Lavori in corso

    Il panettone e i suoi fratelli

    Dagli Assenza a Zizzola, passando per Alverà, Ballico, Cantarin, Longhin e Massara. A Vighizzolo d’Este, nell’antico e modernissimo molino della famiglia Quaglia, in vista del prossimo Pastry Best, otto pasticceri e un terzetto di tecnici-tecnologi si sono dati appuntamento per una tre giorni ad alto tasso di sperimentazione sul più classico dei lievitati. Che cresce, evolve e si sviluppa, incontrando nuove idee, nuovi impasti, nuove farine, nuovi ingredienti e cereali differenti. Dando così voce non solo alla creatività, ma pure alla biodiversità, alla stagionalità, alla sostenibilità e alla solidarietà

    Cento. Cifra tonda, pari, assoluta. Divina, come sostenevano i Pitagorici, perché il quadrato di dieci, il numero perfetto. Formato dall’uno, ossia la monade, il principio, l’archetipo; e dallo zero, l’indeterminato, il nulla per i nostri sensi, in verità il cerchio che contiene il tutto. E ancora, nella cabala ebraica il 100 corrisponde alla lettera q (qoph) e assume il significato di santità e ciclo di crescita. Senza dimenticare l’idea di totalità, completezza e purezza incarnata nella percentuale del 100%. Non uno, ma Cento Panettoni dunque, per battezzare un’intensa tre giorni andata in scena al Laboratorio: la scuola di Petra, inaugurata nel 2000 negli spazi dell’antico e iper moderno Molino Quaglia di Vighizzolo d’Este. Tre giorni di lavori, studi, prove, ricerche intorno a un lievitato emblema dell’Italia nel mondo. Un po’ come la pizza. E che, come la pizza, può variar forma e dimensione, conoscere nuove farine e cereali differenti, sperimentare impasti alternativi e scoprire indite texture. Evolvendo, maturando e facendosi sempre più propositivo e poliedrico. Per esprimere appieno le sue infinite potenzialità. Anche quelle legate alla solidarietà. Certo, perché Cento Panettoni si è rivelata anche e soprattutto un’iniziativa sociale, solidale e benefica, volta a sostenere l’associazione La Miglior Vita Possibile e i pazienti dell’Hospice Pediatrico di Padova. 

    Dall'alto in basso in senso orario: Corrado e Francesco Assenza, Mariano Massara, Stefano Zizzola e Fabio Longhin - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Dalla A alla Z, dal nord al sud

    Tre giorni con i riflettori accesi sul panettone. Anzi, sui panettoni. Un esercizio sul gusto che ha eletto a protagonisti otto maestri pasticceri, affiancati da un terzetto di trainer-tecnici-tecnologi. Una sorta di prequel, di prologo, di anteprima del prossimo (e autunnale) Pastry Best. Un’occasione per porre le basi di un illuminato e visionario discorso sul celebre lievitato artigianale, che è pure un vessillo nazionale. Un’opportunità per lavorare in squadra, indagando le possibili dinamiche, interazioni e connessioni tra pasta madre (solida e in crema), farine di nuova generazione, cereali e legumi germinati. Indagando anche forme alternative a quella più classica. Il tutto senza la pretesa di rivoluzionare la ricetta tradizionale, bensì con la mission di diversificare: cercando soluzioni alternative e aprendo ulteriori strade a un dolce iconico. Eccoli allora gli attori artigiani in prima linea: gli Assenza, magister Corrado e il figlio Francesco, capitani del Caffè Sicilia di Noto (Siracusa); Massimo Alverà, patron dell’omonima insegna di Cortina d’Ampezzo (Belluno); Francesco Ballico, dominus de Il Chiosco di Lonigo (Vicenza); Lucca Cantarin, titolare della pasticceria Marisa di Arsego di San Giorgio delle Pertiche (Padova); Fabio Longhin, il condottiero della Pasticceria Chiara di Olgiate Olona (Varese); Mariano Massara, alla guida della pasticceria Sara e Mariano di Morazzone (Varese); e Stefano Zizzola, il timoniere della pasticceria che porta il suo cognome a Noale (Venezia). Accanto a loro? I tecnici di Petra: Nicola Borra, Luca Giannino e Giulia Miatto. Un gruppo di esperti professionisti felici di studiare e di realizzare anche un centinaio di speciali panettoni. Concorrendo a un’importante iniziativa, a sostegno dell’Hospice Pediatrico di Padova.  

    Da sinistra a destra: Lucca Cantarin, Massimo Alverà e Francesco Ballico - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Un lievitato coraggioso

    “A differenza dei grandi piatti, per il panettone non puoi dire a modo mio. Lui rappresenta una sfida, perché nasce da una materia viva. Che ti permette di lavorarla solo se tu hai una grande conoscenza di essa. E conoscenza ed esperienza ti portano ad avere un prodotto che non nasce per caso. Sei tu che controlli lui. Anche perché lui, se non viene controllato, va dove vuole. Il panettone è il sigillo di un’attività. È ciò che determina il valore del professionista stesso”, dichiara Massimo Alverà. E Francesco Ballico si schiera dalla sua parte: “Fare il panettone è una delle cose più difficili in pasticceria. È una sfida che ogni pasticcere intraprende con se stesso. Perché le variabili sono tante, dalla gestione del lievito madre alla cottura. È come fare un vino naturale. Non hai mai la certezza di ottenere un prodotto replicabile e sempre uguale. Io, quando iniziai, incontrai parecchie difficoltà. Ma bisogna fare esperienza, non spaventarsi e anche passare molte notti insonni”. 

    Giulia Miatto ed Emanuele Martera con i Cento Panettoni - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Insieme, mano nella mano

    Panettone come emblema di resilienza, sfida e sperimentazione. E Cento Panettoni come lab in itinere sul grande lievitato. Non solo. Visto che è divenuto pure un progetto volto a sostenere un’associazione quale La Miglior Vita Possibile: presieduta dal professor Giuseppe Zaccaria (già magnifico rettore dell’università patavina e luminare del diritto) e nata per supportare con iniziative e idee innovative l’operato dell’Hospice Pediatrico di Padova. Un centro all’avanguardia, una colonna portante per tutto il Triveneto in quanto a cure palliative e terapie del dolore in età pediatrica. Ed è proprio all’attivissima associazione che è andato tutto il ricavato delle donazioni a favore delle cento prelibatezze in limited edition. Tutte da un chilo, tutte numerate, tutte messe all’asta e tutte messe a segno coralmente e collettivamente dal gruppo di pasticceri e tecnici. Partendo da un lievito madre vivo nutrito dalla farina Petra 6384. Che è andata pure a completare un impasto prezioso di tuorli, zucchero, burro, vaniglia, uvette e scorze d’arancia candite del Caffè Sicilia. Panettoni fatti a mano, confezionati a mano e orgogliosi di creare un girotondo, mano nella mano. Grazie agli allegri packaging realizzati dal designer spezzino Emanuele Martera. “Ho optato per la semplicità, ragionando su quali segni usare per cercare di comunicare la forza delle idee e amplificare il concetto di artigianalità. Così ho deciso di vestire ogni panettone con un sacco di farina dipinto a mano, uno a uno. Affinché diventasse un pezzo unico. Un pack disegnato da un lato e dall’altro. Ritraendo in maniera stilizzata un bambino e una bambina. Che, messi uno accanto all’altro, pare che si diano la mano. Che si abbraccino. Del resto, è la parola insieme la chiave del progetto. Dobbiamo imparare a mettere da parte egoismi e individualismi per collaborare, uniti. Poi ho voluto usare tanti colori, per meglio trasferire lo spirito allegro, conviviale e gioviale che si è respirato nei tre giorni”, spiega Martera. Autore anche del logo della lodevole iniziativa. 

    I partecipanti del laboratorio di sperimentazione sul più classico dei lievitati - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Carosello e la costruzione del mito

    Mangiare è un atto agricolo, recita il titolo del volume edito da Lindau e scritto da Wendell Berry: saggista, romanziere, agricoltore ed ecologista del Kentucky. Ma anche fare il pane lo è. Così come impastare il panettone. Ritenuto, giustamente, un dolce della festa, ma ora pronto ad affrancarsi dal giogo del Natale. Per farsi multitemporale. “È curiosa l’epopea del panettone. Comincia negli anni Sessanta. Attraverso gli spot di Carosello viene conosciuto dall’Italia intera, e riconosciuto come dolce da ricorrenza. Prima non era così. Il dolce che faceva e che fa una l’Italia, non solo domestica ma anche professionale, è il torrone. Il panettone, grazie all’esposizione mediatica, entra nelle case degli italiani. E inizia la corsa ad assaggiare questo dolce mitico. È come se qualche industria si fosse occupata di far diventare nazionale la pastiera napoletana o la cassata siciliana. È toccato al panettone. Poi, quando negli anni Duemila, il panettone perde di notorietà, qualche artigiano comincia a interessarsene. Nasce il panettone di pasticceria. Che ha bisogno di dieci anni per diventare un fenomeno di massa. Tanto da richiamare di nuovo l’interesse dell’industria, che vuole emulare il panettone artigianale ma su scala industriale”, spiega Corrado Assenza. “La storia del panettone è emblematica. Quando si esaspera la dimensione di un prodotto che appartiene alla cultura materiale popolare e l’industria se ne appropria, c’è un filo sottilissimo, che man mano si ingrossa, pronto a riportarlo al popolo e all’habitat domestico”. 

    Vari momenti di produzione e riflessione sul panettone - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Buono, sano, social e quotidiano

    Panettone artigianale: libero, indipendente, intriso di nuova coscienza e di una più profonda conoscenza. Perché il panettone, al pari del pane, può farsi ambasciatore di un’alimentazione salutare ed equilibrata. Concentrando i solidi valori della terra, i gesti vigorosi dei contadini, l’esperienza dei mugnai e l’arte di quegli artigiani che sanno trasformare acqua e farina in meraviglia. Un panettone svincolato dal brindisi e dal fine pasto. Protagonista dei dì di festa ma pure di una pasticceria sana e soprattutto quotidiana. Un panettone genuino, giovane, contemporaneo, dinamico e polifonico, portavoce di idee fresche, di cereali biodiversi e di un’agricoltura sostenibile e futuribile. Non dimenticando la sua magnetica energia e il suo enorme potenziale etico, sociale, solidale e digitale. Certo, perché il panettone è social. E non solo perché da tagliare e condividere. Ma pure perché fiero di divenir oggetto e soggetto di immagini, video e post su Instagram e Facebook. Per raccontarsi e raccontare la lunga filiera che lo va ad alimentare. Entrando così a far parte del linguaggio dei millennial, di un contesto “normale”, di una dimensione domestica e di una consuetudine familiare. Come? Semplice. “Il modo migliore per comunicare un dolce è l’immedesimazione. Più che la descrizione dei suoi ingredienti serve il racconto evocativo. Noi, a differenza dei cuochi, abbiamo poco tempo per fissare un prodotto nella memoria del cliente. E dobbiamo farlo narrando”, precisa Alverà. “Certo, il design è importante. Un dolce si mangia prima con gli occhi. Ma gusto, freschezza e materie prime devono racchiudere un concetto fondamentale: l’artigianalità. Ecco, la mia idea è di proporre sempre dolci capaci di ricordare quelli fatti in casa. Dalla mamma, dalla nonna. Dolci che a livello emotivo possano riportare all’infanzia”, aggiunge Mariano Massara. Precisando una regola che ben si applica al grande e piccolo lievitato.

     

    “Nei periodi più difficili del lockdown, Internet e i social ci hanno aiutato enormemente a veicolare le informazioni e a incrementare le prenotazioni. Abbiamo implementato la piattaforma del nostro e-commerce e seguito giornalmente Facebook e Instagram. Organizzando meglio il laboratorio”, dice Stefano Zizzola. 

     

    “Ogni difficoltà porta sempre con sé delle opportunità. Noi abbiamo riflettuto sulle possibilità di crescita. Lavorando sulla comunicazione, con lo smartphone in mano. Utilizzando specialmente WhatsApp Business. Siamo così entrati in contatto col consumatore in maniera friendly. Della serie, faccio l’ordine e vado in pasticceria a ritirarlo. È un modo per conservare l’artigianalità, guardando al futuro”, puntualizza Massara.  

    Lavorare in squadra per capire e indagare le nuove possibili espressioni del panettone artigianale - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Connessioni, relazioni, evoluzioni

    Raccontare. Il panettone, al pari di altri dolci, può farsi narratore del bello e del buono di un territorio, delle sue tradizioni, del suo genius loci, della filiera. In cui crede moltissimo Corrado Assenza. “Certo, c’è una stretta relazione fra il laboratorio, dove la pasticceria viene prodotta ufficialmente, e il territorio, dove il laboratorio insiste. Territorio che può considerarsi in accezione stretta, ridotto a pochi chilometri quadrati, oppure in accezione aperta, allargato a migliaia di chilometri quadrati. Ecco, il mio lavoro comincia sempre dalla campagna. Attaccato ai contadini, e prima ancora alla terra. Nel rapporto con una pianta che cresce lì, dove trova l’habitat ideale per compiere il suo processo vitale. Ma ho imparato anche a fare tanti chilometri per incontrare la qualità. Il rabarbaro che candiamo viene dalla Lombardia, lo zafferano dall’Abruzzo. In tutti questi anni una cosa l’ho capita: non c’è ingrediente di qualità se a produrlo non è una persona di qualità”, continua Corrado. “Anch’io con il panettone e con i miei dolci voglio comunicare un mondo. Perché noi pasticceri siamo dei trasformatori. Il punto finale di una catena. Ma è importante comunicare ogni anello della catena. È come se nelle mani avessi tanti pantoni da mettere insieme per realizzare un quadro. Che va valorizzato nella sua interezza, ma pure in ogni singolo dettaglio”, precisa Fabio Loghin. Insomma, questione di connessioni. “A 360 gradi. Connessioni all’interno del lab, all’interno della mia famiglia, all’interno della filiera. In questo periodo abbiamo approfondito i rapporti con i fornitori, arrivando addirittura al campo. Ora, grazie al molino, in Sicilia, in terra di Raddusa, abbiamo il nostro grano evolutivo. E ne vado orgoglioso”, continua il pasticcere di Olgiate Olona.    

    Corrado Assenza i i suoi canditi unconventional - Foto di Thorsten Stobbe

     

    L’identità nella biodiversità

    Evolvere. Restando se stesso. Cambiare. Senza trasgredire. Così deve fare e sta facendo il panettone. Che sa usare un lessico ricercato e forbito, ma pure uno slang più pop e smart. Che sa esser alto oppure basso. Small o large. Mini o maxi. Che sa assumere la classica foggia panciuta e pure quella allungata di un bauletto. “Nei nostri esperimenti abbiamo utilizzato il lievito madre vivo. Gestito sia in maniera solida sia in crema. Che non acidifica di più, come si sarebbe tenuti a credere. Inoltre, la versione in crema si è dimostrata più veloce in fase di fermentazione. Così le tempistiche si accorciano. Insomma, l’obiettivo era ed è quello di aprire la mente, per confrontare e capire altre possibili gestioni della pasta madre”, puntualizza il tecnico Luca Giannino. Che, con colleghi e pasticceri, ha spalancato le finestre su farine e cereali. “Per il primo impasto, quello serale, abbiamo utilizzato Petra 6384, andando a chiudere il secondo con le high performance flours”, continua Luca. Nello specifico: Petra 0103 HP, con riso e orzo germogliati; Petra 0104 HP con farro e grits di ceci germogliati; Petra 0105 HP, con avena e grano saraceno germogliati; e Petra 0106 HP, con segale integrale e tanti semi. “In questo modo non solo cambia il gusto, ma cambiano pure colore e struttura del lievitato. Che si fa soffice o croccante, anche per via dei semi di sesamo, lino, girasole”. Inoltre, il panettone può così rispondere ai diktat di una nutrizione sana e calibrata, ricca di fibre, minerali e vitamine. Dando voce al tempo stesso alla terra, alla biodiversità e alla sostenibilità agricola. “Ma questo è solo l’inizio. Step by step, da qui al Pastry Best, lavoreremo su altre possibili forme del panettone. Vedi la monoporzione o quella che lo avvicina al kugelhupf. Un dolce pratico, con le fette predefinite”, chiosa Giannino.

    In alto: Piero Gabrieli e Chiara Quaglia. In basso: alcuni momenti della tre giorni sul panettone - Foto di Thorsten Stobbe

     

    Una famiglia fragrante

    Cereali biodiversi. E canditi differenti. “Ci siamo sbizzarriti, utilizzando canditi non convenzionali. Intendo più ortaggi che frutti. Canditi che sono il presupposto, insieme alle farine germinate e ai cereali alternativi, per riconfermare il posto d’onore del panettone nella ricorrenza. Ma anche per suggerire come sia necessario completare la famiglia con una serie di fratellini minori, che possano accompagnare le stagioni e le produzioni agricole. Lievitati che pescano dalle tecniche del panettone progenitore, per spostarsi nel tempo e nello spazio. Incuriosendo il consumatore con una proposta che contiene tutti gli elementi di un panettone, ma che panettone non è. Questo non significa tradire la ritualità del dolce, ma conferirgli un profilo aromatico diverso”, precisa il maestro Corrado Assenza. Un po’ come fa Francesco Ballico. “Io sforno i figli del panettone tutto l’anno. Li ho chiamati Lingotti e pesano 500 grammi. Così sono più piccoli, hanno un costo minore e i clienti sono invogliati a comprarli, cambiando spesso gusto. In pasticceria li vendo anche a fette per la colazione”. Un momento perfetto per consumare il panettone in montagna, a Cortina. “D’inverno, quando andiamo sottozero, una fetta di panettone a colazione riscalda l’anima e il cuore. E poi queste tipologie di farine si sposano benissimo con un concetto montano di cibo”, spiega Alverà. E in estate? “Il panettone si abbina al meglio con il gelato. E poi, grazie alle sperimentazioni, in futuro potremo sviluppare aromi finora sconosciuti”, commenta Lucca Cantarin. 

    Nel video, il dibattito che ha eletto a protagonisti gli otto pasticceri e Davide Paolini - Riprese e montaggio a cura di Marco Gallocchio

     

    Canditi unconventional

    Corrado che direttamente da Noto ha portato (e messo in valigia) una vera collection green. “La canditura permette di trasporre nel tempo sia la frutta sia la verdura. Allungandone la conservazione. Ecco, noi i vegetali li abbiamo trasportati pure nello spazio”, continua il saggio Corrado. Risultato? Un poker di lievitati impreziositi da cubetti insoliti e stagionali. Canditi di fagiolini e limone per il panettone con Petra 0103 HP; di pomodoro e sedano per quello con Petra 0104 HP; di peperone e limone per il lievitato con Petra 0105 HP; e di rapa e bergamotto per quello con Petra 0106 HP. "I francesi sono riusciti nell’intento di eleggere il macaron a icona nazionale. Anche il panettone può aspirare a diventare sempre di più un simbolo italiano. A patto di accettare il cambiamento”. Assenza insegna. 

     

    "Il panettone classico rimarrà per sempre. Ma nasceranno tanti fratelli che potranno somigliare a lui o discostarsi da lui. Più che una fantasia sfrenata mi auguro possa esserci un continuo fermento. Guidato dalla tecnica e dall’esperienza". Corrado Assenza 

    T: Cristina Viggè

    16-07-2021

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