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Il Lago di Garda, il sole, il vento, la terra, la luce, la bellezza e l’armonia. Tutto in un calice. Il Consorzio Tutela Lugana Doc presenta i suoi vini: vibranti, moderni e affascinanti. Con loro? I piatti polisensoriali dello chef Roberto Stefani, alla guida del ristorante Tancredi di Sirmione
“Quando si parla di vino spesso ci si dimentica un pezzettino: il paesaggio. Invece il vino somiglia al luogo in cui nasce. Prendiamo la Toscana. La zona dell’Impruneta, intorno a Firenze. Lì ci sono i boschi, l’area è selvaggia. Esattamente come il Sangiovese che si produce lì, un po' scorbutico. Se invece ci spostiamo nel Senese, le colline si fanno più dolci, i cipressi sono ben ordinati e il Brunello di Montalcino, figlio del sangiovese grosso, è più pettinato e meno scapestrato. Ecco, per il Lugana vale la stessa cosa. Somiglia al territorio in cui prende vita. Fatto di colline basse, dell’acqua pura del Garda e del riflesso del sole sul lago. Il Lugana ha un’energia speciale, un luccichio particolare. È solare e cristallino. È esplosivo, esuberante, accogliente. E ha pure un non so che di vento: l’Ora del Garda”, racconta Chiara Giovoni, sommelier e wine writer, in una serata tutta al consorzio del Lugana dedicata. Organizzata in collaborazione con la Regione Lombardia e Ascovilo, ossia l’Associazione Consorzi Tutela Vini Lombardi, nello scenario dell’hub di Identità Golose Milano.
In alto, un vigneto della doc Lugana e la penisola di Sirmione. In basso, l'uva turbiana, lo chef Roberto Stefani e le maison protagoniste della degustazione all'hub di Identità Golose Milano - Foto courtesy del Consorzio Tutela Lugana Doc
Di sole, di verde e d’azzurro
Una terra fertile quella del Lugana. Di origine morenica e nutrita di argille. Prevalentemente calcaree, che si fanno via via più sabbiose avvicinandosi alla fascia collinare, e più difficoltose da lavorare mano a mano che ci si accosta al lago. Un terroir benedetto. Dal clima mite, accarezzato da brezze temperate. Ma un tempo non era così. Un tempo qui vi era la cosiddetta selva lucana, fatta di boschi e acquitrini. Fu grazie alla bonifica, voluta dalla Serenissima a partire dal Quattrocento, che la coltivazione cerealicola prese il via. Non tradendo la viticoltura. “Sono circa 2.500 gli ettari che interessano la denominazione, per un totale di 27 milioni di bottiglie e 208 soci”, spiega Roberto Girelli, vicepresidente del consorzio, nonché enologo e capitano - insieme ai fratelli Claudio e Valentino - della maison Montonale di Desenzano del Garda. Una delle cinque località in cui “cade” la doc. Che interessa pure Sirmione, Pozzolengo e Lonato, in provincia di Brescia; e Peschiera del Garda, nel Veronese. Sì, una doc bifronte, un po’ lombarda e un po’ veneta. La prima a nascere in Lombardia nel 1967, esattamente un anno dopo la messa a punto della primissima doc italiana, quella della Vernaccia di San Gimignano. Mentre il consorzio di tutela venne costituito nel 1990. I colori della sua immagine? Tenui e delicati, ma brillanti, lucenti e scintillanti. Esattamente come il vino che comunica, difende e promuove con passione.
In alto le etichette della cantine Sartori, Sguardi di Terra, Citari e Montonale (foto courtesy del Consorzio Tutela Lugana Doc). In basso, lo chef Roberto Stefani e la pastry chef Annalisa Borella (foto di Aromi.group)
Turbinosa turbiana
“Il Lugana è un vino moderno, piacevole. Ottenuto da un’uva bianca autoctona: la turbiana. Che ha buccia spessa, grappolo compatto e una matrice sapida, minerale. Di profondità”, continua madame Giovoni. Tracciando l’esegesi di un vino contemporaneo, capace di sposare una cucina grintosa. “Questo non è un vino da piscina. È un vino serioso. Per nulla ruffiano. Lui non teme il pomodoro; sta benissimo con un risotto alla zucca e gorgonzola, oppure con un’anguilla arrosto; e può affrontare perfettamente un curry o un pollo alla cacciatora”, prosegue Chiara. Passando in rassegna le etichette in degustazione. Tutte annata 2021, eccetto l’ultima, millesimo 2018. Ecco allora La Musina griffata Sartori, azienda di Pedemonte di San Pietro in Cariano, nella veronese Valpolicella. Segni particolari? Etichetta verde e tratti fruttati e fioriti. E ancora, il Lugana Scapüscià di Sguardi di Terra, sette ettari a conduzione biologica in quel di Lonato. “La nostra azienda agricola si chiama Silenzi di Terra. Mio cognato, Maurizio Venegoni, osservando un vigneto innevato, si è lasciato ispirare dall’ultimo verso di una poesia di Francesco Di Giacomo, frontman di quel gruppo rock progressive che fu il Banco del Mutuo Soccorso. Versi divenuti peraltro i titoli di una serie di brani musicali contenuti in un album”, precisa Massimo Pinetti. Mentre nel calice arriva, fra spiccate note d’agrume, Conchiglia, griffato Citari, azienda di San Martino della Battaglia. Infine lui, Montunal, prodotto da Montonale, come il borgo che a Desenzano accoglie cantina e vigne. “In questo vino c’è tutto il potenziale del vitigno. C’è la longevità del turbiana”, puntualizza Girelli. “Sì, in questa annata 2018 c’è l’integrità aromatica. Ma ci sono pure freschezza e tensione. Un vino di vento. Che rinfresca. E che batte”, afferma madame Giovoni. Fiera di trovare dei comuni denominatori, pronti a tratteggiare il poker di Lugana: “Tutti hanno una bella acidità. Ma non tagliente, bensì rotonda, confortevole, rassicurante. Inoltre sono tutti vini di struttura. Talvolta affusolata, talaltra più verticale, ma pur sempre di struttura. E poi c’è il finale di bocca. Che ricorda la frutta secca, tonica e vigorosa”.
Nel cielo e nelle altre cose mute Terramadre Non senza dolore Io vivo Né più di un albero non meno di una stella Nei suoni e nei silenzi Di terra
Dall’album …di terra by Banco del Mutuo Soccorso
Vento di passioni (anche culinarie)
Un vitigno versatile e volitivo il turbiana. Camaleontico e capace di cambiare. Dando vita a un Lugana base, d’annata, giovane; a un Lugana Superiore, con almeno un anno di affinamento; a un Lugana Riserva, invecchiato per almeno 24 mesi, di cui sei in bottiglia; a un Lugana Spumante, sia in versione charmat sia in declinazione metodo classico; e a un Lugana Vendemmia Tardiva, ottenuto da uve surmature, raccolte tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Insomma, un vino eclettico. Ideale dall’entrée al dessert. E la conferma l’ha data lo chef Roberto Stefani, alle redini del ristorante Tancredi di Sirmione. Orgoglioso di aver cucinato per l’occasione. Voilà il delicatissimo granchio reale con patata viola, aria di Lugana e caviale Calvisius Tradition Royal; la boschiva crostatina ai porcini (crudi) della Val Trompia con “corteccia” di topinambur e purea di patate, porcini e zenzero; e il dirompente riso carnaroli mantecato con burro, parmigiano e salvia, nonché impreziosito da limone candito, uova di salmerino e polvere di sarde. Per continuare con il coregone in noir. Certo, coperto da un velo nero, ottenuto dalla gelificazione del brodo di tonno affumicato. Complici curcuma e ceci. E per dessert? Espressione d’agrumi, creato dalla pastry chef Annalisa Borella. Un finale a tutto pompelmo (in sorbetto, dadolata e marmellata), per sigillare un menu vibrante e luccicante. Come il Lugana. Presentato pure sotto le vesti dell’Orestilla di Montonale. Ampio, autorevole, longevo. Nato nel vigneto intitolato alla matrona romana di cui venne ritrovata una marmorea arca. Dopotutto il vino è un testimone. Di paesaggi e di personaggi della storia.