Experimental Beer

    Amando l’Opera

    Teo Musso segna, ancora una volta, un punto di svolta nella produzione brassicola. Guardando da un’altra prospettiva. Indicando una nuova strada. E mettendo a punto una Baladin pensata su misura per la ristorazione. L’ingrediente differente? L’aceto di birra

    Lei è una ribelle. Come le sue sorelle. Anzi, forse un po’ di più. Visto che il consiglio è quello di berla “calda”. Sì, a una temperatura di 10, 12, ma anche 14°C. Della serie, meglio toglierla in tempo dal frigorifero, per poterla apprezzare al massimo della sua espressione. Specialmente se versata nell’ampio calice TeKu. “Ormai un’icona mondiale per la degustazione della birra. Pensare che nacque quindici anni fa. Una rivoluzione. Quando ancora le birre si mandavano giù fredde gelate e in totale apnea”, dichiara Teo Musso, l’enfant terrible di Baladin, nonché l’autore dell’emblematico bicchiere cult, in combo con Kuaska, al secolo Lorenzo Dabove, uno dei massimi esperti in tema brassicolo. Insomma, due che ci hanno visto lungo. E che continuano a vederci benissimo. Vista la nuova opera di Teo. Pardon, Opera con la lettera maiuscola. Volutamente dedicata alla ristorazione. “L’ultima nata dà un senso a tutto il percorso fatto. Un percorso iniziato venticinque anni fa”, precisa Musso. Che già nel lontano 1997 mette a segno una piccola revolution. Consegnando a cinquecento ristoratori due etichette: la Isaac e la Super. La prima, chiara, dedicata ai cibi più chiari. La seconda, ambrata, vocata alle pietanze più scure. Semplice? Non proprio. “Volevo comunicare l’idea di una birra da bere non solo in estate, ma da servire a tavola. Al ristorante o in pizzeria. E devo dire che il mondo del vino ha accettato l’ingresso di una birra presentata in modo alternativo”, continua soddisfatto mister Baladin. Che con Opera va oltre. Cimentandosi nell’acetificazione di una birra. “Lei è dedicata ai ristoratori. Che stanno soffrendo, ma che sono anche insaziabili ricercatori. Come me. Ecco, Opera è una birra originale, diversa, divertente”. Il punto e a capo di Teo.

    Opera by Baladin è preziosa dell'aceto di birra, prodotto (partendo da un birra di Teo) nell'Acetaia San Giacomo di Novellara, in Emilia

     

    Se la birra finisce in acetaia

    Aceto di birra in una birra? Proprio così. O meglio, aceto di malto, per dirla tecnicamente. “L’idea iniziale è stata proprio quella di usarlo come ingrediente nel processo di produzione, per andare a creare una birra interessante, gastronomica. Ideale in abbinamento col cibo”, spiega Teo. Che in principio pensa di creare un’acetaia direttamente nell’headquarter di Piozzo: nella Cantina Baladin o nella soffitta del Baladin Open Garden. “In realtà, avevo anche sperato di poterla realizzare nel carcere milanese di Opera, facendo collaborare i detenuti e portando avanti un progetto sociale. Ma poi con la pandemia l’iniziativa è stata rimandata. Però il nome è rimasto”. Opera, come il plurale di opus, ossia lavoro. Opera come armonia, empatia, sinergia fra più elementi, come accade in una sinfonia. Opera come il riuscito incontro di due visionari artigiani italiani: da una parte Musso, dall’altra Andrea Bezzecchi, patron dell’Acetaia San Giacomo, nell’emiliana Corte Fragosa di Novellara. Andrea: sapiente produttore di aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia (nonché presidente del consorzio), ma pure di aceti cotti e crudi, di aceti da vino (da monovitigini autoctoni) e di aceti in limited edition (lui è anche uno dei soci fondatori del progetto Amici Acidi, di cui faceva parte anche il compianto Andrea Paternoster). “Naturalmente ho scelto con Teo la birra più adatta a far da base acetica”, precisa Andrea, che ricorda come furono probabilmente i Sumeri ad aver messo a segno il primo fermentato di malto. “Ma l’aceto di birra è decisamente più complesso. Per la componente amaricante del luppolo”. Aceto - da birra Open Gold - figlio di un lungo affinamento (di circa 14 mesi) in botti di rovere e acacia. Per poi essere unito - durante gli ultimi due giorni di fermentazione e a una temperatura di 25°C - alla birra di base, in questo caso la Elixir. Operazione che consente di sfruttare l’anidride carbonica prodotta durante il processo fermentativo, per saturare il tino e inibire la crescita degli acetobatteri, presenti nell’aceto. Tappa finale: la birra viene travasata in un tino di maturazione e lasciata riposare a zero gradi per almeno tre settimane. Facendo gli opportuni spurghi, eliminando le fecce e ottenere una naturale chiarificazione. Birra confezionata così, senza aggiunta di zuccheri e lieviti. Perché lei non è una rifermentata in bottiglia.  

    A sinistra, Teo Musso e le sue "figlie". A destra, una botticella dell'Acetaia San Giacomo

     

    Una vera sinfonia

    “Il suo colore è ambrato carico, con riflessi aranciati. La schiuma è compatta, ma non persistente. Anzi, fine ed evanescente. Ed esibisce una bollicina sottile”, dichiara Simonmattia Riva, Biersommelier World Champion 2015. “Al naso è burrosa. E presenta note di fico secco, dattero, melassa. Per dolcezza rammenta il panettone. Anche se poi arrivano le nuance più fresche e balsamiche dell’aceto di birra. Fra accenni di frutti rossi, ciliegia, amarena. E ancora di zenzero, pepe e timo selvatico. Al sorso si annuncia la componente dolce, stemperata dalla sciabolata acetica. Che più che altro evoca l’acidulato di umeboshi. Poi non mancano alcune componenti calde e speziate. Mentre sul finale sono concessi accenni di amaro, ma a bassa intensità. E sfumature di legno e vaniglia”, prosegue Riva. Descrivendo una birra complessa. “In cui l’acidità è più una sfumatura, non la spina dorsale. Acidità che non è l’elemento fondante. Serve solo a bilanciare e a ridimensionare il tutto”, commenta Bezzecchi. Una birra differente, che presenta una gradazione alcolica pari a 8,5. Custodita in una bottiglia da 75 cl, con tanto di tappo in sughero e chiosa in ceralacca. “È una birra da tenere nel bicchiere. Perché ogni minuto che passa lei racconta una storia nuova”, continua Simonmattia. E se non la si finisse in una volta? “Nessun problema. Lei è una birra anomala. Il contatto con l’ossigeno non nuoce. E può restare aperta anche per qualche giorno”, puntualizza Teo. E sulla lunga distanza? “Pur essendo una birra viva, la si può conservare in cantina. Evolverà, ma non più di tanto. Fra due anni non sarà molto diversa da oggi”.

    Alcuni scorci del Baladin Open Garden, a Piozzo, in provincia di Cuneo. Dove ha sede pure il birrificio

     

    Concerto gastronomico

    “Una birra dalla frizzantezza appena accennata. Per lei non ho voluto la gasatura tipica delle altre birre”, tiene a sottolineare papà Teo. Che vede la figlia sposata a meraviglia tanto con una minestra di legumi quanto con il cioccolato fondente. Perché lei è volitiva e versatile, eclettica e flessibile. Ottima con la selvaggina, con il quinto quarto, con una cheesecake alla fragoline di bosco. “Oppure con il cotechino, con la mostarda, con il carrello dei bolliti e con la spongata”, commenta l’acetista Bezzecchi. “A me ha colpito la sua capacità di far salivare. Di solleticare le papille. Poi mi ricorda un sapore antico e affascinante: quello delle ciliegie sotto spirito. Che non si è abituati a trovare in una birra. Insieme a nuance di caramello leggermente amare e tostate. La vedrei bene con uno spaghetto ai frutti di mare. Con una carne bianca, o con l’agnello. Ma se servita a temperatura ambiente si svela ideale anche da conversazione e da compagnia”, ammette Gennaro Esposito, capitano del ristorante bistellato La Torre del Saracino di Vico Equense. Soddisfatto nel sorseggiare una birra dalla forte personalità. Una experimental beer, come direbbe Kuaska. “Del resto non ho mai fatto birre in stile. E non le voglio fare”, Teo docet. 

    T: Cristina Viggè

    22-04-2021

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