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essenzialità.

Identità al cubo

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di Cristina Viggè

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FUORI IL PROSSIMO
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Formaggi, salumi, ortaggi, erbe e tanto territorio al Casin del Gamba di Altissimo - Foto di Gabrio Tomelleri

Leggi l'approfondimento su abellarte.com

Essere o profondamente essere?

C’è chi valorizza un territorio. E c’è chi lo interiorizza. Se lo appiccica addosso, se lo fa passare attraverso il cuore e la mente e lo fa suo. Solo suo. Interpretandolo secondo una personalissima, intimistica e quasi mistica visione. Il che non significa egocentrismo. Al contrario, il generoso gesto incarna un incondizionato omaggio al genius loci. Un arrivare all’abissale e verticale essenzialità di un habitat. Soprattutto quando ci si trova dentro. Come accade al Casin del Gamba, antico casino di caccia trasformato in elegante ristorante - aperto nel 1976 e stella Michelin dal 1992 - nella vicentina Altissimo. Incastonata fra la Valle dell’Agno e la Valle del Chiampo. E tutto per merito della famiglia Dal Lago. Che ha saputo sublimare un vecchio roccolo in un punto di riferimento per l’alta, anzi altissima, cucina. Dove se ne sta patron Antonio, mentre la moglie Daria sorveglia magistralmente la sala e il figlio Luca si occupa della ponderosa carta dei vini. Selezionando grandi Champagne e spumanti indigeni (come il Lessini Durello di localissime maison), bianchi e rossi provenienti dal mondo, ma anche ancorati lì, ai veneti vigneti.

Gli gnocchi dorati con rigaglie, aglio orsino e bergamotto del Casin del Gamba - Foto di Gabrio Tomelleri


Il Casin del Gamba prima era un roccolo per la caccia  - Foto di Gabrio Tomelleri

L'orto del Casin del Gamba  - Foto di Gabrio Tomelleri

Il cinghiale secondo Antonio Dal Lago - Foto di Gabrio Tomelleri

Un’insegna-inno alla natura selvaggia che la incornicia. Con i suoi boschi, le sue erbe, i suoi odori e i suoi sapori. Profondi, assoluti, essenziali. Concentrati in un paio di tasting menu capaci far luce sulla stagionalità o sui cult di Antonio. Dipende dove si vuole andare e cosa si preferisce assaporare. Oppure? Si può optare di zigzagare fra i due percorsi, pescando le singole pietanze. Nella massima libertà. Ecco allora l’hic et nunc visti dallo chef: crudità di ovoli, tartufo nero, zucchine, cremoso e profumi agrumati; la faraona fra agro di Jerez, lattuga, boccioli e verde di tarassaco; il coniglio in armonia con carota e liquirizia, mousse di arachidi e foie gras e acetosella; e il piccione in due cotture con la complicità terragna di un fungo quale l’amanita crocea. La selva, l’ombra, l’orto. Ovviamente c’è pure lui. Così come ci sono gli gnocchi dorati con rigaglie, aglio orsino e bergamotto e la cacio e pepe che ha traslocato a Vicenza. Con la sua dote di grana padano, pepe affumicato, crema di asparagi, ravanello e pane dolce sbriciolato.


La sfera croccante di cioccolato, semifreddo di meringa, frutto della passione, pino mugo e abete bianco - Foto di Gabrio Tomelleri

Rompendo la sfera di cioccolato - Foto di Gabrio Tomelleri

Il tortino tiepido di cioccolato Samana 70%, ciliegie e noci, gelatina al pepe del Nepal e pistacchio, crema di melissa - Foto di Gabrio Tomelleri

Germogli, funghi e verdure che finiscono anche sott’olio. Perché così ama fare Antonio. Per poi accostarli a una battuta di carne bio - di un’azienda agricola di Giavenale - al coltello. Mentre le lumache incontrano una crema alle erbe, pane con timo e cipolla; i tagliolini si snodano fra coda di bue, ristretto di birra, silene e mostarda di cotogne; il cinghialetto si fa morbido e croccante, inebriandosi di birra affumicata; e l’anatra nuota nello stagno, fra ciliegie e caponatina. Perché così ad Antonio par di vederla. 


Il guazzetto di mare con polenta cozze, vongole, calamaretti e mazzancolle by daMe Bistrò - Foto di Tobia Berti

E la stessa concentrazione sul terroir la mette Lionello Cera. Certo. Cambia l’habitat, ma non l’introiezione del territorio. Che, nel caso della bistellata Antica Osteria Cera di Lughetto di Campania Lupia, coincide con la liquida Laguna Veneta e l’Adriatico. Che Lio legge, rilegge, rielabora e sintetizza in succhi ed estrazioni. Assolutamente a sua immagine e somiglianza. In primis, nel menu Azzurro. Pronto a inanellare rombo alla brace con succo di pepata di cozze; tortelli alla carbonara con crudo di gamberi rossi e caffè; tramezzino con alici e oliva verde; gazpacho di mare con scampi, limone e basilico; ricciola marinata con gambero bianco e salsa bruschetta; zuppa di soaso e molluschi con erbe e foglie dell’orto; e capesante dorate con cozze, liquirizia e salsa cacio e pepe.

Il branzino cotto in padella con salsa di folpi in tecia by daMe Bistrò - Foto di Tobia Berti

Mentre nell’iter Oppure ritrae una iodata mareggiata, grazie a pepe verde, plancton, astice, calamaretti e vongole. Non dimenticando il mitico spaghettino freddo con lucerna, mazzancolla, salsa di pistacchio di Bronte e acqua di capperi; e il san pietro cotto sulla pelle con ceviche di gamberetti della Laguna e salsa di calamaro al nero. Un’ode all’acqua, garbata e sussurata. Complice l’aiuto dai fratelli Daniele e Lorena. E complice pure il racconto in sala di madame Simonetta Semenzato. Impegnata anche su un nuovo fronte: il daMe Bistrò di Dolo. Affiancata da Daniela Pescarolo. Un’insegna più easy e dinamica, aperta all day long (ma le domeniche di luglio e agosto si fa pausa dalle 12 alle 17.30) e sempre incentrata sul mare. Con qualche divagazione a terra. Pizza inclusa. Lio il bistrò lo interpreta così. 



Formaggi, salumi, ortaggi, erbe e tanto territorio al Casin del Gamba di Altissimo - Foto di Gabrio Tomelleri

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Essere o profondamente essere?

C’è chi valorizza un territorio. E c’è chi lo interiorizza. Se lo appiccica addosso, se lo fa passare attraverso il cuore e la mente e lo fa suo. Solo suo. Interpretandolo secondo una personalissima, intimistica e quasi mistica visione. Il che non significa egocentrismo. Al contrario, il generoso gesto incarna un incondizionato omaggio al genius loci. Un arrivare all’abissale e verticale essenzialità di un habitat. Soprattutto quando ci si trova dentro. Come accade al Casin del Gamba, antico casino di caccia trasformato in elegante ristorante - aperto nel 1976 e stella Michelin dal 1992 - nella vicentina Altissimo. Incastonata fra la Valle dell’Agno e la Valle del Chiampo. E tutto per merito della famiglia Dal Lago. Che ha saputo sublimare un vecchio roccolo in un punto di riferimento per l’alta, anzi altissima, cucina. Dove se ne sta patron Antonio, mentre la moglie Daria sorveglia magistralmente la sala e il figlio Luca si occupa della ponderosa carta dei vini. Selezionando grandi Champagne e spumanti indigeni (come il Lessini Durello di localissime maison), bianchi e rossi provenienti dal mondo, ma anche ancorati lì, ai veneti vigneti.

Gli gnocchi dorati con rigaglie, aglio orsino e bergamotto del Casin del Gamba - Foto di Gabrio Tomelleri


Il Casin del Gamba prima era un roccolo per la caccia  - Foto di Gabrio Tomelleri

L'orto del Casin del Gamba  - Foto di Gabrio Tomelleri

Il cinghiale secondo Antonio Dal Lago - Foto di Gabrio Tomelleri

Un’insegna-inno alla natura selvaggia che la incornicia. Con i suoi boschi, le sue erbe, i suoi odori e i suoi sapori. Profondi, assoluti, essenziali. Concentrati in un paio di tasting menu capaci far luce sulla stagionalità o sui cult di Antonio. Dipende dove si vuole andare e cosa si preferisce assaporare. Oppure? Si può optare di zigzagare fra i due percorsi, pescando le singole pietanze. Nella massima libertà. Ecco allora l’hic et nunc visti dallo chef: crudità di ovoli, tartufo nero, zucchine, cremoso e profumi agrumati; la faraona fra agro di Jerez, lattuga, boccioli e verde di tarassaco; il coniglio in armonia con carota e liquirizia, mousse di arachidi e foie gras e acetosella; e il piccione in due cotture con la complicità terragna di un fungo quale l’amanita crocea. La selva, l’ombra, l’orto. Ovviamente c’è pure lui. Così come ci sono gli gnocchi dorati con rigaglie, aglio orsino e bergamotto e la cacio e pepe che ha traslocato a Vicenza. Con la sua dote di grana padano, pepe affumicato, crema di asparagi, ravanello e pane dolce sbriciolato.


La sfera croccante di cioccolato, semifreddo di meringa, frutto della passione, pino mugo e abete bianco - Foto di Gabrio Tomelleri

Rompendo la sfera di cioccolato - Foto di Gabrio Tomelleri

Il tortino tiepido di cioccolato Samana 70%, ciliegie e noci, gelatina al pepe del Nepal e pistacchio, crema di melissa - Foto di Gabrio Tomelleri

Germogli, funghi e verdure che finiscono anche sott’olio. Perché così ama fare Antonio. Per poi accostarli a una battuta di carne bio - di un’azienda agricola di Giavenale - al coltello. Mentre le lumache incontrano una crema alle erbe, pane con timo e cipolla; i tagliolini si snodano fra coda di bue, ristretto di birra, silene e mostarda di cotogne; il cinghialetto si fa morbido e croccante, inebriandosi di birra affumicata; e l’anatra nuota nello stagno, fra ciliegie e caponatina. Perché così ad Antonio par di vederla. 


Il guazzetto di mare con polenta cozze, vongole, calamaretti e mazzancolle by daMe Bistrò - Foto di Tobia Berti

E la stessa concentrazione sul terroir la mette Lionello Cera. Certo. Cambia l’habitat, ma non l’introiezione del territorio. Che, nel caso della bistellata Antica Osteria Cera di Lughetto di Campania Lupia, coincide con la liquida Laguna Veneta e l’Adriatico. Che Lio legge, rilegge, rielabora e sintetizza in succhi ed estrazioni. Assolutamente a sua immagine e somiglianza. In primis, nel menu Azzurro. Pronto a inanellare rombo alla brace con succo di pepata di cozze; tortelli alla carbonara con crudo di gamberi rossi e caffè; tramezzino con alici e oliva verde; gazpacho di mare con scampi, limone e basilico; ricciola marinata con gambero bianco e salsa bruschetta; zuppa di soaso e molluschi con erbe e foglie dell’orto; e capesante dorate con cozze, liquirizia e salsa cacio e pepe.

Il branzino cotto in padella con salsa di folpi in tecia by daMe Bistrò - Foto di Tobia Berti

Mentre nell’iter Oppure ritrae una iodata mareggiata, grazie a pepe verde, plancton, astice, calamaretti e vongole. Non dimenticando il mitico spaghettino freddo con lucerna, mazzancolla, salsa di pistacchio di Bronte e acqua di capperi; e il san pietro cotto sulla pelle con ceviche di gamberetti della Laguna e salsa di calamaro al nero. Un’ode all’acqua, garbata e sussurata. Complice l’aiuto dai fratelli Daniele e Lorena. E complice pure il racconto in sala di madame Simonetta Semenzato. Impegnata anche su un nuovo fronte: il daMe Bistrò di Dolo. Affiancata da Daniela Pescarolo. Un’insegna più easy e dinamica, aperta all day long (ma le domeniche di luglio e agosto si fa pausa dalle 12 alle 17.30) e sempre incentrata sul mare. Con qualche divagazione a terra. Pizza inclusa. Lio il bistrò lo interpreta così. 



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