Bread religion

    La nouvelle vague del pane

    Un premio lo celebra. E la Giornata della Ristorazione lo elegge protagonista in cucina. Così si riaccendono i riflettori sul pane, anche al di fuori della bakery e oltre la bakery. Ribadendo la centralità di un prodotto simbolo di convivialità e ospitalità

    C’era una volta il cestino del pane. Ora c’è il pane. Al ristorante s’intende. Pane come alimento. Pane come elemento cardine dei pasti. Pane come rispetto per la materia prima. Pane come icona di ospitalità. Pane come portavoce della sacralità della convivialità. Pane al centro della tavola. Pane sulla tavola. Pane nel piatto. “All’inizio doveva essere un premio al cestino del pane. Poi abbiamo capito che sarebbe stato anacronistico, fuoricampo e fuori luogo. Perché ormai ci sono ristoranti che fanno una sola tipologia di pane. E la fanno benissimo”, spiega Federico Lorefice, direttore di Grande Cucina e co-founder del milanese Congusto Gourmet Institute, durante la presentazione ufficiale della prima edizione di Pane e Ristoranti Award, organizzato da Italian Gourmet in collaborazione con Petra - Molino Quaglia. Una sorta di spin-off del Grande Cucina Talent Prize, nato per accendere i riflettori su tutti gli aspetti e i ruoli della ristorazione. “Solo che in questo caso non abbiamo posto limiti di età. Abbiamo invece voluto valorizzare l’operato di chef e imprenditori colti, capaci di fare il pane, di raccontare il pane e di narrare il territorio attraverso il pane. Mi auguro davvero che questo riconoscimento possa rappresentare un ponte fra panificazione e cucina. Anche sfatando un tabù: quello di scegliere consapevolmente di non sformare il proprio pane, ma di andarlo ad acquistare da un artigiano che lo sappia fare al meglio. Allo stesso modo in cui si seleziona un olio o un vino”, continua Lorefice. Vecchi stereotipi e nuove certezze, dunque. “E loro tre sono i capifila di una lunga e dinamica strada verso la ricerca”, precisa Alberto Cauzzi, in forza alle Guide de L’espresso e facente parte della giuria che ha eletto in finale tre chef, provenienti da tre diversi terroir: Gianluca Gorini, patron del romagnolo daGorini, a San Piero in Bagno, in provincia di Forlì-Cesena; Franco Franciosi, capitano abruzzese del Mammaròssa di Avezzano, in terra aquilana; e Matteo Vergine, che col fratello Riccardo guida il Grow Restaurant di Albiate, in Brianza.

    In alto, i finalisti insieme a Federico Lorefice, Lydia Capasso, Atenaide Arpone e Alberto Cauzzi. In basso, al centro, il vincitore Gianluca Gorini; a sinistra, Franco Franciosi; a destra, Matteo Vergine - Foto di Chiara Carolei - Moumou Hub

     

    Capifila di una nuova corrente

    Avere consapevolezza del pane e dare valore al pane. Questo ha voluto fare e continua a fare Gorini. “Forse avevamo perso visione, motivazione e orientamento. E così ho cercato di ridare centralità al pane. Anche perché studiare il mondo dei lievitati è davvero affascinante. Tra l’altro al ristorante ho deciso di proporre un solo tipo di pane, che ha 36-40 ore di lievitazione. Ritrovando quell’attaccamento all’essenza delle cose. Del resto, io a San Piero in Bagno ci sono arrivato solo per amore. E il pane è un gesto d'amore, un piccolo esempio di come poter fare che semplici e al tempo stesso profonde”, commenta Gianluca, vincitore dell’edizione 2023 di Pane e Ristoranti Award. “Il pane è sacro. E in alcune culture non si taglia, si spezza”, dichiara mister Franciosi, sul podio pure lui (per capirne il motivo basta assaggiare la sua pagnotta alle patate di Avezzano). “Io ho un trascorso creativo nell’architettura e nel design. Tanto che Mammaròssa l’ho disegnata e costruita. Ecco, sono convinto che ogni pane dovrebbe rappresentare e ritrarre una specifica zona dell’Italia”, prosegue lui, riportando il focus sul campo, sull’agricoltura, sui contadini, sugli artigiani, sulla filiera, sul genius loci. “Il mio primo approccio col pane invece è stato per necessità. Dove abbiamo il ristorante non vi è un panificio. Allora abbiamo aperto una panetteria all’interno de ristorante. Siamo arrivati a fare ben sette tipologie di pane. Per il ristorante, ma una volta alla settimana lo vendiamo anche al pubblico”, puntualizza il giovanissimo Matteo Vergine. Alle redini di Grow, come crescere, evolvere, fermentare e stagionare. Col tempo e rispettando il tempo. Facendo luce sulla biodiversità lombarda. Tenendo fede alla sostenibilità ambientale e sociale. E privilegiando erbe selvatiche, pesce lacustre e selvaggina.   

    Da sinistra, Gianluca Gorini, Piero Gabrieli, Lydia Capasso, Franco Franciosi e Matteo Vergine - Foto di Chiara Carolei - Moumou Hub

     

    Memoria e visione

    “Il pane ha una storia ultramillenaria. E se questa è una sua forza è anche una sua debolezza. Perché spesso il pane rischia di rimanere ingessato in questa storia. Per fortuna ora vi è un rinnovato patto con i fornitori, con gli agricoltori e con i clienti. Per fortuna vi sono sempre più panificatori vivaci e attenti. Anche al lato umano del pane”, spiega Atenaide Arpone, alla guida delle riviste Il Panificatore Italiano e Il Pasticcere e Gelatiere (sempre by Italian Gourmet). Atenaide che insieme a Cauzzi, Lydia Capasso (giornalista di Grande Cucina), Gianluca Biscalchin (autore e illustratore), Antonella De Santis (del Gambero Rosso), Giuseppe Iannotti (del Krèsios di Telese Terme, Benevento), Matias Perdomo (del milanese Contraste) e Marco Pinna (pastry chef di Seta e Mandarin Oriental Milan) è andata ad alimentare la giuria tecnica. “Ai giurati, abbiamo chiesto di inviarci una rosa di tre ristoranti, nei quali il pane fosse centrale. E incrociando le nomination abbiamo eletto i tre finalisti”, racconta la Capasso, al coordinamento della giuria. “Ne sono usciti nomi nuovi. E anche un nome su tutti: quello di Niko Romito. Ma abbiano scelto di lasciare Niko fuori concorso, perché meritava una menzione d’onore. Per aver innalzato il pane a vera e propria portata. Parte integrante di un menu”, continua Lydia. Mentre Cauzzi rammenta il grande lavoro sul pane portato avanti anche da Massimiliano Alajmo e da Massimo Bottura, autore del volume Il Pane è Oro - Ingredienti ordinari per piatti straordinari (edizioni L’ippocampo).

    Alcuni momenti del raccolto del grano evolutivo in Sicilia - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Il seme insegna, il cuoco interpreta

    “Il progetto Petra è nato per ridare valore alla farina. Spogliandola del suo significato di commodity e facendola diventare una specialty. E per fare questo siamo partiti proprio dai panificatori, per poi spostarci verso il mondo della pizza e della pasticceria. I risultati siamo riusciti a vederli in questi ultimi anni. E ora siamo pronti a rivolgerci agli chef. Perché il cuoco ha la giusta forma mentis per interpretare il pane”, commenta Piero Gabrieli, direttore marketing di Petra. Che non dimentica di riportare l’attenzione su un progetto capace di tracciare un filo forte e sicuro dal campo al sacco e dal sacco alla tavola: Petra Evolutiva, una farina che concentra in sé tutta la potenza della resilienza, la meraviglia della biodiversità e la forza della sostenibilità. Narrando come un miscuglio di semi possa farsi popolazione, ancorandosi a un territorio e al suo clima e dialogando con quel territorio e quel clima. Un grano evolutivo che cambia, di anno in anno, condensando la gentilezza e la vis dell'hic et nunc. Un frumento che parla di suolo e di uomini, di sole e di cuore, grazie al virtuoso patto fra Simenza e i mugnai Quaglia. Spighe persino da adottare, per poter ricevere la propria farina, con tanto di nome e cognome. “Abbiamo iniziato con la Sicilia, ma ora contiamo coltivazioni pure nel Lazio, nelle Marche e nel Salento”, afferma Gabrieli. “E per valorizzare ancor più questo grano biologico praticamente perfetto abbiamo costruito un molino ad hoc, al di fuori del più grande stabilimento produttivo. Uno spazio dedicato, dove vi è pure un impianto di germogliazione. Un molino più piccolo ma iper tecnologico, per ottenere un prodotto ad altissimo livello di pulizia e di gusto. Affinché il cuoco abbia a disposizione un ingrediente ottimale per poter creare e sperimentare”. 

    La Hybrid Pizza in tre versioni. A firmarla il pastry thinker Marco Pedron

     

    L’energia della briciola

    Pane da realizzare. Pane da servire. Pane da comunicare. Pane da recuperare. “Perché c’è ancora molta energia nella briciola. Tempo fa feci un sorbetto al pane, partendo dalle briciole e dalle fette di pane avanzate”, dice il pastry thinker Marco Pedron, ricordando un sorbetto presentato nell’edizione 2021 di Identità Golose. Pane ammollato nell’acqua, strizzato, essiccato, arricchito di olio di vinacciolo, coppato e impanato nelle briciole. Al fine di ottenere una cialda a metà strada fra il cono e il taco. Mentre l’acqua veniva mantecata e trasformata in sorbetto, complice l’uva fragola. Marco geniale, sagace e audace, anche nel nuovo ruolo di direttore didattico dell’area Pasticceria di Congusto Gourmet Institute. Il che comporta pure un impegno da regista nella dinamica Bakery, pensata per formare professionisti a tutto tondo. Preparati non solo nella produzione, ma pure nella gestione, nell’organizzazione, nella vendita e nella comunicazione. “E nel secondo semestre apriremo le porte anche a chi, magari non più giovane, abbia voglia di cambiare. Proponendo obiettivi concreti da raggiungere”, precisa Pedron. Sempre capace di far di concretezza e semplicità virtù. Anche insegnando a essere più pragmatici e sostenibili. La Hybrid Pizza conferma. Una pizza-tarte, in equilibrio fra dolce e salato, realizzata  riutilizzando gli scarti e i ritagli avanzati di brioche o croissant. Elementi vitali di un unico impasto, veloce e diretto, dal quale ottenere non solo grissini sfogliati, ma anche una pizza Margherita condita con salsa di pomodoro, stracciatella, foglie di capperi e origano di Pantelleria, ideale per l’aperitivo; una pizza totalmente vegetale, preziosa di crema di broccolo fiolaro di Creazzo, hummus di ceci, limone, zucca, uvetta del Cilento, pepe di timut e finocchietto, ottima per un pranzo leggero; oppure una dolce tatin con mele, burro, zucchero, cannella e crema pasticceria, perfetta a colazione e a merenda. Della serie: “One destination, many solutions”, come dice lui. In un inno al no waste.  

    La locandina della prima Giornata della Ristorazione

     

    Companatico culturale

    Ed è proprio il pane, allegoria del convivio, grazie alla sua profonda valenza materiale e immaginifica, il leitmotiv della prima Giornata della Ristorazione, in programma il prossimo 28 aprile. Mission? Celebrare l’arte dell’ospitalità italiana, in un rinnovato senso di comunità, collettività, appartenenza, relazione e condivisione. Coinvolgendo ristoranti, osterie, trattorie e pizzerie, intese come agenzie di tutela e promozione, capaci di sostenere economicamente e socialmente un territorio. Perché ristorare significa connettere le persone, mietere cultura e nutrire di fiducia un territorio. Una giornata popolare, democratica e inclusiva, ideata da Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, con la direzione artistica di Rampello & Partners Creative Studio. Aderire è semplice e l’invito è quello di creare un piatto pronto a valorizzare il pane. Che si fa portata e pietanza. Piena di sapienza. Già cinquemila le insegne aderenti in Italy, a cui se ne aggiungono 500 all’estero. Il tutto sostenuto da realtà quali gli Ambasciatori del Gusto, Jre, Chic, Apci, Fic, Le Soste, Identità Golose, Slow Food e Unione dei Ristoranti del Buon Ricordo, nonché da 85 associazioni territoriali, protagoniste di altrettanti appuntamenti locali, fra workshop, tavole rotonde e cooking show. Con un grande evento centrale a Roma. Una giornata che si è aggiudicata la Medaglia del Presidente della Repubblica, quale premio di rappresentanza per l’alto valore dell’iniziativa. Un progetto corale e solidale, visto anche l’impegno a devolvere fondi a favore della Caritas. Un’occasione per riflettere, ma anche per festeggiare. Spezzando il pane.   

    T: Cristina Viggè

    19-04-2023

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