

Il pasticcere Sandro Maritani

Sandro Maritani: se il confine non significa fine

“La nostra è una terra di frontiera. Ma io il confine non lo vivo come un limite, bensì come un arricchimento, come uno stimolo e come un’opportunità di scambio, incontro e confronto. Fra culture, colture, saperi e sapori”, spiega Sandro Maritani. Alla regia di una pasticceria che porta fiera il cognome di famiglia: a Staranzano, in provincia di Gorizia. Laddove il Friuli Venezia Giulia corre verso la Slovenia. “Noi siamo lontano da tutti e da tutto”, precisa Sandro. Ma non poi così lontano dall’incanto vitivinicolo del Collio Goriziano, dall’iconico fiume Isonzo, dall’augusta Aquileia, dal maestoso Castello di Duino e dal verde del Parco Naturale Laghi di Doberdò e Pietrarossa. “Il bello? È che abbiamo uno sguardo privilegiato sulla Mitteleuropa”, continua mister Maritani. Che con forza, visione e coraggio porta avanti una storia cominciata da un forno. Sì, dal panificio del bisnonno Luciano, che passa la passione al figlio Carlo e lui al figlio Ottavio. Che, con la moglie Rosalba, indaga le nuove prospettive della pasticceria. Trasmettendo competenza e conoscenza al figlio Sandro. “Ma il pane lo faccio ancora. Anzi, stiamo aumentando la produzione”, svela orgoglioso l’artigiano.

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2020


“E poi, in questo periodo, hanno avuto tanto successo i dolci tipici. Come la pinza, il presnitz e la putizza”, continua il maestro. Facendo riferimento a un dolce semplice e localissimo, ideale per la colazione; a una delizia regale, amata dall’imperatore Francesco I, a forma di corona, a base di pasta sfoglia e preziosa di noci, uvette, pinoli, rum, zucchero di canna e cannella; e a un’altra golosità in equilibrio fra Trieste e il Carso. Piedi per terra, dunque, ma sempre guardando la contemporaneità con occhi curiosi. Sta lì il segreto dei Maritani. Sta nel non perdere l’hic et nunc e nell’osservare l’orizzonte. Sta nel realizzare biscotti fragranti e torte moderne. Sta nell’accogliere l’ospite con un perfetto servizio dietro il bancone e nell’andare incontro al cliente, con un delivery fatto per bene. Intanto? Sandro pensa, riflette, sperimenta e si cimenta nelle sue adorate longuette: barchette di frolla d’innata eleganza. “Abbiamo riaperto anche il Caffè Carducci e il Caffè Municipio di Monfalcone. Dove siamo specializzati negli aperitivi”, racconta. Ricordando le altre due insegne di famiglia. Complice il fratello Paolo e il suo profondo expertise in fatto di vini e di cocktail. Per una proposta che mette sempre il grandangolo.


La Pasticceria Maritani di Sandro Maritani ha riaperto a Staranzano (Gorizia). E Sandro ci propone la ricetta dei suoi Biscotti Bonsemì.


❓Torneremo a superare le frontiere❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-06-03T16:50:31+02:00

Guardando Gavi dal Forte - Consorzio Tutela del Gavi

Leggi l'approfondimento su ec.europa.eu

Le chiameremo ancora frontiere?

La pandemia ha chiuso le porte. E non solo quelle di casa. Il blocco generale non ha risparmiato le frontiere. Che pian piano stanno per riaprire i loro varchi. Così come son tornati liquidi i confini fra regioni. Confini. Importanti, per delineare e definire un’identità: locale o nazionale che sia. Confini che delimitano, ma che certo non limitano. Anzi. Esortano ad andare oltre. Dipende sempre da come si osservano le cose. Da come si guarda la frontiera. Ossia inesauribile spazio di opportunità. Un’area di scambio, dialogo e confronto. Una terra di confluenza, in cui il qua e il là si mescolano, perennemente. Creando un mix di culture: linguistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche. Frontiera come energia, vitalità, dinamismo. Basti pensare a un generoso e fertile terroir alessandrino qual è quello di Gavi e del Gavi, augusto bianco piemontese - figlio d’uva cortese - tutelato dalla docg. Una denominazione in bilico fra Monferrato e Mar Ligure. Versatile crocevia in cui si alternano filari, boschi e colline. Storicamente chiamato, non a caso, Oltregiogo (ossia superato il Passo dei Giovi) e facente parte dell’entroterra della Repubblica di Genova. 


L'etichetta d'artista della bottiglia istituzionale 2020 del Consorzio Tutela del Gavi


Una zona di passaggio. Capace di valorizzare il suo spirito crossover persino in un’immagine. Anzi, in quella che è la neonata etichetta della bottiglia istituzionale 2020 del Consorzio Tutela del Gavi. Un’etichetta-icona, ambasciatrice di un paesaggio in un assaggio. Portavoce di un territorio dalla posizione strategica: fra Liguria, Torino e Milano. A firmarla? L’artista Riccardo Guasco, illustratore poetico e ironico, ammiratore di Picasso e di Depero, dei manifesti di inizio Novecento e della grafica de Il Corriere dei Piccoli. Un’etichetta al femminile, per meglio precisare il senso di salvaguardia e protezione. Un’etichetta-ritratto di Gavia, leggendaria principessa che si narra abbia dato il nome a Gavi. Tra fluenti e sinuosi capelli che simboleggiano il mare e braccia pronte a cingere le colline, i vigneti e il granitico Forte. Antico avamposto difensivo.


I prodotti firmati Hermes Botanica

Frontiera come tensione creativa. Anche per le Cantine Gori di Nimis, in provincia di Udine. Nell’estremo lembo dei colli orientali del Friuli. Una realtà visionaria, che, grazie al brand Hermes Botanica, dà voce alle Alpi e al Mediterraneo, alla memoria e all’ingegno, ai vitigni e alle botaniche, all’enologia e alla mixology. Superando i confini della mente e del palato. Senza mai tradire la tradizione della grappa. Ecco allora il nuovo “Amaro”, sodalizio fra erba iva balsamica - conosciuta anche come achillea moscata (che cresce fra i 1.400 e tremila metri) - e l’agrumata scorza del mandarino. Il tutto lasciato in infusione nella grappa. Ma ecco anche la trilogia di vermut: il “Bianco”, tandem di ribolla gialla e friulano, con la complicità di spezie ed erbe aromatiche (fra cui artemisia, genziana, cannella, semi e radici di angelica, cardamomo, arancio amaro, camomilla e rabarbaro); il “Cannabis”, cui concorrono estratto di semi di cannabis sativa, ma anche zenzero, limone, imperatoria, curcuma e china; nonché il “Rosso”, tributo al Ramandolo, nato dalle uve di verduzzo lasciate ad appassire. Come qui si usa fare.

Partecipa al sondaggio.


Cristina Viggè
2020-06-20T15:51:34+02:00

Alessandro Plastina - Foto di Thorsten Stobbe

Alessandro Plastina: Calabria a Trecentogradi

“Lo scorso settembre ho aperto in centro a Corigliano. Lì mi sono concentrato sulla pizza in teglia alla romana. Un po’ perché mancava come proposta in zona e un po’ perché mi intrigava l’idea di farla e di presentarla. Così ho inaugurato Trecentogradi. Mutuando il nome dalla temperatura perfetta per sfornare questo tipo di pizza. Ma non solo da solo. Con me ci sono altri due soci: Carmine Fontana e Gregorio Caldeo. Il primo è un pizzaiolo di lungo corso, che già lavora con noi alla pizzeria Mimosa. Mentre Gregorio è colui che si occupa dell’amministrazione”. Mentre racconta, Alessandro Plastina, è felice. Sia della nuova avventura, nel cuore del paese, sia di continuare a portare avanti un’insegna storica come la Mimosa, aperta da papà Claudio nel lontano 1986, in un'area più periferica di Corigliano Calabro, frazione del comune di Corigliano-Rossano. In provincia di Cosenza. “Siamo a 40-45 minuti di auto dall’altopiano della Sila”, spiega orgoglioso Alessandro. Che, in perfetta sintonia con la squadra - e con il collega e socio Carmine -, si alterna alla regia degli impasti e del forno. “Sono una sera qua e una sera là”, precisa sorridendo.

Alessandro Plastina si racconta a PizzaUp 2019 - Riprese a cura di Enrica Guariento

La pizza in teglia con fiori di zucca, 'nduja e pomodorini gialli di Trecentogradi

Tanto, le due realtà sono diverse. Anzi, si compensano e si completano. “Alla pizzeria Mimosa abbiamo circa 120 coperti all’interno e altrettanti nello spazio esterno pavimentato. Lì abbiamo il forno a legna. Proponiamo la pizza tonda e quella in pala. Anche se non nego che, dopo 35 anni di attività, vorremmo fare una bella ristrutturazione e ampliare anche la proposta. Invece, da Trecentogradi abbiamo meno posti a sedere. Una trentina. Che ora naturalmente sono stati ridotti a 18-20. La protagonista, come dicevo, è la pizza in teglia. Partendo da una biga, preparo un impasto ad alta idratazione. Arrivo all’80%. Però propongo anche la pizza in pala. Che comunque è differente da quella della Mimosa, perché cotta nel forno elettrico. E poi abbiamo il padellino. In questo caso utilizzo il lievito madre, un licoli che rinfresco con la farina Panettone. E arricchisco il tutto con un po’ di integrale Petra 9. Ma ho anche iniziato a preparare la tonda. In questo caso spingo il forno a 350°C. Sta andando bene. Ha preso piede”, commenta orgoglioso Plastina. Fiero anche della sua lungimiranza: “Il delivery da Trecentogradi l’abbiamo sempre fatto. Anche prima della pandemia. Quindi eravamo preparati. E ora proseguiamo con le consegne a domicilio, con l’asporto e con il servizio al tavolo”. Per una proposta a trecentosessanta gradi. 


La pizza al padellino, preziosa della cipolla rossa di Tropea

Due locali. Due motori ben oliati. A un passo dal mare. “Certo, qui ci sono le splendide spiagge di Schiavonea. La patria di Rino Gattuso”, puntualizza il pizzaiolo, con una bella laurea in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, ma pure con tanta voglia di dar voce alla sua terra. “Cerco di valorizzare i prodotti regionali e gli artigiani locali. La ’nduja, per esempio, la abbino ai fiori di zucca e ai pomodorini gialli di Corbara. Ma ovviamente non dimentico la cipolla rossa di Tropea, il caciocavallo silano, la salsiccia calabrese e tante altre eccellenze del salumificio Madeo di San Demetrio Corone”, spiega Alessandro, raccontando una realtà posizionata sulle Colline Joniche Presilane che vanta, fra le tante referenze, anche una collection a base di suino nero di Calabria. “Pure la mozzarella di bufala è autoctona, firmata da Bufavella, proprio di Corigliano. E le alici le prendo qua vicino. Le ho assaggiate, sono belle carnose. Non hanno proprio nulla da invidiare a quelle del Mar Cantabrico”, aggiunge lui. Che, intanto, unisce nord e sud nella prosciutto (di Parma) e fichi (indigeni). “Inoltre da bere proponiamo Clemì, una bibita alle clementine della Piana di Sibari prodotta dai fratelli Gallo”. Che sono riusciti a catturare il caldo sole del sud, mettendolo sotto vetro. E servendolo persino in lattina.


Le pizzerie Mimosa e Trecentogradi di Alessandro Plastina hanno riaperto a Corigliano Calabro (Cosenza). Intanto Alessandro ci propone la ricetta della pizza tonda con mozzarella di bufala calabrese, 'nduja, pomodorino giallo e menta.


❓Come potremo narrare il territorio❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-06-20T17:19:32+02:00

Gli spaghetti con vongole veraci, bottarga e pomodorini del piennolo del Vesuvio del Crispi

Leggi l'approfondimento su medioera.it

Come racconteremo le nostre radici?

Quanti significati racchiusi nella parola terra. Cinque lettere che concentrano valori immensi, quali origini, radici, provenienza e senso d’appartenenza. Ma anche partenza, viaggio, incontro, confronto, confini e nuove frontiere. Da indagare e da conquistare. Terra come vicino e come lontano. Terra come racconto. Come possibilità di narrazione. Di una tradizione, ma pure di se stessi e di quello che si fa. “Nel mio dna ci sono sia la matrice napoletana di mamma Carmen sia l’imprinting cremonese di papà Ugo”, spiega col cuor contento Carlo Yuri Dossena, chef e patron del ristorante Crispi, a Milano. “Mio padre è sempre stato un ristoratore. E io sono cresciuto in cucina con lui. Rubando con gli occhi un po’ qua e un po’ là. Pelando le patate, pulendo i pavimenti e sistemando le celle delle vivande. E così, quando ho aperto la mia insegna, per affetto nei suoi confronti, l’ho voluta battezzare con il nome di una piazzetta dove lui ha lavorato. Piazza Crispi per l’appunto. E poi mi piaceva: un nome corto. Semplice da pronunciare e da ricordare”, spiega Yuri. “Sì, all’epoca mamma era giovanissima e innamorata della storia del Dottor Zivago. E così io e mia sorella siamo stati battezzati Yuri e Lara”. 


La parmigiana di melanzane scomposta del Crispi

Crispi intanto festeggia i suoi primi vent’anni. Un vero millennial: nato nel 2000 in via Cadore, per poi trasferirsi nella residenziale via Bronzetti, nel 2013. Accendendo i riflettori su una cucina partenopea contemporanea. Della serie, veracità ed eleganza. Il lungomare di Mergellina sfiorato dalla Madonnina. “Il mio pallino è il pomodoro fresco. Per ottenere la salsa lo faccio cuocere per tre ore. Piano piano. Così perde tutta la sua acidità”, precisa il cuoco. “Ci condisco gli spaghetti. Sono uno di miei cavalli di battaglia. Ma in realtà amo fare tutti i primi piatti. Sono convinto che nella loro preparazione possa davvero uscire l’anima dello chef”. Che in effetti esce. Anche negli spaghetti a’ vongole; nella pasta, patate e provola; e nei paccheri al ragù di polipo o alla vesuviana, con aglio, olio, peperoni, basilico e immancabile salsa di pomodoro. Non dimenticando la parmigiana di melanzane scomposta. “Prendo delle melanzane piccole. Le faccio a fette e le passo nella farina, nell’uovo e nel pangrattato. Poi le friggo e completo il tutto con pomodoro fresco e stracciatella”. Che Yuri utilizza anche per chiosare una raffinata tartare di salmone e pesce spada. Non tradendo baccalà fritto, ’mpepatella di cozze e pizza. Cotta nel forno a legna e proposta anche nella versione fritta. Col pomodoro ’n coppa.

Lo chef Yuri Dossena, patron del Crispi. In sala c'è mamma Carmen

La pizza fritta con la salsina di pomodoro fatta in casa

Gli spaghetti con salsa di pomodoro homemade, burrata e basilico

Il fritto all'italiana: crocchette di patate, olive all'ascolana e mozzarelle in carrozza

Una Napoli moderna e scattante quella di Yuri. Servita in un locale dalle linee chiare, pulite, geometriche ed essenziali. Che con la stagione estiva si allunga nel rilassante dehors. Dove il rito dell’aperitivo si fa ancor più piacevole. Restando fedele al credo dosseniano-napoletano-italiano della pasta. “Ogni sera propongo un’entrée e due assaggi di primi. Spaziando da regione a regione. Oppure soffermandomi su una regione. È il mio modo per raccontare l’Italia e le sue tradizioni. Recuperando i grandi classici. La lasagna, l’amatriciana, la cacio e pepe”, puntualizza lui. Che abbina il tutto con un calice di vino o con uno Spritz. Al prezzo democratico e popolarissimo di 9 euro. “Lo faccio perché mi diverto. Non sto troppo a guardare il food cost. Se una pietanza richiede la ricotta di pecora io ce la metto”. Questione di coerenza. 



Cristina Viggè
2020-07-09T16:34:53+02:00

Gianluca Gorini - Foto di Nicolò Brunelli

Gianluca Gorini e le sue country roads

“Tutto sta andando per il meglio. Anzi, oltre le attese. Sì, perché a dire il vero non avevo grosse aspettative. E invece… si vede che in due anni abbiamo seminato bene. Il territorio risponde, ci sostiene in tutto per tutto. Insomma, la macchina è ripartita e ne siamo felici. Abbiamo ritrovato le giuste energie e aggiunto anche nuove motivazioni. Siamo pronti per affrontare l’estate, ma soprattutto l’autunno e l’inverno. Che sono le stagioni della nostra massima espressione”. È carico Gianluca Gorini, chef e patron del ristorante stellato che porta il suo cognome. E che profuma di casa. A San Piero in Bagno. In terra di Forlì-Cesena. Così come grintosi sono Sara Silvani - compagna di Gianluca e radiosa grand dame della sala - e la brillante brigata. Che, per raccontare la verità del vino, conta sul savoir-faire del sommelier Mauro Donatiello, fratello (gemello) di quel Vincenzo che se ne sta alle redini della cantina del Piazza Duomo di Alba.

La sala del ristorante daGorini, a San Piero in Bagno

daGorini l'accoglienza ha i sapori di casa - Foto di Nicolò Brunelli

La cucina nell'anima di Gianluca Gorini: l'opera di Fiorenza Pancino

Romagna dunque. Fortissimamente Romagna. Con il fiume Savio ad attraversar le campagne e a tracciare la rotta dall’entroterra al Mar Adriatico. Con la piccola fattoria della famiglia di Sara a concorrere all’avventura ristorativa. E con una colta filiera di agricoltori, contadini e artigiani a far da corollario. Per dar vita a una cucina profondamente legata alla ruralità, anche quando si concede un azzurro tuffo in acqua. Ecco allora la sfilata delle entrée, sapiente tributo a ortaggi e piante aromatiche: cavolfiore marinato in rosso, bottarga di tonno, polline e maionese al miele; pomodoro ripieno alla brace, acqua di pomodoro e pesto di erbe tostate; porro fondente, nocciola, pâté di fegatini, timo e tartufo nero. Non dimenticando la selvaggina - capriolo marinato, salsa alla senape, cipolla rossa di Tropea, olive di Taggia e frutti rossi - e neppur la fauna marina: ricciola scottata, vinaigrette al tosazu, alga nori, sedano e mela verde.

Gianluca Gorini e la compagna Sara Silvani

Sembra di sentire il refrain di John Denver. Country roads, take me home. Anche assaporando il resto della carta. Risotto al finocchio, estratto di camomilla e limone; tortelli di cacciagione, pesca, gelsomino e vermut bianco; mezze maniche alle canocchie, peperoni bruciati e foglie di capperi; tagliolini tiepidi di rapa rossa, battuto di gamberi rosa e bergamotto candito. E ancora, maialino di mora romagnola alla vaniglia, arachidi, carota e mostarda di agrumi; anguilla alla brace, birra scura, scalogno, rapa bianca e tarassaco; nonché agnello alla brace, stridoli, salsa di acciughe e tartufo nero. Romagna. Romagna. Romagna. Amara, acida, dolce. Pop, rock, jazz, soul. Anche se lui, Gianluca, è originario di Pesaro. Ma basta avere orecchio, ascoltare il territorio e tradurlo in vivande. Persino piatti e portaposate sono firmati dalla ceramista faentina (d'adozione) Elvira Keller. Mentre la teoria di mestoli alla parete incarnano un'opera dell'artista - veneta ma di stanza nella città manfreda - Fiorenza Pancino.


Il cavolfiore marinato in rosso con bottarga di tonno, polline e maionese al miele - Foto di Nicolò Brunelli

I tortelli di cacciagione, pesca, gelsomino e vermut bianco - Foto di Nicolò Brunelli

“Ma per chi si fida, vuole davvero osare e sentire il brivido correre lungo la schiena, propongo La mia mano libera. Da sette e da nove portate. Certo, non è un menu che tutti si posso concedere. Ma vi assicuro che ci diamo dentro”, racconta fiero Gorini. Che non dimentica i dessert, fra zuppa inglese a modo suo; semifreddo al raviggiolo (un must dell'Appennino Tosco-Romagnolo), amarene sciroppate, croccante alle noci e vermut rosso; torta al caramello, frutto della passione, fava di cacao e salsa mou al sale di Cervia; e rabarbaro al gin, crema di mandorle armelline e sorbetto di lamponi. Per un dolce fucsia. Colorato, vibrante e vivace come la Romagna.

La torta al caramello, passion fruit, fava di cacao e salsa mou al sale di Cervia - Foto di Nicolò Brunelli

E per esplorare nuove strade? C’è tutta una sezione - sul sito ufficiale dell’insegna - dedicata a un bel viaggio regionale (con qualche divagazione nella vicinissima Toscana). Per scoprire l’habitat goriniano. Fatto di luoghi e di spazi interconnessi. Come il Parco delle Foreste Casentinesi, il santuario francescano della Verna, il Monastero di Camaldoli, la diga di Ridracoli. Perché un ristorante non è solo un ristorante. Ma il racconto di un ecosistema.

Il ristorante daGorini di Gianluca Gorini ha riaperto a San Piero in Bagno (Forlì-Cesena).


❓Sapremo tracciare nuove rotte nei nostri territori❓
Partecipa al sondaggio con 1 click >


Cristina Viggè
2020-07-10T10:05:53+02:00

Si cammina fra le vigne, grazie ai nuovi Sentieri Gastronomici - Foto di Efrem Zanchettin

Leggi l'approfondimento su smartgreenpost.it

Disegneremo nuovi sentieri?

“Diego Bongiovanni è uno di quelli che hanno accettato la vera sfida 2020. Perché in genere, nel turismo, si cerca di migliorare il prodotto. Si tende a prendere quello che si ha già, facendone l’upgrade. Ma oggi questo ragionamento non vale più. È necessario ridisegnare i processi. È una questione di design applicato alla proposta turistica. Siamo in mano a un pugno di eroi, capaci di tagliare sartorialmente un’offerta. Rendendola il più possibile sostenibile”, spiega Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Langhe Monferrato Roero, alla presentazione ufficiale dei Sentieri Gastronomici. Visionario progetto territoriale - anzi regionale - firmato da uno chef-imprenditore quale Diego Bongiovanni. Noto volto televisivo - in primis, La prova del cuoco su Rai 1 - ma anche testimonial, consulente e ideatore di format inediti e competitivi. “Inizialmente questo lockdown mi ha messo in crisi. Temevo di veder sgretolare tutto ciò che avevo costruito. Ma poi mi sono fermato e ho capito. Non dovevo più essere un cuoco nazional popolare con influenze piemontesi. Ma essere un cuoco piemontese in grado di influenzare il mondo nazional popolare. Ho pensato alle province, ai comuni, alle frazioni, alle persone, ai prodotti del Piemonte e a quanto potesse essere interessante raccontarne la storia”, commenta l’astigianissimo Diego. Che ha riletto il concetto stesso di sentiero. Inteso come iter di conoscenza.

Into the wine - Foto di Efrem Zanchettin

Sentieri come terre: da toccare, ammirare e respirare, tenendo i piedi per terra. Sentieri come paesaggio e come assaggio. Sentieri come sensibilità, empatia, condivisione. Sentieri come lentezza e consapevolezza. Sentieri come rete, unione, collaborazione: fra pubblico e privato, sindaci locali e istituzioni regionali, enti e consorzi lungimiranti (incluso quello dell’Asti e del Moscato d’Asti docg). Sentieri 2.0: come connessione fra consumatori e produttori. Certo, da una parte c'è un pubblico che ama camminare, mangiare e ascoltare. Dall’altra, ci sono produttori e artigiani che portano avanti con passione, dedizione ed evoluzione il proprio lavoro. Il tutto in un’ottica di turismo di prossimità, responsabile, illuminato e circolare. Perché pronto a mettere in circolo il saper fare, valorizzando l’economia locale e stimolando tutto l’indotto. “Questo è un progetto bello e innovativo perché aiuta il piccolo. E soprattutto perché non porta il cibo verso la persona, ma conduce le persone verso i cibi. Nel segno di un vero e proprio panteismo”, puntualizza saggiamente il critico gastronomico Piermichele Gamba.

Vigne d'estate a Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

Diego Bongiovanni assaggia i vini della maison Criölin - Foto di Efrem Zanchettin

In dotazione? Lo zainetto logato - Foto di Efrem Zanchettin

Passeggiando fra i vigneti di Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

A Castagnole delle Lanze si può anche adottare un filare - Foto di Efrem Zanchettin

Non mere passeggiate, dunque. “Certo, queste non sono semplici scampagnate. Noi gli ospiti non li lasciamo soli. Vengono accompagnati, passo passo, da esperte guide naturalistiche ed ecoturistiche. Che sanno spiegare con competenza un monumento, che sanno soffermarsi su un punto di particolare interesse storico e artistico e che sanno riconoscere la flora locale. Magari consigliando il miglior utilizzo di un’erba o di un prodotto autoctono in cucina”, aggiunge Bongiovanni. Che ha pensato a itinerari fra le vigne, i boschi, i campi, le vie urbane. Da vivere a piedi ma pure in e-bike (le bici elettriche sono fornite da un’azienda convenzionata, con tutto l’equipaggiamento necessario). “Per i percorsi a piedi abbiamo pensato a un massimo di 7 chilometri. Che salgono a 25 per le biciclette. Nel pieno rispetto del social distancing”, precisa Diego. Che ha studiato tutto. Per filo e per segno. Un logo iconico: un cucchiaio innervato di sentieri colorati e diversificati, per evocare la biodiversità delle zone piemontesi. Un portale: in grado di raccontare i luoghi, e non solo di venderli online. Uno zainetto griffato: contenente una mappa (con corredo di suggerimenti, indizi e indirizzi enogastronomici), una tasca porta bicchiere, un calice in plastica rigida e una tovaglia per il picnic.

Incontri ravvicinati con l'uva - Foto di Efrem Zanchettin

Un buon calice di Asti o di Moscato d'Asti docg - Foto di Efrem Zanchettin

Il vitigno moscato bianco - Foto courtesy del Consorzio dell'Asti e del Moscato d'Asti docg

Fotografando il paesaggio - Foto di Efrem Zanchettin

Ovvio, come potrebbe mancare il momento déjeuner sur l’herbe? Tant’è che i cestini divengono essi stessi percorso esperienziale. Da fare in loco o da portare a casa. “Sono la mia fotografia, la mia istantanea, il mio sguardo sul Piemonte”, dichiara lo chef. Che ha messo a punto i box gourmand in tandem con Shopiemonte. “E una volta acquistato un sentiero se ne può comprare un altro. Oppure si può acquistare un altro kit gustoso”. Che, per esempio, inanella gli snack al tartufo di Tartuflanghe (di Piobesi d’Alba); il salame dell’agrisalumeria Luiset (di Ferrere, Asti); il Cusiè di pecora e vacca by Beppino Occelli (stagionato nelle cantine di Valcasotto, nel Cuneese); e la torta di nocciole della pasticceria Scagline (di San Damiano d’Asti).

La geometria delle vigne - Foto di Efrem Zanchettin

Fra grano e grappoli - Foto di Efrem Zanchettin

Molti i sentieri in programma. Ma il primo a fare il suo debutto ufficiale è quello a Castagnole delle Lanze, nell’Astigiano. Nella terra di mezzo fra Langhe e Monferrato. Nel cuore del Patrimonio Unesco. In un geometrico susseguirsi di vigneti che spesso cedono spazio a frutteti e noccioleti. Un paradiso di rara bellezza, che vanta i suoi highlights. Vedi il Parco della Rimembranza, con la torre panoramica voluta dal conte Paolo Ballada di San Robert e utilizzata come osservatorio astronomico; l’antica pieve in frazione Carossi; la chiesetta di San Defendente; nonché la maison Dogliotti 1870, posizionata nella parte bassa del borgo.

Barbera d'Asti e salame a casa Dogliotti 1870

Ivan Dogliotti

Il Moscato d'Asti secondo Erik Dogliotti

La sala degustazione della cantina Dogliotti 1870

Tappa d'assaggio alla cantina Dogliotti 1870 - Foto di Efrem Zanchettin

Un aperitivo a base di vermouth bianco 18/70 e acini di moscato ghiacciati - Foto di Efrem Zanchettin

Una maison ultracentenaria, oggi portata avanti dai fratelli Erik e Ivan (enologo e responsabile commerciale) e dal cugino Matteo (alla parte grafica). Fieri d’aver dato una nuova interpretazione del Moscato d’Asti. “Volevo dimostrare il grandissimo potenziale di questo vitigno. Andando oltre la sua concezione aromatica. E liberandolo dal giogo del fine pasto. Per sposarlo anche a piatti salati. Lascio il moscato sui suoi lieviti per più di un anno. Una parte in acciaio e una in legno. E una volta imbottigliato lo faccio riposare ancora per parecchio tempo in cantina. Sviluppa un ampio ventaglio di profumi. Oltreché un’acidità e una sapidità straordinarie”, spiega Erik. Che va a creare anche un cru di Moscato d’Asti: il Berlet, figlio della storica vigna di famiglia. E realizza pure il vermouth bianco 18/70. Complice sempre il Moscato d’Asti e ben 51 spezie e aromi, fra cui l’immancabile assenzio. “Il nonno lo produsse fino agli anni Settanta. Così nel 2011 abbiamo deciso di ripescarne la ricetta. Lo facciamo anche rosso, utilizzando la Barbera d’Asti e 46 botaniche. Del resto il vermouth è l’autentico aperitivo piemontese”, racconta orgoglioso Ivan.

Rose: le regine della vigna - Foto di Efrem Zanchettin

Una sosta lungo il cammino, per conoscere l'azienda agricola Criölin - Foto di Efrem Zanchettin

Storie. Da scoprire passeggiando o pedalando. Storie come quella di Claudio Canavero, alle redini di un’azienda a cui già papà Angelo ha dato notevole impulso e a cui lui dà forza, audacia e coraggio: Criölin. Che mutua il nome dal grande strumento (tenuto in equilibrio da tre legni) utilizzato per setacciare il frumento dei contadini. Una realtà rurale e sincera, che produce una più quotidiana Barbera d’Asti e una più ricercata Vigna Rorisso, affinata in barrique di rovere; un armonioso Chardonnay cru Praddone e un delicato, elegante e appena petillant - Moscato d’Asti, proveniente dalle vigne di Castiglione Tinella. Iconico moscato, letto anche in versione passito: ideale con formaggi e foie gras.

Scoprendo fiori ed erbe lungo i sentieri - Foto di Efrem Zanchettin

Nella cantina di Piero Cane, sempre a Castagnole delle Lanze - Foto di Efrem Zanchettin

Terre Bianche presenta le sue preziose nocciole - Foto di Efrem Zanchettin

Intanto, fra brevi aneddoti su lattughino selvatico e tarassaco, piantaggine e amaranto, coda di cavallo e portulaca, ecco farsi avanti le tonde e gentili dell’azienda agricola Terre Bianche. Che, dal 1980, fa della corilicoltura il suo must. Eleggendo a protagonista la nocciola: tostata, trasformata in pasta e farina, tradotta in croccante e biscotti e naturalmente in creme spalmabili: bianca, al gianduia e fondente. Mentre Piero Cane fra Tris: un bianco ottenuto da tre vitigni, quali chardonnay, cortese e favorita. Non trascurando un vibrante Rosé da uve nebbiolo e neppure una signorile Barbera d’Asti come La Patrizia. E i Bianco bros? Figli di Mauro, Davide, Matteo e Cristiano (rispettivamente 22, 20 e 19 anni) sono i timonieri millennial della Tenuta San Mauro. Una cantina fascinosa (e pure panoramica), che conta due cascine satelliti: Ca’ Nova, in quel di Neive, dove nasce un sorprendente Barbaresco; e Cascina Vallone (podere vicino a Castagnole Lanze), dove prende forma la Barbera d’Asti Superiore.

Diego Bongiovanni e Davide Bianco della Tenuta San Mauro - Foto di Efrem Zanchettin

Matteo Bianco della Tenuta San Mauro presenta le eccellenze della maison - Foto di Efrem Zanchettin

Le possibili letture dello zafferano di Silvio Saglietti - Foto di Efrem Zanchettin

E cresce proprio in terra di barbera lo zafferano di Silvio Saglietti, a capo del nuovo brand Saglietti 1941. Della serie, laddove un tempo c’erano i vitigni ora sbocciano fiori e stimmi. Credendo nella coltivazione biologica e seguendo la tecnica del sovescio, per il mantenimento della fertilità del suolo. Un temerario Silvio, che con lo zafferano ha dato pure vita alla grappa Aurum, a base di vinacce di arneis (grazie alla collaborazione con la Distilleria Castelli di Cortemilia) e alle Gemme: fondenti cioccolatini, realizzati in tandem con Cioccopassione di Incisa Scapaccino, non lontano da Nizza Monferrato. Sentieri insomma, sensoriali e sartoriali. 




My Image
Site TitleSite Slogan
Home
Site TitleSite Slogan
Blog
Site TitleSite Slogan
Fuoridime
Site TitleSite Slogan
About
Site TitleSite Slogan
Login
Site TitleSite Slogan
Home
Site TitleSite Slogan
Blog
Site TitleSite Slogan
Fuoridime
Site TitleSite Slogan
About
Site TitleSite Slogan
Login
Jochen Abitz Premium RapidWeaver Projects

FUORIMAGAZINE

FUORI è iscritto nel Registro della Stampa di Milano con il n. 160 dell’ 11 maggio 2017.

FUORIMAGAZINE® è un marchio registrato di proprietà di Petra srl.
I testi sono di Cristina Viggè quando non diversamente specificato.
Le immagini ed i video sono degli autori di volta in volta citati quando non liberamente disponibili in internet per la pubblicazione e/o divulgazione.

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Privacy

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Site TitleSite Slogan

Privacy