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empatia.

FUORI IL PROSSIMO
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Piero Gabrieli

2020-04-01T00:00:00+02:00


#dilloconpetra   Partecipa al sondaggio con 1 click 

Del coronavirus avremmo fatto tutti volentieri a meno, ma ciò che stiamo vivendo ha l'indubbio merito di ridare misura alle nostre azioni con il metro del rispetto e della responsabilità. Virtù che rimandano entrambe al riconoscimento delle esigenze altrui (rispetto) ed alla libera scelta di comportamenti che evitano conseguenze negative sulla vita degli altri (responsabilità). Senso di rispetto e senso di responsabilità si materializzano attraverso l'empatia. L'emergenza in atto coinvolge tutti noi. Se è vero poi che questo virus porta alla morte soprattutto anziani e malati gravi, è evidente come i più di noi non siano in pericolo, ma, al contrario, siano un pericolo per i più deboli e i più esposti. Passare da atteggiamenti egocentrici ad atteggiamenti empatici si rivela oggi necessario per accettare una vita, sia pure temporanea, di restrizioni, ma domani sarà un punto di partenza sul quale riflettere seriamente per ridisegnare l'impresa e gli alimenti nel segno del rispetto e della responsabilità verso la salute dei clienti e dei collaboratori.  

SFOGLIA DA SINISTRA A DESTRA

Cristina Viggè
2020-03-15T00:00:00+01:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Mariano Massara: rispetto, ascolto e solidarietà

Il lavoro di squadra è fondamentale. In ogni attività. Ben lo sa Mariano Massara, che in quel di Morazzone (Varese) guida la Pasticceria SeM: logo e acronimo che condensa il suo nome e quello della moglie Sara. Sua compagna di vita e d’avventura. Ma come riuscire a lavorare fianco a fianco con il proprio partner? Semplice: stabilendo i ruoli, dialogando e confrontandosi di continuo. Perché è dal confronto che nascono nuove ispirazioni e idee. Del resto, è grazie all’empatia che si arricchisce la propria identità e quella dell’altro. O degli altri. Certo, empatia significa anche rispettare e ascoltare gli altri. Significa comprendere le esigenze dei clienti. Per poter entrare nella loro dimensione e interpretare i loro desideri. Significa, in un momento difficile come questo, alzare le antenne, abbassare l’ego, farsi carico di un profondo senso di responsabilità e pensare di dare il proprio aiuto concreto a chi sta operando in prima linea. Come hanno fatto le associazioni no-profit Articolo Tre - presieduta da Emanuela Romeo - e Pasticceri per la vita - capitanata da Mariano - acquistando e donando all’Ospedale di Circolo di Varese due monitor, utili nella lotta al covid-19.

La Pasticceria SeM di Mariano Massara riaprirà a Morazzone (Varese). Intanto Mariano ci propone la ricetta della sua brioche all'italiana con crema pasticcera.


❓Impareremo ad ascoltarci e ad ascoltare di più❓
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Cristina Viggè
2020-03-16T00:00:00+01:00

Leggi l'articolo su agendadigitale.eu

Dopo la pandemia saremo meno egoisti? 

Distanti ma uniti. Anzi #distantimauniti è uno degli hashtag-mantra di queste settimane di clausura (e chiusura) generale. Unione intesa come integrità personale, di coppia, famigliare e comunitaria. Diceva un vecchio adagio: “non tutti i mali vengono per nuocere”. E forse la tempesta coronavirus ci ha aiutato a riflettere. Ci ha aiutato a mettere da parte la fretta, per sposare tempi più lenti. Ci ha aiutato a essere più rispettosi delle regole e più responsabili nei confronti della società. Ci ha aiutato a fermarci, per pensare. A noi e al prossimo. Basti pensare alle innumerevoli donazioni fatte agli ospedali. Da parte dei piccoli e da parte dei grandi. Basti pensare ai dolci, alle pizze e ai pasti caldi preparati da chef e pastry chef e poi offerti a medici e infermieri. Distanti, ma uniti, nel nome di tutti. Come ha ribadito Papa Francesco, venerdì 27 marzo, nella benedizione Urbi et Orbi, sul silente sagrato della Basilica di San Pietro: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme". 

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Piero Gabrieli
2020-03-17T00:00:00+01:00

Prof. Massimo Donà a PizzaUp 2019. Guarda il video completo.

"Mangiare non è un gesto innocente."  

Perché mangiare non è un gesto innocente? Cosa vuol dire essere empatici? L'empatia è la relazione che nasce e matura all'interno di una condivisione dove più individui si fanno uno. Ma cosa significa condividere?  Una forma di condivisione è la rinuncia a qualcosa di sé che porta a non essere più quello di prima, perché in questo caso condividere è avere attenzione alle esigenze dell'altro. «Empatia significa condivisione. Significa contatto, relazione, diventare uno. Ma ci sono tre modi per essere empatici. Il primo è rinunciare a qualcosa di sé per concedere attenzione alle esigenze dell’altro. Alla fine il rischio che si corre è quello di non essere più se stessi. Di dover rinunciare alla propria specifica diversità», parole di Massimo Donà, filosofo e musicista jazz, nella sua sorprendente lezione a PizzaUp 2019. 

Guarda il video completo.

Piero Gabrieli
2020-03-18T00:00:00+01:00

Immagine tratta da imgur.com - Guarda l'animazione

Quale impatto avrà l'immunità di gregge sui costi aziendali?

L'immunità di gregge è quella situazione nella quale un virus non riesce più a infettare una popolazione, in quanto buona parte di essa ha sviluppato immunità perché vaccinata o perché ha già contratto l'infezione. (guarda qui un'animazione su come funziona) In questi giorni ha fatto molto discutere questo concetto per via di alcune dichiarazioni rilasciate dal premier inglese Boris Johnson, che lasciavano intendere la volontà di combattere l'epidemia lasciando infettare larga parte della popolazione allo scopo di rendere immuni i sopravvissuti (da notizia recente sembra tuttavia che questo indirizzo sia stato in parte abbandonato). Secondo gli esperti pensare all'immunità di gregge prima che si trovi un vaccino avrebbe il solo risultato di lasciar circolare liberamente il virus con un carico di morti molto elevato e la certezza di mandare in tilt il servizio sanitario.  In conclusione, anche dopo questa emergenza, non potremo abbassare la guardia verso nuovi possibili contagi fino a quando non sarà disponibile un vaccino efficace. In termini economici significa che alla riapertura le attività di ristorazione in senso lato dovranno confrontarsi con una scala di costi diversa dal passato, dove il livello di empatia nel servizio e nel prodotto avrà un'incidenza non trascurabile.  

Cristina Viggè
2020-04-06T16:13:22+02:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Renato Bosco e le affinità elettive

Empatia? “È una forma di rispetto. Ma anche un senso di appartenenza a un concetto capace di andare oltre le nostre conoscenze. È la corrispondenza esatta di qualcosa che tu senti e che dall’altra viene percepito allo stesso modo. Uguale e identico”. Per Renato Bosco empatia è questione di feeling. Di affinità elettive con qualcuno. Il che non significa rinunciare alla propria identità per immedesimarsi nell’altro. Non vuol dire azzerare se stesso per compiacere al prossimo. È più un sentire all’unisono. Un essere sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda. Per poter condividere idee, pensieri e progetti. Come ben ha fatto e continua a fare lui. Deus ex machina non solo della pizzeria che a San Martino Buon Albergo porta il suo nome e cognome, ma pure del laboratorio che gli sta accanto: Saporè Pizza Bakery. E ancora di Saporè DownTown e di Saporè Pizza StandUp a Verona; di Saporè Prato, di Saporè Milano e di Saporè Vicolungo, in provincia di Novara. Ultimi nati in una famiglia sempre più allargata. E sempre più capace di ascoltarsi e ascoltare. Anche il cibo. Perché, come precisa Renato: “Il cibo non è solo per la pancia. Non è semplice nutrimento per il corpo. Il cibo è fonte di energia anche per la mente. E noi possiamo dirigere l’energia nella direzione corretta: decidendo cosa mettere nel piatto. Dopotutto, siamo quello che mangiamo”.

Renato Bosco Pizzeria e Saporè Pizza Bakery riapriranno a San Martino Buon Albergo (Verona). Intanto Renato ci propone la ricetta della sua PizzaCrunch, da fare a casa e completare a piacere.


❓Riusciremo a vivere in una società distanziata?❓
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Cristina Viggè
2020-04-06T16:26:04+02:00

Leggi l'articolo su ansa.it

Sapremo sentirci vicini anche se distanti? 

Bella la campagna social #distantimauniti, voluta da Vincenzo Spadafora, il ministro per le politiche giovanili e lo sport. Bella ed efficace. Pronta a coinvolgere personaggi come Valentino Rossi, Bebe Vio, Fabio Fognini, Carolina Kostner, Vincenzo Nibali, Federica Pellegrini e molti altri, per veicolare un messaggio forte e chiaro: “Se ognuno di noi allungherà il braccio verso l’altro. Sembrerà quasi di toccarci. Anche se solo virtualmente”. È vero. Usciremo con le mascherine. Ci terremo tutti a un metro di distanza. E prenderemo i mezzi di pubblici facendo più attenzione, nel rispetto delle regole. Ma forse, in questa società “allargata”, ci sentiremo molto più vicini di quanto non lo siamo mai stati prima. Perché? Perché in questo tempo sospeso abbiamo imparato a prendere le distanze da stereotipi e preconcetti. Abbiamo imparato a intendere l’altro non come diverso da me, ma come fonte di arricchimento per me. Abbiamo imparato a metterci nei panni degli altri: di medici, infermieri, volontari e addetti alla protezione civile. Scoprendo il profondo valore della generosità e della solidarietà. Abbiamo capito che donando (una pizza, un croissant, un pane appena sfornato a chi sta in prima linea contro il Covid) possiamo sentirci più felici. E forse, sotto la mascherina, riusciremo a sfoggiare un bel sorriso. 

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Cristina Viggè
2020-04-13T09:43:38+02:00

Francesca e Rolando Morandin a Sigep 2019 - Foto di Enrica Guariento

Francesca e Rolando Morandin: ci vuole metodo

Padre e figlia. Ma anche amici, collaboratori e complici, nel portare avanti un mestiere con talento e passione. Insomma, se buon sangue non mente poi ci si mettono studio, ricerca, puntiglio e una buona dose di fiducia ed empatia. Fra loro. E con tutti coloro che seguono i loro sapienti insegnamenti. “Noi lavoriamo in simbiosi”, dice felice Rolando, un'icona della pasticceria. Maestro di tanti altri giovani maestri, ma pure maestro e padre di Francesca. Divenuta a sua volta una professionista esperta. Laureata in scienze e tecnologie alimentari, con una prima tesi (a Torino) sul lievito madre con glutine e una seconda tesi (a Milano) su quello gluten free. Divenuto un brevetto.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


“Rolando è un grande papà, ma anche un grande maestro di tecnica e di manualità. Mi ha trasmesso tutto il suo sapere sui lievitati”, confessa Francesca. Che col padre svolge una dinamica attività di consulenza, collaborando con Molino Quaglia e tenendo corsi in tutta Italia. Un sapere fondato su un approccio tecnico e scientifico alla materia. Un metodo preciso il loro, in cui la creatività sposa il pieno rispetto delle regole. Di una determinata procedura. Di uno schema puntuale. Di un modus operandi che conduce a un risultato preciso. Così è per il panettone, per il pandoro e per la colomba. Così è per i canditi artigianali. Così è in pasticceria.


Francesca e Rolando Morandin riprenderanno i loro corsi e le loro attività di consulenza. Intanto Francesca e Rolando ci propongono la ricetta dei loro biscotti Noccioli di Pesco con confettura di pesca.


❓Impareremo il vero senso della disciplina❓
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Cristina Viggè
2020-04-13T09:59:27+02:00

Leggi l'articolo su corriere.it

Avremo ancora fiducia nelle regole? 

Eva quel frutto proibito non avrebbe dovuto mangiarlo. E invece? Gli diede un bel morso. Con tutte le conseguenze del caso. Dalla cacciata dal Paradiso all’onta del Peccato Originale. Si sa, la tentazione di violare un divieto è sempre lì. Pronta a farsi sentire. Disobbedendo alle regole. Che, se esistono, vanno rispettate. Perché un cardine fondamentale dell’empatia è proprio il rispetto di certi diktat. Fra uomini. Fra uomo e società. Fra uomo e ambiente. Come potrebbe esistere una comunità senza “questo si deve fare” e “quest’altro non si deve fare”? Mosè, sul Monte Sinai, ricevette le Tavole della Legge. La Costituzione della Repubblica Italiana si fonda su precisi diritti e doveri. A Cortina esistono persino le Regole d’Ampezzo, antichissima istituzione che ha lo scopo di regolamentare un uso collettivo e indiviso del territorio. E, con uno sguardo più allargato, anche l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile del Pianeta - sottoscritta da 193 paesi dell’Onu - si propone 17 goal e 169 traguardi. Che, inevitabilmente, impongono di osservare determinati dettami. In una ritrovata empatia con consumi e produzioni responsabili, con l’energia pulita, con il non spreco e con il riciclo. In questo tempo di pandemia, spinti dal timore e dalla paura per un virus ignoto, si è di nuovo imparato a rendere onore a puntuali direttive. Una cosa è certa: quel che prima era dato per assodato domani non lo sarà più. Cambieranno i protocolli di vita. Cambierà il modo di uscire di casa, di entrare in un supermercato, di salire su un mezzo pubblico, di sedersi al ristorante, di partecipare a un congresso, di andare a trovare amici e parenti. E per essere in sintonia con il mondo #fuoridalcovid dovremo esser ligi a nuove normative. 

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Cristina Viggè
2020-04-29T17:12:31+02:00

Lello Ravagnan e Pina Toscani per le calli veneziane - Foto di Thorsten Stobbe

Lello Ravagnan e Pina Toscani: testa, cuore e squadra

La palla? Non l’ha mai mandata in rete. Ma l’ha sempre lanciata oltre la rete. Da atletico pallavolista qual era. Uno che sapeva e sa perfettamente cosa significa lavorare in squadra e per la squadra Lello Ravagnan, capitano del Grigoris di Asseggiano, nel primo entroterra veneziano. Un allenatore con i piedi per terra e le ali sulla schiena, pronto a portare avanti con grinta ed energia idee e progetti. Puntando sempre a un obiettivo comune: la crescita del team, nel pieno rispetto della valorizzazione della singole personalità. Il tutto senza mai perdere la direzione. “Che io penso sia quella giusta”, precisa da bravo coach. Certo, perché è lui ad avere la corretta visione d’insieme. È lui a dettare la strategia. E, grazie all’empatia, condurre tutti sulla retta via.



Lello Ravagnan e Marco Pellizzer al Sigep 2019 - Riprese a cura di Andrea Tadioli


Anche ora. Anzi, soprattutto ora. Che c’è in cantiere un gran bel progetto. Capace di coinvolgere e di stimolare tutta la squadra: aprire un laboratorio a un paio di chilometri dal Grigoris. “Noi amiamo stare fuori dal mondo. E anche il nuovo lab sarà fuori dal mondo”, racconta Lello. Che in merito ha le idee chiarissime, visto che sarà uno spazio aperto in ogni senso: anche alla ricerca e alla sperimentazione. Una bakery dinamica e contemporanea, vocata al pane, alla pizza, ai dolci. “Un luogo dove mangiare, ma anche acquistare, mentre si parla con chi sta mettendo le mani in pasta”, continua Ravagnan. Che anche per il locale madre prevede cambiamenti positivi. “Proporremo sempre la pizza, ma spostando nel laboratorio farine e impasti, al Grigoris lasceremo più spazio vitale alla cucina. Sto già collaborando con lo chef Pier Giorgio Parini. A lui però non ho chiesto le ricette. Ho chiesto di lavorare sulla testa dei ragazzi. Per riuscire a cambiare il loro modo di pensare”. Del resto, una partita si vince prima di tutto mentalmente. Basta leggere Open di Andre Agassi per capire che il tennis, e molti altri sport, sono molto di più che colpire, lanciare o portare in meta una palla.


Il Grigoris di Lello Ravagnan e Pina Toscani riaprirà ad Asseggiano (Venezia). Intanto Lello e Pina ci propongono la ricetta delle loro tartellette al cioccolato con crema fior di latte e seriass.


❓Sapremo fare squadra❓
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Cristina Viggè
2020-04-29T18:01:33+02:00

Lello Ravagnan ritratto per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Leggi l'articolo sul Corriere del Ticino

È ancora vero che l’unione fa la forza?

Questa pandemia somiglia a una partita. Non ci può essere una dinamica rigida e scontata. Tutto cambia, tutto muta, tutto varia, in base all’avversario. E quando pensi di avere in pugno il match point è invece il momento di cambiare tattica e strategia. L’importante? È avere sempre un leader da seguire, un allenatore cui affidarsi, un bravo coach pronto a fare da stella polare. Uno che da “fuori”, sappia osservare “dentro” e indicare la strada. E poi? Sono necessari gli atleti. Tanto il ciclista fuoriclasse quanto il gregario. Perché ciascuno ha il proprio ruolo. Fantasioso o più rigoroso. Portiere, difensore, centrocampista e attaccante, per tener fede al calcio. Alzatore, schiacciatore, libero e centrale, per dirla con la pallavolo. Pilone, tallonatore, mediano di mischia e flanker (destro e sinistro) per parlare secondo il vocabolario del rugby. Ma è solo sapendo ascoltare e ascoltarsi che si può auspicare la vittoria. Solo credendo con convinzione in un obiettivo comune che si può raggiungere il risultato. Solo sintonizzando estro e regole si può ottenere la gloria. Basterebbe riascoltare il gran monologo di Al Pacino nel film Any Given Sunday, diretto da Oliver Stone. Tony D’Amato è nello spogliatoio, insieme alla sua squadra di football americano, gli Sharks: “Siamo all’inferno signori miei, credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno centimetro dopo centimetro”. E poco dopo: “Dovete guardare il compagno che avete davanti, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente”. Lectio magistralis.

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Cristina Viggè
2020-06-02T16:39:21+02:00

Francesco, Chicco, Rossella, mamma Bruna e Bobo Cerea presentano DaV Cantalupa - Foto di Fabrizio Pato Donati

Fratelli Cerea: visione corale

DaV. Come Da Vittorio in versione easy, smart e pop. Ma anche come acronimo di dinamismo, aria e visione corale. Quella di una famiglia sempre capace di dire la verità, conquistando la vittoria in tutto quello che fa. Grazie al suo essere una grande squadra. Grazie a un’organizzazione perfetta. Grazie al rispetto dei ruoli nel nome della massima empatia. Anche ora. Che, causa Covid, la Cantalupa e i suoi banchetti si son fermati. Ma loro, i Cerea, hanno saputo guardare oltre la dantesca “natural burella" (come scrivono sul sito, mutuando le parole dantesche del XXXIV canto dell’Inferno). Per dire con orgoglio: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Andando a segno con un nuova creatura e un'inedita proposta, all’insegna di pizza e barbecue a bordo piscina. Il new DaV Cantalupa, elegante spazio open air dove goder della brezza estiva tutte le sere a cena, e il sabato e la domenica pure a pranzo (fino al 30 settembre). 


I fratelli Cerea e la madre Bruna al ristorante Da Vittorio


Proprio così, loro ci mettono sempre genio e sentimento. Creatività e razionalità. Estro e rigore. Loro: i fratelli Cerea. Figli di Bruna e di quel Vittorio che nel 1966 apre il suo ristorante al centro di Bergamo. Scommettendo sul pesce. E vincendo la sfida. Per poi trasferirsi nel verde della tenuta di Brusaporto, entrare nel prestigiosi circuiti di Relais & Châteaux e de Les Grandes Tables du Monde e conquistare pure la terza stella Michelin. Traguardo che non ha certo fermato il pokerissimo Cerea, inarrestabile team alla guida di una vera e propria galassia gourmand. Eccoli dunque: Enrico (Chicco), primogenito e predestinato executive chef; Francesco, il maître à penser, colui dirige il personale, supervisiona gli eventi esterni, si occupa delle pubbliche relazioni e, non da ultimo, costruisce la carta dei vini, tra i quali spicca pure il “Rosso Faber”, taglio bordolese di vitigni cabernet sauvignon e merlot, nati in loco, nel vigneto del relais. E poi Barbara, alla guida della Pasticceria Cavour 1880, a Bergamo Alta, uno dei Locali Storici d’Italia (presto affiancato dalla Locanda Cavour); Roberto (Bobo) l’altro executive chef, sempre al fianco di Chicco; infine Rossella, maestra di cerimonie, colei che dirige la sala Da Vittorio e si occupa dell’accoglienza nella Dimora, la locanda di charme (di sole dieci camere) immersa nell’incanto. Con tanto di colazione regale. 


Pizza & Barbecue a bordo piscina al DaV Cantalupa

È vero. Uniti si vince. E si raggiungono alti traguardi. Sia nel lusso sia in altri segmenti del food. Vedi le due stelle Michelin al Da Vittorio St. Moritz (con lo chef Paolo Rota), all’interno del Carlton Hotel, in Engadina. Vedi l’astro al Da Vittorio Shanghai (con lo chef Stefano Bacchelli). E vedi pure la partnership con Vicook, brand di ristorazione collettiva che ha già colonizzato bistrot e caffetteria della Villa Reale di Monza. Non dimenticando la consulenza con Esselunga per la pasticceria a griffe Elisenda. E neppure le divagazioni virtuali, rese possibili grazie a un gift-shop che si è andato ad arricchire con le proposte Da Vittorio at Home. In versione delivery e takeway. In perfetta empatia con i tempi. Per un’offerta haute couture e prêt-à-porter, online e offline. Sempre con classe, umiltà, rispetto e coraggio. 


Il ristorante Da Vittorio e il DaV Cantalupa dei fratelli Cerea sono aperti a Brusaporto (Bergamo). 


❓Sapremo unire estro e sentimento❓
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Cristina Viggè
2020-06-02T16:53:16+02:00

Uno dei tavoli al ristorante Da Vittorio di Brusaporto, Bergamo

Leggi l'articolo sul repubblica.it

Da Vittorio: spirito e modello vincenti?

Loro sono un punto di riferimento per la città di Bergamo. E lo hanno subito dimostrato. Scendendo in prima linea al fianco dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, mettendosi a disposizione per cucinare per l’ospedale da campo allestito dagli Alpini, facendo un appello su Facebook e richiedendo il sostegno da parte delle aziende per l’approvvigionamento alimentare. Ottenendo una grandiosa risposta. Sì, Chicco Cerea e i suoi fratelli - forti e coesi più che mai - non si sono risparmiati durante la “natural burella”, come la chiamano loro, facendo riferimento a quel luogo buio e sotterraneo descritto da Dante nell’Inferno. Non si sono tirati indietro, dimostrando affetto per il loro territorio. Inteso come materiale e immaginario, come tessuto agricolo, economico, istituzionale e sociale. Loro, i Cerea, da oltre cinquant’anni dimostrano e continuano a dimostrare di essere un punto di riferimento. Per la Bergamasca, per l’Italia e per il mondo. Mixando sapientemente “tradizione lombarda ed estro creativo”, come amano precisare. E mettendoci cura e cuore, passione e ragione, istinto e organizzazione. Riuscendo a presidiare i più diversi settori della ristorazione ed entrando in sintonia con differenti target. Un modello da emulare. Uno stile da imitare. Per visione, lungimiranza, coerenza e competenza. Nulla i Cerea lasciano al caso. Neppure l’online. Puntuali e meticolosi pure nelle loro proposte Da Vittorio at Home, che variano settimanalmente, non tradendo i cult.

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Cristina Viggè
2020-06-18T14:09:25+02:00

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero

Pipero & Scamardella: andando al “succo”

Alla domanda come va? Lui risponde felice: “Bene, molto bene. Anche se tutto in questo periodo ha un significato relativo. Non si possono fare piani. L’asticella è pazza. Altalenante. Ma una cosa è certa, bisogna esserci e crederci sempre. Fino in fondo. Del resto si sa, la specie che resiste è quella che meglio si adatta alla situazione. Del tipo che quando trovi lo spigolo provi ad arrotondarlo. E quando trovi un angolo tondo ti metti comodo”. Lui? È Ciro Scamardella: millesimo 1988, natali affondati nella napoletanissima Bacoli e piedi ben stabili nella Capitale. Al Pipero Roma, la gran maison di patron Alessandro, proprio nel cuore della Città Eterna (in corso Vittorio Emanuele II). “Ale è il primo che lotta con noi. Lui e il suo braccio destro Achille Sardiello, sommelier e restaurant manager”, continua Ciro. Disegnando una squadra forte, coesa, caparbia e decisa. A portare avanti la propria filosofia.

Ciro Scamardella, Alessandro Pipero e Achille Sardiello - Foto di Andrea Moretti

Anzi, no. “In questo momento sarebbe sbagliato soffermarsi sulla filosofia. Anche perché, se vero è che io abbia la mia idea precisa di cucina, è altrettanto vero che nel frattempo essa sia cambiata, maturata, evoluta. Più che parlare di filosofia credo sia importante far parlare gli ingredienti. Applicare la tecnica al gusto. Facciamo che le ore e ore di lavoro rimangano dietro le quinte. Ed emerga invece il sapore. A tal proposito mi tornano in mente gli insegnamenti di Martín Berasategui, col quale ho avuto la fortuna di lavorare”, tiene a puntualizzare il giovane Scamardella. Orgoglioso di aver trovato la quadra per la sua ricotta fake. “Arriva a tavola, poco prima del dolce. Si tratta di una cagliata condita con olio, sale, pepe, ciliegie e succo di ciliegie. Pronto a esaltare le ciliegie stesse. Che è un po’ lo stesso principio che applico all’impepata di cozze. Che porta con sé tutta l’energia della mia terra e delle mie origini. Con l’acqua di cottura preparo sia un velo sia una crema di cozze, che vanno a coprire e a impreziosire le cozze stesse. Gusto su gusto, insomma. Per un sapore al quadrato”. Nel nome della massima empatia fra gli elementi. E pure nel segno dell’arte dell’empaquetage. Per un solenne inchino a Christo.

La Ciro's salad: un cuore di lattuga che avvolge un'autentica insalata di pollo  - Foto di Andrea Moretti

Arte. Certo. Perché l’istrionico ed eclettico Pipero - unica e unconventional incarnazione di oste, sommelier, maître e padrone di casa - ama ospitare anche esposizioni temporanee di arte. Come quella della calabrese Anna Romanello, che mixa fotografia e innovative tecniche di stampa calcografiche e xilografiche, dando forma a un nuovo linguaggio. Fiero di esprimersi in un contesto dove i tavoli - come ben compare nella schermata iniziale del sito ufficiale - sono ben distanziati l'uno dall’altro. Fra la sala principale, la saletta al piano superiore e la cantina. Regno di Alessandro e Achille, capaci di valorizzare le etichette anche nella formula “Pipero by the glass” e in quella del “Bar à Champagne”. Dove si dà voce alla possibilità di assaggiare un cocktail artigianale e in bottiglia (e persino affinato in botte) firmato Keynco, progetto tutto al femminile targato Valeria Sebastiani e Giada Panella. 


La carbonara secondo Pipero - Foto di Andrea Moretti

Nella cantina di Pipero Roma

La crêpe suzette - Foto di Andrea Moretti

Pane e olio secondo Piperhome - Foto di Andrea Moretti

Intanto? Ciro crea. Offrendo al commensale la libertà di scegliere, oppure prendendosi “Carta Bianca”. “In questo caso sono io a essere libero. Ma devo ben capire chi ho di fronte”. Dopotutto è questione di feeling. Di stile, di energia, di empatia e di eleganza. Che arriva sino a casa. Grazie al format geniale di Piperhome. Eccelsa sintesi di Pipero, Roma e Home. Menu delivery che inanella lasagna alla carbonara; bao con sugo di coda alla vaccinara;  maritozzo alla Norma; Ciro’s salad; pluma panata; pane e olio (extravergine denocciolato dell’Antico Frantoio Muraglia) e Tiramisciù. Versione tutta scamardelliana, ironica ed estrosa, del grande classico.  


Il ristorante Pipero Roma di Alessandro Pipero ha riaperto nella Capitale. 


❓Sapremo andare al sodo❓
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Cristina Viggè
2020-06-18T16:32:06+02:00

Lo Sleep Concert: il 26 giugno al Podere Selva Capuzza

Leggi l'articolo su linkiesta.it

Sapremo tuffarci nell'esperienza?

Scegliere. Questo è il punto. Scegliere un abito, un oggetto, un cibo, un ristorante, un albergo, un viaggio. Consapevolmente e ragionevolmente. Ascoltandoci e ascoltando quel che davvero desideriamo. Optando per una cosa o per l’altra. Per una strada o per quella opposta. Oggi più che mai c’è bisogno di conoscenza e coscienza. Per andare dritti al sodo. Senza perdere tempo. Senza inutili giri di parole. Per selezionare con cura quel che vogliamo fare e dove vogliamo andare. Perché solo così riusciremo a concentrarci, entrando in empatia con la “scelta” fatta. Che ci deve rispecchiare ma pure completare, regalandoci un’emozione. Della serie, è solo credendoci che si può andare in verticale in un’esperienza. Persino quando questa è davvero unconventional. Ma capace di mettere in relazione conscio e inconscio, veglia e sonno, istante ed eterno, reale e onirico. Come accade venerdì 26 giugno al Podere Selva Capuzza di Desenzano del Garda. Che ospita una performance (organizzata in collaborazione con Doc Live) unica nel suo genere: lo Sleep Concert, fra musica e stelle (biglietti disponibili su DICE). L’idea? Quella di esplorare una diversa percezione del suono, attraverso l’ascolto abissale e profondo della posizione distesa. Quella che conduce al sogno.

Per indagare nuove frontiere dell'emozione

In pratica? Dalle 22 alle 2 di notte, gli artisti Luca Formentini e Tiberio Faedi, - ideatori del format - si esibiranno in vigna, insieme a Corrado Saija e alle attrici di Somebody Teatro, in una long night performance, ispirata ai concerti notturni del compositore statunitense Robert Rich. Protagonista? Ophélie, figura onirica e immaginifica che ha lo scopo di toccare le corde emozionali. “Il nostro desiderio è quello di fare addormentare il pubblico con la musica e le parole. Non ci rimarremo male, ne saremo felici. Nella perdita di coscienza, ritrovarci da qualche altra parte, dove non c’è più alcuna distanza tra esecutore e ascoltatore. Insieme, altrove”, spiegano Tiberio Faedi e Luca Formentini. Eclettico chitarrista e compositore che è pure titolare di Selva Capuzza: cantina, ristorante e agriturismo. Dove, naturalmente, è possibile cenare e pernottare prima e post concerto. Unico consiglio: indossare un abbigliamento comodo e munirsi di cuscino, materassino, coperta e mascherina. 



Cristina Viggè
2020-06-30T17:38:12+02:00

Giovanni Ricciardella (al centro) insieme alla sua famiglia

Giovanni Ricciardella: l’eleganza della campagna

“Da quando abbiamo riaperto, il 20 maggio, stiamo lavorando davvero tantissimo. Ovviamente la corte esterna è la zona più ambita. Tant’è che ci stiamo già organizzando per acquistare degli ombrelloni più grandi. In modo da amplificare le aree d’ombra”, racconta felicissimo Giovanni Ricciardella. Che con tutta la famiglia tiene le redini di Cascina Vittoria. Nella campagna di Rognano, in terra pavese ma non poi così distante dalla city milanese. Un luogo autentico, un ristorante elegante, che fa di empatia e coerenza i suoi punti di forza. Empatia: fra memoria e attualità, osti e commensali, ruralità e raffinatezza. Mentre ogni dettaglio rammenta il legame con il genius loci. Il che significa orto e pollaio (con galline, oche e anatre), gestiti da papà Giuseppe. Ma anche ambienti nutriti dal legno, viste le sedie in faggio, i tavoli in abete e le moderne abat-jour ricavate da un’antica trave in rovere abbandonata, recuperata e destinata a nuova vita. Grazie anche all’occhio attento dell’interior design Filippo Mori. Uno spazio vero e materico. Che prosegue nella mansarda (l’ex fienile), dove le lampade “Olivia” firmate Zafferano dialogano con mensole e davanzali forgiati ripescando vetusti gradini in granito.


La suggestiva corte esterna di cascina Vittoria, a Rognano, Pavia

Passato e presente. Origini contadine (e lucane) e spinta evolutiva. Vecchie e nuove generazioni. Mamma Vittoria e papà Giuseppe, fieri di lavorare accanto ai propri figli: Marco, Alessandro, Simone e Giovanni. Lo chef e il lievitista di casa. Un cuoco giovane e talentuoso. Che prepara il pane, sforna la pizza e crea pietanze fortemente identitarie. “Io parto sempre da una base tradizionale. Sulla quale innesto un pizzico d’estro”, spiega Gio. Che per la ripartenza ha messo a punto nuovi piatti. Come il risotto che rilegge il prosciutto e melone, fra bottarga-polvere di prosciutto crudo, crema di melone (al momento della mantecatura) e melone a crudo.

Il carpaccio di pesce marinato con salsa al mango, lime e passion fruit, pesto di basilico e pistacchi di Bronte

E ancora, il carpaccio di pesce marinato (dentice, branzino o cernia a seconda del pescato e del mercato), con salsa al mango, lime e passion fruit, pesto di basilico e pistacchi di Bronte; nonché il vitello alla brace tonnato. “Faccio cuocere la sottofesa di vitella di Boves nel forno, a braci spente, insieme alle erbe dell’orto. Poi la taglio un po’ spessa e la completo con una salsa tonnata alleggerita, un jus di carne ben ristretto e uno spinacino”, precisa lo chef. Che non dimentica l’anatra. “Per fare questo piatto prendo le anatre femmine di Simona Zucca, che a Gerenzago le fa frollare per dieci giorni. Così poi non perdono più sangue. Le cuocio nel forno a legna, abbinandole a scalogni e cipollotti fondenti, succo d’arancia e fondo dell’anatra stessa”. E per dessert? “Propongo la Pastiera 2020. Si presenta come una frolla sottile, messa a punto con Petra 5, che cela, strato dopo strato, gli ingredienti tipici del grande classico campano". 


Il vitello alla brace tonnato

I Bauletti di Giovanni Ricciardella

Intanto? A Cascina Vittoria - che celebra i primi dieci anni di attività -proseguono i servizi di asporto e consegna a domicilio. E proseguono pure le preparazioni dei Bauletti. Altro orgoglio di Giovanni. “Uso la farina Petra Panettone in tandem con Petra Evolutiva, che conferisce un gusto unico. Li faccio in tre versioni: all’albicocca e cioccolato bianco; ai frutti di bosco e Inspiration fraise di Valrhona; e ai tre cioccolati, ossia Caramelia, Guanaja e Dulcey”, continua lui, descrivendo un lievitato versatile e sofficissimo. In vendita anche sull’e-shop. 


Il ristorante Cascina Vittoria della famiglia Ricciardella ha riaperto a Rognano (Pavia). 


❓Riconquisteremo la campagna❓
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Cristina Viggè
2020-07-01T09:57:57+02:00

A Cascina Langa, ogni domenica d'estate, va in scena Abracadabra

Leggi l'articolo su gamberorosso.it

Come rileggeremo gli spazi rurali?

Anche i giovani tornano alla campagna. E riscoprono il valore profondo della ruralità. Coltivando, allevando, producendo e mettendo le mani nella terra. Ma molti sono i modi per riscoprire il fascino agreste. Per esempio trascorrendo una giornata o una serata in cascina. Lo sa benissimo Manuela Viglione, capitana di Cascina Langa, sentinella del paesaggio di Trezzo Tinella, nel Cuneese. Una cascina secolare e iper contemporanea. Chiusa su tre lati - dove si susseguono un’abitazione civile, un portico agricolo interamente ristrutturato e un rustico - e aperta sul quarto lato. Quasi in uno slancio verso frutteti e noccioleti. I veri protagonisti di questa landa di Langa.

Cascina Langa, immersa nei noccioleti

Un buen retiro in cui si concentrano ospitalità, benessere, ristorazione e sperimentazione gastronomica (qui nasce anche Palmina, una “marmellata” di nocciole e zucchero di canna bio, ottima da spalmare sul pane e da abbinare a formaggi e selvaggina). Uno spazio generoso, intrinsecamente vocato all’accoglienza, all’incontro e alla condivisione. Soprattutto nei dì di festa di tutta l’estate. Quando prende vita la formula magica (anzi, il magico format) Abracadabra: una serie di domeniche del villaggio, che dalle 9.30 alle 21.30 si snodano fra tavoli e prato, vini e mixology, arte e magia, favole e cantastorie, allagando di gioia i quattromila metri quadrati di spazi en plein air. Suddivisi in aree tematiche, quali il Circo Prato (luogo per eccellenza delle famiglie); il Bosco Secolare, pronto a far vibrare il sound del “Bosco Sonoro”; e La Corte della Cascina, il luogo del food per eccellenza. 


A Cascina Langa, dalle nocciole nasce anche la crema spaldabile Palmina

Fra gli highlights? La cucina vintage della tradizione piemontese firmata dallo chef Fabio Poppa, alla guida del ristorante Le Scuderie del Castello di Govone; pani, panini e focacce messi a punto le farine Petra (sempre da Fabio); dinamici momenti musicali e i cocktail cool by Compagnia dei Caraibi e Vecchio Magazzino Doganale. Calabrese maison produttrice proprio del liquore alla liquirizia Abracadabra. Da cui prende spunto tutta la fiaba.


Passeggiate fra le vigne e picnic chic al Mosnel, in Franciacorta


Ma dai noccioleti ai vigneti il passo è breve. Basta spostarsi in Franciacorta, per scoprire com’è bello passeggiare o pedalare tra i filari (a conduzione bio) del Mosnel, storica maison di Camignone di Passirano, che conta 41 ettari di vigne. Tutte raccolte in un corpo unico, scandito in 18 appezzamenti. Una realtà vivace e volitiva, che per l’estate mette in programma picnic gourmand immersi nella natura. Seguendo due sentieri: il Percorso delle Rose (di 4 km) e il Percorso del Tasso (di 7 km). Per zigzagare fra i vitigni di chardonnay, pinot bianco, pinot nero e l’autoctono erbamat, con corredo di cestino (da prenotare e ritirare il giorno stesso dopo mezzogiorno). Per poi stendere la propria coperta e godersi il déjeuner sur l’herbe preparato da Casa Marcellina, osteria a due passi dalla vitivinicola cantina.


I filari del Mosnel, maison di Camignone di Passirano, nel Bresciano

Tre i menu a disposizione: “Easy Chic”, “Veggie Chic” ed “Eno Chic” (più il “Baby Chic” per i più piccini), tutti comprensivi di due calici in vetro, borsa termica (che poi resta un piacevole ricordo) e una bottiglia (ogni due persone) di iconico Brut o di seducente Satèn millesimo 2015. E pre o post picnic? È inclusa una visita in cantina, in azienda e per il borgo (alle 10, alle 11.30, alle 14.30 o alle 16.30). Il picnic è prenotatile sempre (fino a settembre) entro le 17 del giorno prima (per informazioni e costi: quellicheilvino@mosnel.com e picnicchic.it). Per riscoprire il fascino di una villa neoclassica (prima residenza della famiglia Barboglio, ora dei Barzanò) e delle sue barchesse. In un ritratto tipico di cascina lombarda del Seicento-Settecento.


Scamporella: un romagnolo picnic fra gli ulivi dell'azienda agricola Terre Giunchi - Foto di Caterina Filippi | Camerachiara Fotografia






Intanto, fra le colline romagnole, torna Scamporella, il bucolico concept nato da un’idea geniale di Andrea Cappelletti ed Enrico Giunchi. Di scena, come rituale vuole ormai da molti anni, nella verdissima azienda agricola biologica Terre Giunchi, a Rio Marano, sulle prime colline di Cesena. Un libero e felice picnic fra gli ulivi, che si ripete ogni giovedì e sabato sera. Con qualche speciale eccezione gourmet, come accade martedì 14 luglio, quando ai "fornelli" ci saranno Gianluca Gorini (del ristorante daGorini di San Piero in Bagno) e Davide Di Fabio (dell’Osteria Francescana di Modena). Per vivere la campagna fra sogni, palloncini, cestini, vini, vinili e cuscini. 


A Piozzo, il Baladin Open Garden


Le etichette in limited edition Flower Power

La nuova Sud, dall'anima mediterranea

E anche a Piozzo, sempre in terra di Cuneo, ha riaperto il Baladin Open Garden (dal mercoledì alla domenica, dalle 18 all’una di notte, ma il dì di festa pure a pranzo): tredicimila metri quadrati di parco agricolo e brassicolo con corredo di Agronidi (per dormire sotto le stelle), spazi green, altalene e cascina (risalente alla fine del Seicento). Rigorosamente tatuata. Perché, come la pelle, pareti e arredi, svelano i loro tatuaggi d’esistenza (e di resistenza al tempo), sotto l’eclettica direzione artistica di Marina Obradovic. Il tutto con la possibilità prenotare una visita al birrificio. Che, nel frattempo, ha lanciato la serie - in limited edition - Flower Power, dedicata all’ottimismo e alla rinascita. Sei etichette-inno al colore, alla magia e alla creatività (quella di Alessio, aka Islaz), pronte a vestire sei must by Teo Musso: la Isaac, la Wayan, la Leön, la Nora, la Super Bitter e la Rock’n’Roll. Mentre la neonata Sud, rende tributo alla filiera agricola italiana, inanellando orzo e frumento di Puglia e Basilicata; limone, arancia, mandarino e bergamotto pugliesi, calabresi, campani e siciliani; coriandolo marchigiano; luppolo piemontese; acqua delle Alpi Marittime e lievito selezionato e “coltivato” all’interno del birrificio Baladin. Una birra solare, definita da Teo: Italian Mediterranean Ale. Anche questo vuol dir dar lustro alla campagna.


Cristina Viggè
2020-07-28T15:26:11+02:00

La fokaccia integrale con Petra 9 di Massimo Travaglini - Foto di Roberto Sammartini

Massimo Travaglini: Genova città aperta

“Sono concentrato sul mio negozio. Il mondo è cambiato e dobbiamo ricominciare da qui, dalle nostre origini. Dove tutto è nato. E dove tutto sta continuando”, spiega Massimo Travaglini, raccontando la sua ripartenza. Insieme alla sua adorata Nina Bertolino. A Genova. In Largo San Giuseppe. Una piazzetta intima e riservata, che va da link fra via Roma, la Galleria Giuseppe Mazzini e il Teatro Carlo Felice. Dando voce alla Fokaccia 100%. Una focaccia con il “k” factor. A voler sottolineare il senso multitasking, poliedrico, eclettico e duttile della focaccia. Ancorata a Zêna, legata a doppio nodo alla riviera ligure, ben salda alla tipicità, ma anche capace di comunicare all’Italia e al mondo. Parlando diversi linguaggi. Pur mantenendo inalterata la sua fortissima identità. Al cento per cento.

Riprese a cura di Marco Gallocchio allo Stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020

Focaccia per il lunch. Focaccia per la merenda. Focaccia per un aperitivo in riva al mare. Focaccia all day long. Anche a colazione. Da intingere nel cappuccino. “Così mi è venuta l’idea di mettere il cappuccino direttamente nella focaccia. Praticamente un cappuccino solido. E una valida alternativa alla brioche. Faccio un impasto con Petra Evolutiva e un caffè originario del Brasile. Poi condisco la focaccia con una crema di latte, al posto della usuale salamoia, e chicchi di caffè. La servo a striscioline. È buonissima e piace moltissimo”, dichiara soddisfatto Massimo. Nato in seno alla Superba - ultimo di nove figli - da genitori napoletani. “Papà, metalmeccanico, era del Rione Sanità. Mentre mamma, casalinga, di San Giorgio a Cremano”. Svelando un po’ di sangue campano.

Massimo Travaglini e il mare di Genova - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Poi un giorno, in pieno lockdown, ero a casa, ho preparato la frittata con le acciughe e ho pensato: e se la mettessi nella focaccia? Così ho unito frittata e focaccia. Cuocendole addirittura insieme”, continua Travaglini. “Cerco sempre di fare qualcosa che non fa nessuno. Per proporre la focaccia in maniera diversa e inaspettata. Senza tradire la tradizione, ma guardando avanti”, precisa l’artigiano. Che concepisce la focaccia alla stessa stregua del riso, della pasta e della pizza: una tavolozza sulla quale creare un’opera d’arte.

Massimo Travaglini al mercato - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Davanti al Bigo del Porto Antico - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Ecco allora la fokaccia al nero di seppia con stoccafisso accomodato; quella alla carbonara, con guanciale, pepe e pecorino; quella integrale con Petra 9, verdure fresche, prescinseua e pesto; e quella al grano arso con guacamole, tonno marinato in salsa teriyaki, cipolle caramellate, datterini gialli e rossi e caviale di Blue Curaçao. Fokaccia alle cipolle e fokaccia profumata alla salvia. Fokacce aromatizzate al pomodoro o alla curcuma e semi di papavero. Fokacce al forno e fokacce fritte: a foggia di calzoni-panzerotti suggellati da un elegante torchon per cornicione. Dentro? Sempre lo stacchino a far da leitmotiv e poi via libera ad acciughe del Cantabrico e olive taggiasche; a prosciutto cotto e mandorle; a crema di pistacchio, mortadella e ricotta vaccina; a salmone affumicato, rucola e pomodorini. “Non vi è limite alla fantasia”, puntualizza Massimo. Che certo non dimentica le fokacce al formaggio: tipo Recco, ma pronte a regalare un velo di croccantezza. Come non dimentica la fokaccetta fritta, alla moda di Megli e Crevari. Sottilissima, leggerissima e dal cuore filante. Perfetta anche per l’aperitivo, insieme a mini burger, assaggi di panissa e altre sfiziosità placé. 


Massimo Travaglini nel suo locale Fokaccia 100% - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

La fokaccia multitasking di Massimo Travaglini - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

A ricordo delle due grandi alluvioni del 2011 e 2014 - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Nel prossimo futuro mi piacerebbe fare una full immersion da Molino Quaglia, per conoscere meglio tutte le nuove farine. Le Petra HP, la PetraViva, i germinati. E imparare a fare anche la pizza in pala. Sarebbe bello integrarla con il resto della mia produzione”, annuncia l’artigiano. Che non trascura la parte dolce. Il che significa colombe e panettoni (in stagione), ma pure fokacce-dessert. Agli agrumi e crema di limoni; al peperoncino e cioccolato fondente; alle nocciole, mandorle, uvetta e cardamomo con ripieno di confettura di ciliegie.

Uno dei grandi amori di Massimo: il Genoa - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Focacce empatiche. Che vanno d’accordo con tutto e incontrano i gusti di tutti. “Ora mi servirebbe davvero un bel laboratorio. Uno spazio ampio, dove poter fare una produzione variegata e centralizzata. Con tanto di confezionamento al seguito. Anche in vista dello sviluppo dell’e-commerce”, spiega Massimo. Che gode di una grande empatia con i colleghi. “Mi sento spesso con Marco Farabegoli, Corrado Scaglione, Gianluigi Tosches. È fondamentale confrontarsi e scambiarsi idee e opinioni. Il mio sogno? Che la focaccia riesca a conquistare un ruolo da protagonista. Com’è riuscita a fare la pizza. Del resto, quando giro il mondo la focaccia c’è”.

La Fokaccia 100% di Massimo Travaglini ha riaperto a Genova. 


❓Quali altri piatti italiani potrebbero divenire empatici❓
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Cristina Viggè
2020-07-31T09:28:34+02:00

Paolo Brunelli ha appena aperto Combo, a Marzocca di Senigallia - Foto di Lido Vannucchi

Leggi l'articolo su vogue.it

E se risintonizzassimo il sottozero?

Pane. È forse lui il più empatico dei cibi. Pane locale e globale. Aggrappato al territorio, eppur nomade e vagabondo. Pane per colazione, merenda, pranzo, cena. Pane per accompagnare un piatto, o che diviene esso stesso piatto. Pane nudo. Pane condito. Pane vestito. E come lui anche la pizza si è fatta empatica più che mai. Sposando la tipicità, ma non negando la sua vocazione urbi et orbi. Alimenti multitasking, trasversali, intergenerazionali. Come il gelato. Per troppo tempo bistrattato, relegato a coni, coppe e coppette. Considerato cibo da passeggio. Veloce. Estivo. Perché freddo, dolce e rassicurante. E invece? Finalmente la golosità sottozero si ribella. E accetta la sfida. Non solo della destagionalizzazione, ma pure della sua decontestualizzazione. Svestendo i panni del dessert e di colui che viene sempre dopo. In coda. Alla fine. Per ultimo. E tutto grazie a professionisti temerari e visionari.

Il panino con sorbetto al peperone bruciato di Paolo Brunelli per Identità di Gelato - Foto di Brambilla-Serrani

A far da capofila? Indubbiamente lui: Paolo Brunelli. Che ha appena fatto Combo a Senigallia. Anzitutto perché ha fatto bis, aprendo una nuova insegna a Marzocca (a 300 metri dal mare, non lontano dalla stellatissima Madonnina del Pescatore) e mantenendo la boutique in via Carducci. Ma soprattutto perché la nuova insegna si chiama proprio Combo. Combinazione di gelateria e pasticceria. Certo. Ma non solo. Combo sintetizza il desiderio brunelliano di coniugare il gelato con il vino (o con la birra), in un inedito e intrigante pairing. La voglia di linkare passato e contemporaneità, ricordi e futuro. Il sogno di dar voce a tutte le esplosive potenzialità del gelato. Per sua natura già democratico e simpatico. Gelato da leccare e da masticare. Gelato da consumare con calma, magari in una bella coppa in acciaio vintage, con qualche pezzetto di streusel tuffato fra le creme. Gelato in tandem con la brioche. Anzi, con la Brioscia, veneziana super soffice messa a punto con Petra Panettone e Petra 9. Gelato (alla mandorla del Val di Noto) da degustazione, insieme a zabaione al vino cotto, tocchetti di pane, ciccioli di maiale, agrumato pepe di timut e una generosa grattugiata di casciotta d'Urbino. Formaggio dal sapore delicato, tutelato dalla dop, amatissimo da Michelangelo Buonarroti e figlio del latte ovino e di quello vaccino.

Il gelato di Brunelli incontra la casciotta d'Urbino - Foto di Brambilla Serrani

“L’idea alla base di Mandorle e Casciotta è il voler riportare in bocca il sapore di un piatto che fa parte della memoria gustativa marchigiana: la polenta e sapa che i nostri nonni condividevano nelle cene di famiglia. Un piatto povero, una pietanza che veniva servita su enormi tavole di legno dopo essere arricchita con una spolverata di pecorino e mosto cotto”, spiega mister Brunelli (presidente della Compagnia Gelatieri, di cui è socio fondatore con Andrea Soban e Alberto Marchetti), presentando la curiosa combo gelato-formaggio alla recente edizione di Identità di Gelato: alla Rotonda a Mare di Senigallia. Dove Paolo ha proposto anche uno sgroppino e un panino.

Il sorbetto al Verdicchio e mosciolo selvatico di Portonovo by Brunelli - Foto di Brambilla-Serrani

Nel primo caso: un sorbetto al Verdicchio e mandarino tardivo di Ciaculli, con cameo di mosciolo selvatico di Portonovo (due Presìdi Slow Food). Della serie, dimenticate ostriche e Champagne, e via libera a un vino e a un mollusco iper marchigiani. Nel secondo caso si tratta invece di un panino semidolce - Petra 9 addicted - con paccasassi (pianta sauvage che cresce fra gli scogli e i sassi del Conero), sorbetto al peperone bruciato e Inspiration Framboise di Valrhona, formaggio Gouda a latte crudo e pepe di Sichuan. “Perfetto anche a pranzo”, precisa l’artigiano. Incastonando il gelato nell’ora famelica del lunch.

Il sorbetto di amarena di Corrado Assenza abbraccia i ricci e il tonno rosso - Foto di Brambilla-Serrani

Peperoni che tornano, grigliati, nel sorbetto-concetto di Corrado Assenza, capitano del Caffè Sicilia di Noto. Che fa cadere (da sempre e per sempre) le barriere fra dolce e salato, invocando l’interconnessione naturale delle parti. Quindi? Sorbetto di amarena, emulsione di peperoni grigliati, ricci, tarantello di tonno rosso (tra la parte dorsale e la ventresca) e salsa di pomodori grigliati. Una pietanza red, energica e vigorosa. Pronta a ribadire la forza di un “gelato” che sta bene col mare, accordandosi con la sua intrinseca sapidità.


Il sorbetto di ciliegie finisce sulla pizza dolce di Marco Pedron - Foto di Brambilla-Serrani

E se mettessimo il gelato sulla pizza? Marco Pedron non ci pensa due volte. Così l’head pastry chef di Carlo Cracco crea per Identità di Gelato una pizza (molto croccante, con Petra 5) stracciatella fake (panna semimontata con pezzetti di mascarpone) e sorbetto alle ciliegie (della varietà samba, coltivata nel podere di Carlo e Rosa in quel di Santarcangelo di Romagna). Ciliegie al posto del pomodoro: in parte lasciate a pezzetti; in parte micronizzate e aromatizzate con gocce di Barolo chinato, acidulato di umeboshi, aceto di ciliegie e Albana di Romagna. Chiosando il tutto con polvere di ciliegia, acetosella e pistacchio. Una Margherita sweet style.

Granita di mandorle, ostriche e peperoncino by Assenza per Identità Golose 2006 - Foto di Brambilla-Serrani

Gelato, coraggio, estro, territorio. Perché sempre lì si torna. Alla terra. Al tarassaco, alle bacche di rosa canina e alla ciliegie di Tornavento. Che Ezio Andreola utilizza nella sua gelateria Note di Cioccolato di Lonate Pozzolo (in provincia di Varese, località Tornavento per l’appunto). Terra. Dunque erbe, fiori, germogli. Che Giancarlo Timballo, della gelateria Fiordilatte di Udine (presidente della Coppa del Mondo della Gelateria, nonché uno de I Magnifici del Gelato), raccoglie e trasforma in meraviglie. Non dimenticando il latte di pezzata rossa friulana, il miele - anzi, il Pollimiele dell’Apicoltura Cedermas (a San Pietro al Natisone) - e l’amaro Quintessentia by Nonino (di Percoto, frazione di Pavia di Udine). Eletto ad attore di una vellutata granita “alcolica”, perfetta per l’aperitivo. Sì, le vie del gelato sono infinite. 



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INDICE

Mariano Massara e l'empatia

Il virus del cambiamento

Massimo Donà: mangiare non è un gesto innocente

L'immunità di gregge

Per Renato Bosco è questione di feeling

Oltre il social distancing

Il metodo Morandin

La fiducia nelle regole

Lello Ravagnan e Pina Toscani: fattore collettivo

Visione di squadra

Cerea: intuito, genio e sentimento

Territorio, estro e cuore

Pipero & Scamardella: gusto al quadrato

Esplorazioni emozionali

Giovanni Ricciardella: alla corte di Cascina Vittoria

Vado a vivere la campagna

Massimo Travaglini: fokaccia empatica

Gelato multitasking


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Info | +39 0429 649150 | Map

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INDICE

Mariano Massara e l'empatia

Il virus del cambiamento

Massimo Donà: mangiare non è un gesto innocente

L'immunità di gregge

Per Renato Bosco è questione di feeling

Oltre il social distancing

Il metodo Morandin

La fiducia nelle regole

Lello Ravagnan e Pina Toscani: fattore collettivo

Visione di squadra

Cerea: intuito, genio e sentimento

Territorio, estro e cuore

Pipero & Scamardella: gusto al quadrato

Esplorazioni emozionali

Giovanni Ricciardella: alla corte di Cascina Vittoria

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empatia.

FUORI IL PROSSIMO
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Piero Gabrieli

2020-04-01T00:00:00+02:00


#dilloconpetra   Partecipa al sondaggio con 1 click 

Del coronavirus avremmo fatto tutti volentieri a meno, ma ciò che stiamo vivendo ha l'indubbio merito di ridare misura alle nostre azioni con il metro del rispetto e della responsabilità. Virtù che rimandano entrambe al riconoscimento delle esigenze altrui (rispetto) ed alla libera scelta di comportamenti che evitano conseguenze negative sulla vita degli altri (responsabilità). Senso di rispetto e senso di responsabilità si materializzano attraverso l'empatia. L'emergenza in atto coinvolge tutti noi. Se è vero poi che questo virus porta alla morte soprattutto anziani e malati gravi, è evidente come i più di noi non siano in pericolo, ma, al contrario, siano un pericolo per i più deboli e i più esposti. Passare da atteggiamenti egocentrici ad atteggiamenti empatici si rivela oggi necessario per accettare una vita, sia pure temporanea, di restrizioni, ma domani sarà un punto di partenza sul quale riflettere seriamente per ridisegnare l'impresa e gli alimenti nel segno del rispetto e della responsabilità verso la salute dei clienti e dei collaboratori.  

Cristina Viggè
2020-03-15T00:00:00+01:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Mariano Massara: rispetto, ascolto e solidarietà

Il lavoro di squadra è fondamentale. In ogni attività. Ben lo sa Mariano Massara, che in quel di Morazzone (Varese) guida la Pasticceria SeM: logo e acronimo che condensa il suo nome e quello della moglie Sara. Sua compagna di vita e d’avventura. Ma come riuscire a lavorare fianco a fianco con il proprio partner? Semplice: stabilendo i ruoli, dialogando e confrontandosi di continuo. Perché è dal confronto che nascono nuove ispirazioni e idee. Del resto, è grazie all’empatia che si arricchisce la propria identità e quella dell’altro. O degli altri. Certo, empatia significa anche rispettare e ascoltare gli altri. Significa comprendere le esigenze dei clienti. Per poter entrare nella loro dimensione e interpretare i loro desideri. Significa, in un momento difficile come questo, alzare le antenne, abbassare l’ego, farsi carico di un profondo senso di responsabilità e pensare di dare il proprio aiuto concreto a chi sta operando in prima linea. Come hanno fatto le associazioni no-profit Articolo Tre - presieduta da Emanuela Romeo - e Pasticceri per la vita - capitanata da Mariano - acquistando e donando all’Ospedale di Circolo di Varese due monitor, utili nella lotta al covid-19.

La Pasticceria SeM di Mariano Massara riaprirà a Morazzone (Varese). Intanto Mariano ci propone la ricetta della sua brioche all'italiana con crema pasticcera.


❓Impareremo ad ascoltarci e ad ascoltare di più❓
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Cristina Viggè
2020-03-16T00:00:00+01:00

Leggi l'articolo su agendadigitale.eu

Dopo la pandemia saremo meno egoisti? 

Distanti ma uniti. Anzi #distantimauniti è uno degli hashtag-mantra di queste settimane di clausura (e chiusura) generale. Unione intesa come integrità personale, di coppia, famigliare e comunitaria. Diceva un vecchio adagio: “non tutti i mali vengono per nuocere”. E forse la tempesta coronavirus ci ha aiutato a riflettere. Ci ha aiutato a mettere da parte la fretta, per sposare tempi più lenti. Ci ha aiutato a essere più rispettosi delle regole e più responsabili nei confronti della società. Ci ha aiutato a fermarci, per pensare. A noi e al prossimo. Basti pensare alle innumerevoli donazioni fatte agli ospedali. Da parte dei piccoli e da parte dei grandi. Basti pensare ai dolci, alle pizze e ai pasti caldi preparati da chef e pastry chef e poi offerti a medici e infermieri. Distanti, ma uniti, nel nome di tutti. Come ha ribadito Papa Francesco, venerdì 27 marzo, nella benedizione Urbi et Orbi, sul silente sagrato della Basilica di San Pietro: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme". 

Partecipa al sondaggio.

Piero Gabrieli
2020-03-17T00:00:00+01:00

Prof. Massimo Donà a PizzaUp 2019. Guarda il video completo.

"Mangiare non è un gesto innocente."  

Perché mangiare non è un gesto innocente? Cosa vuol dire essere empatici? L'empatia è la relazione che nasce e matura all'interno di una condivisione dove più individui si fanno uno. Ma cosa significa condividere?  Una forma di condivisione è la rinuncia a qualcosa di sé che porta a non essere più quello di prima, perché in questo caso condividere è avere attenzione alle esigenze dell'altro. «Empatia significa condivisione. Significa contatto, relazione, diventare uno. Ma ci sono tre modi per essere empatici. Il primo è rinunciare a qualcosa di sé per concedere attenzione alle esigenze dell’altro. Alla fine il rischio che si corre è quello di non essere più se stessi. Di dover rinunciare alla propria specifica diversità», parole di Massimo Donà, filosofo e musicista jazz, nella sua sorprendente lezione a PizzaUp 2019. 

Guarda il video completo.

Piero Gabrieli
2020-03-18T00:00:00+01:00

Immagine tratta da imgur.com - Guarda l'animazione

Quale impatto avrà l'immunità di gregge sui costi aziendali?

L'immunità di gregge è quella situazione nella quale un virus non riesce più a infettare una popolazione, in quanto buona parte di essa ha sviluppato immunità perché vaccinata o perché ha già contratto l'infezione. (guarda qui un'animazione su come funziona) In questi giorni ha fatto molto discutere questo concetto per via di alcune dichiarazioni rilasciate dal premier inglese Boris Johnson, che lasciavano intendere la volontà di combattere l'epidemia lasciando infettare larga parte della popolazione allo scopo di rendere immuni i sopravvissuti (da notizia recente sembra tuttavia che questo indirizzo sia stato in parte abbandonato). Secondo gli esperti pensare all'immunità di gregge prima che si trovi un vaccino avrebbe il solo risultato di lasciar circolare liberamente il virus con un carico di morti molto elevato e la certezza di mandare in tilt il servizio sanitario.  In conclusione, anche dopo questa emergenza, non potremo abbassare la guardia verso nuovi possibili contagi fino a quando non sarà disponibile un vaccino efficace. In termini economici significa che alla riapertura le attività di ristorazione in senso lato dovranno confrontarsi con una scala di costi diversa dal passato, dove il livello di empatia nel servizio e nel prodotto avrà un'incidenza non trascurabile.  

Cristina Viggè
2020-04-06T16:13:22+02:00

Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini

Renato Bosco e le affinità elettive

Empatia? “È una forma di rispetto. Ma anche un senso di appartenenza a un concetto capace di andare oltre le nostre conoscenze. È la corrispondenza esatta di qualcosa che tu senti e che dall’altra viene percepito allo stesso modo. Uguale e identico”. Per Renato Bosco empatia è questione di feeling. Di affinità elettive con qualcuno. Il che non significa rinunciare alla propria identità per immedesimarsi nell’altro. Non vuol dire azzerare se stesso per compiacere al prossimo. È più un sentire all’unisono. Un essere sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda. Per poter condividere idee, pensieri e progetti. Come ben ha fatto e continua a fare lui. Deus ex machina non solo della pizzeria che a San Martino Buon Albergo porta il suo nome e cognome, ma pure del laboratorio che gli sta accanto: Saporè Pizza Bakery. E ancora di Saporè DownTown e di Saporè Pizza StandUp a Verona; di Saporè Prato, di Saporè Milano e di Saporè Vicolungo, in provincia di Novara. Ultimi nati in una famiglia sempre più allargata. E sempre più capace di ascoltarsi e ascoltare. Anche il cibo. Perché, come precisa Renato: “Il cibo non è solo per la pancia. Non è semplice nutrimento per il corpo. Il cibo è fonte di energia anche per la mente. E noi possiamo dirigere l’energia nella direzione corretta: decidendo cosa mettere nel piatto. Dopotutto, siamo quello che mangiamo”.

Renato Bosco Pizzeria e Saporè Pizza Bakery riapriranno a San Martino Buon Albergo (Verona). Intanto Renato ci propone la ricetta della sua PizzaCrunch, da fare a casa e completare a piacere.


❓Riusciremo a vivere in una società distanziata?❓
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Cristina Viggè
2020-04-06T16:26:04+02:00

Leggi l'articolo su ansa.it

Sapremo sentirci vicini anche se distanti? 

Bella la campagna social #distantimauniti, voluta da Vincenzo Spadafora, il ministro per le politiche giovanili e lo sport. Bella ed efficace. Pronta a coinvolgere personaggi come Valentino Rossi, Bebe Vio, Fabio Fognini, Carolina Kostner, Vincenzo Nibali, Federica Pellegrini e molti altri, per veicolare un messaggio forte e chiaro: “Se ognuno di noi allungherà il braccio verso l’altro. Sembrerà quasi di toccarci. Anche se solo virtualmente”. È vero. Usciremo con le mascherine. Ci terremo tutti a un metro di distanza. E prenderemo i mezzi di pubblici facendo più attenzione, nel rispetto delle regole. Ma forse, in questa società “allargata”, ci sentiremo molto più vicini di quanto non lo siamo mai stati prima. Perché? Perché in questo tempo sospeso abbiamo imparato a prendere le distanze da stereotipi e preconcetti. Abbiamo imparato a intendere l’altro non come diverso da me, ma come fonte di arricchimento per me. Abbiamo imparato a metterci nei panni degli altri: di medici, infermieri, volontari e addetti alla protezione civile. Scoprendo il profondo valore della generosità e della solidarietà. Abbiamo capito che donando (una pizza, un croissant, un pane appena sfornato a chi sta in prima linea contro il Covid) possiamo sentirci più felici. E forse, sotto la mascherina, riusciremo a sfoggiare un bel sorriso. 

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Cristina Viggè
2020-04-13T09:43:38+02:00

Francesca e Rolando Morandin a Sigep 2019 - Foto di Enrica Guariento

Francesca e Rolando Morandin: ci vuole metodo

Padre e figlia. Ma anche amici, collaboratori e complici, nel portare avanti un mestiere con talento e passione. Insomma, se buon sangue non mente poi ci si mettono studio, ricerca, puntiglio e una buona dose di fiducia ed empatia. Fra loro. E con tutti coloro che seguono i loro sapienti insegnamenti. “Noi lavoriamo in simbiosi”, dice felice Rolando, un'icona della pasticceria. Maestro di tanti altri giovani maestri, ma pure maestro e padre di Francesca. Divenuta a sua volta una professionista esperta. Laureata in scienze e tecnologie alimentari, con una prima tesi (a Torino) sul lievito madre con glutine e una seconda tesi (a Milano) su quello gluten free. Divenuto un brevetto.


Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2019 - Rimini


“Rolando è un grande papà, ma anche un grande maestro di tecnica e di manualità. Mi ha trasmesso tutto il suo sapere sui lievitati”, confessa Francesca. Che col padre svolge una dinamica attività di consulenza, collaborando con Molino Quaglia e tenendo corsi in tutta Italia. Un sapere fondato su un approccio tecnico e scientifico alla materia. Un metodo preciso il loro, in cui la creatività sposa il pieno rispetto delle regole. Di una determinata procedura. Di uno schema puntuale. Di un modus operandi che conduce a un risultato preciso. Così è per il panettone, per il pandoro e per la colomba. Così è per i canditi artigianali. Così è in pasticceria.


Francesca e Rolando Morandin riprenderanno i loro corsi e le loro attività di consulenza. Intanto Francesca e Rolando ci propongono la ricetta dei loro biscotti Noccioli di Pesco con confettura di pesca.


❓Impareremo il vero senso della disciplina❓
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Cristina Viggè
2020-04-13T09:59:27+02:00

Leggi l'articolo su corriere.it

Avremo ancora fiducia nelle regole? 

Eva quel frutto proibito non avrebbe dovuto mangiarlo. E invece? Gli diede un bel morso. Con tutte le conseguenze del caso. Dalla cacciata dal Paradiso all’onta del Peccato Originale. Si sa, la tentazione di violare un divieto è sempre lì. Pronta a farsi sentire. Disobbedendo alle regole. Che, se esistono, vanno rispettate. Perché un cardine fondamentale dell’empatia è proprio il rispetto di certi diktat. Fra uomini. Fra uomo e società. Fra uomo e ambiente. Come potrebbe esistere una comunità senza “questo si deve fare” e “quest’altro non si deve fare”? Mosè, sul Monte Sinai, ricevette le Tavole della Legge. La Costituzione della Repubblica Italiana si fonda su precisi diritti e doveri. A Cortina esistono persino le Regole d’Ampezzo, antichissima istituzione che ha lo scopo di regolamentare un uso collettivo e indiviso del territorio. E, con uno sguardo più allargato, anche l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile del Pianeta - sottoscritta da 193 paesi dell’Onu - si propone 17 goal e 169 traguardi. Che, inevitabilmente, impongono di osservare determinati dettami. In una ritrovata empatia con consumi e produzioni responsabili, con l’energia pulita, con il non spreco e con il riciclo. In questo tempo di pandemia, spinti dal timore e dalla paura per un virus ignoto, si è di nuovo imparato a rendere onore a puntuali direttive. Una cosa è certa: quel che prima era dato per assodato domani non lo sarà più. Cambieranno i protocolli di vita. Cambierà il modo di uscire di casa, di entrare in un supermercato, di salire su un mezzo pubblico, di sedersi al ristorante, di partecipare a un congresso, di andare a trovare amici e parenti. E per essere in sintonia con il mondo #fuoridalcovid dovremo esser ligi a nuove normative. 

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Cristina Viggè
2020-04-29T17:12:31+02:00

Lello Ravagnan e Pina Toscani per le calli veneziane - Foto di Thorsten Stobbe

Lello Ravagnan e Pina Toscani: testa, cuore e squadra

La palla? Non l’ha mai mandata in rete. Ma l’ha sempre lanciata oltre la rete. Da atletico pallavolista qual era. Uno che sapeva e sa perfettamente cosa significa lavorare in squadra e per la squadra Lello Ravagnan, capitano del Grigoris di Asseggiano, nel primo entroterra veneziano. Un allenatore con i piedi per terra e le ali sulla schiena, pronto a portare avanti con grinta ed energia idee e progetti. Puntando sempre a un obiettivo comune: la crescita del team, nel pieno rispetto della valorizzazione della singole personalità. Il tutto senza mai perdere la direzione. “Che io penso sia quella giusta”, precisa da bravo coach. Certo, perché è lui ad avere la corretta visione d’insieme. È lui a dettare la strategia. E, grazie all’empatia, condurre tutti sulla retta via.



Lello Ravagnan e Marco Pellizzer al Sigep 2019 - Riprese a cura di Andrea Tadioli


Anche ora. Anzi, soprattutto ora. Che c’è in cantiere un gran bel progetto. Capace di coinvolgere e di stimolare tutta la squadra: aprire un laboratorio a un paio di chilometri dal Grigoris. “Noi amiamo stare fuori dal mondo. E anche il nuovo lab sarà fuori dal mondo”, racconta Lello. Che in merito ha le idee chiarissime, visto che sarà uno spazio aperto in ogni senso: anche alla ricerca e alla sperimentazione. Una bakery dinamica e contemporanea, vocata al pane, alla pizza, ai dolci. “Un luogo dove mangiare, ma anche acquistare, mentre si parla con chi sta mettendo le mani in pasta”, continua Ravagnan. Che anche per il locale madre prevede cambiamenti positivi. “Proporremo sempre la pizza, ma spostando nel laboratorio farine e impasti, al Grigoris lasceremo più spazio vitale alla cucina. Sto già collaborando con lo chef Pier Giorgio Parini. A lui però non ho chiesto le ricette. Ho chiesto di lavorare sulla testa dei ragazzi. Per riuscire a cambiare il loro modo di pensare”. Del resto, una partita si vince prima di tutto mentalmente. Basta leggere Open di Andre Agassi per capire che il tennis, e molti altri sport, sono molto di più che colpire, lanciare o portare in meta una palla.


Il Grigoris di Lello Ravagnan e Pina Toscani riaprirà ad Asseggiano (Venezia). Intanto Lello e Pina ci propongono la ricetta delle loro tartellette al cioccolato con crema fior di latte e seriass.


❓Sapremo fare squadra❓
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Cristina Viggè
2020-04-29T18:01:33+02:00

Lello Ravagnan ritratto per l'Almanacco della Pizza da Thorsten Stobbe

Leggi l'articolo sul Corriere del Ticino

È ancora vero che l’unione fa la forza?

Questa pandemia somiglia a una partita. Non ci può essere una dinamica rigida e scontata. Tutto cambia, tutto muta, tutto varia, in base all’avversario. E quando pensi di avere in pugno il match point è invece il momento di cambiare tattica e strategia. L’importante? È avere sempre un leader da seguire, un allenatore cui affidarsi, un bravo coach pronto a fare da stella polare. Uno che da “fuori”, sappia osservare “dentro” e indicare la strada. E poi? Sono necessari gli atleti. Tanto il ciclista fuoriclasse quanto il gregario. Perché ciascuno ha il proprio ruolo. Fantasioso o più rigoroso. Portiere, difensore, centrocampista e attaccante, per tener fede al calcio. Alzatore, schiacciatore, libero e centrale, per dirla con la pallavolo. Pilone, tallonatore, mediano di mischia e flanker (destro e sinistro) per parlare secondo il vocabolario del rugby. Ma è solo sapendo ascoltare e ascoltarsi che si può auspicare la vittoria. Solo credendo con convinzione in un obiettivo comune che si può raggiungere il risultato. Solo sintonizzando estro e regole si può ottenere la gloria. Basterebbe riascoltare il gran monologo di Al Pacino nel film Any Given Sunday, diretto da Oliver Stone. Tony D’Amato è nello spogliatoio, insieme alla sua squadra di football americano, gli Sharks: “Siamo all’inferno signori miei, credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno centimetro dopo centimetro”. E poco dopo: “Dovete guardare il compagno che avete davanti, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente”. Lectio magistralis.

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Cristina Viggè
2020-06-02T16:39:21+02:00

Francesco, Chicco, Rossella, mamma Bruna e Bobo Cerea presentano DaV Cantalupa - Foto di Fabrizio Pato Donati

Fratelli Cerea: visione corale

DaV. Come Da Vittorio in versione easy, smart e pop. Ma anche come acronimo di dinamismo, aria e visione corale. Quella di una famiglia sempre capace di dire la verità, conquistando la vittoria in tutto quello che fa. Grazie al suo essere una grande squadra. Grazie a un’organizzazione perfetta. Grazie al rispetto dei ruoli nel nome della massima empatia. Anche ora. Che, causa Covid, la Cantalupa e i suoi banchetti si son fermati. Ma loro, i Cerea, hanno saputo guardare oltre la dantesca “natural burella" (come scrivono sul sito, mutuando le parole dantesche del XXXIV canto dell’Inferno). Per dire con orgoglio: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Andando a segno con un nuova creatura e un'inedita proposta, all’insegna di pizza e barbecue a bordo piscina. Il new DaV Cantalupa, elegante spazio open air dove goder della brezza estiva tutte le sere a cena, e il sabato e la domenica pure a pranzo (fino al 30 settembre). 


I fratelli Cerea e la madre Bruna al ristorante Da Vittorio


Proprio così, loro ci mettono sempre genio e sentimento. Creatività e razionalità. Estro e rigore. Loro: i fratelli Cerea. Figli di Bruna e di quel Vittorio che nel 1966 apre il suo ristorante al centro di Bergamo. Scommettendo sul pesce. E vincendo la sfida. Per poi trasferirsi nel verde della tenuta di Brusaporto, entrare nel prestigiosi circuiti di Relais & Châteaux e de Les Grandes Tables du Monde e conquistare pure la terza stella Michelin. Traguardo che non ha certo fermato il pokerissimo Cerea, inarrestabile team alla guida di una vera e propria galassia gourmand. Eccoli dunque: Enrico (Chicco), primogenito e predestinato executive chef; Francesco, il maître à penser, colui dirige il personale, supervisiona gli eventi esterni, si occupa delle pubbliche relazioni e, non da ultimo, costruisce la carta dei vini, tra i quali spicca pure il “Rosso Faber”, taglio bordolese di vitigni cabernet sauvignon e merlot, nati in loco, nel vigneto del relais. E poi Barbara, alla guida della Pasticceria Cavour 1880, a Bergamo Alta, uno dei Locali Storici d’Italia (presto affiancato dalla Locanda Cavour); Roberto (Bobo) l’altro executive chef, sempre al fianco di Chicco; infine Rossella, maestra di cerimonie, colei che dirige la sala Da Vittorio e si occupa dell’accoglienza nella Dimora, la locanda di charme (di sole dieci camere) immersa nell’incanto. Con tanto di colazione regale. 


Pizza & Barbecue a bordo piscina al DaV Cantalupa

È vero. Uniti si vince. E si raggiungono alti traguardi. Sia nel lusso sia in altri segmenti del food. Vedi le due stelle Michelin al Da Vittorio St. Moritz (con lo chef Paolo Rota), all’interno del Carlton Hotel, in Engadina. Vedi l’astro al Da Vittorio Shanghai (con lo chef Stefano Bacchelli). E vedi pure la partnership con Vicook, brand di ristorazione collettiva che ha già colonizzato bistrot e caffetteria della Villa Reale di Monza. Non dimenticando la consulenza con Esselunga per la pasticceria a griffe Elisenda. E neppure le divagazioni virtuali, rese possibili grazie a un gift-shop che si è andato ad arricchire con le proposte Da Vittorio at Home. In versione delivery e takeway. In perfetta empatia con i tempi. Per un’offerta haute couture e prêt-à-porter, online e offline. Sempre con classe, umiltà, rispetto e coraggio. 


Il ristorante Da Vittorio e il DaV Cantalupa dei fratelli Cerea sono aperti a Brusaporto (Bergamo). 


❓Sapremo unire estro e sentimento❓
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Cristina Viggè
2020-06-02T16:53:16+02:00

Uno dei tavoli al ristorante Da Vittorio di Brusaporto, Bergamo

Leggi l'articolo sul repubblica.it

Da Vittorio: spirito e modello vincenti?

Loro sono un punto di riferimento per la città di Bergamo. E lo hanno subito dimostrato. Scendendo in prima linea al fianco dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, mettendosi a disposizione per cucinare per l’ospedale da campo allestito dagli Alpini, facendo un appello su Facebook e richiedendo il sostegno da parte delle aziende per l’approvvigionamento alimentare. Ottenendo una grandiosa risposta. Sì, Chicco Cerea e i suoi fratelli - forti e coesi più che mai - non si sono risparmiati durante la “natural burella”, come la chiamano loro, facendo riferimento a quel luogo buio e sotterraneo descritto da Dante nell’Inferno. Non si sono tirati indietro, dimostrando affetto per il loro territorio. Inteso come materiale e immaginario, come tessuto agricolo, economico, istituzionale e sociale. Loro, i Cerea, da oltre cinquant’anni dimostrano e continuano a dimostrare di essere un punto di riferimento. Per la Bergamasca, per l’Italia e per il mondo. Mixando sapientemente “tradizione lombarda ed estro creativo”, come amano precisare. E mettendoci cura e cuore, passione e ragione, istinto e organizzazione. Riuscendo a presidiare i più diversi settori della ristorazione ed entrando in sintonia con differenti target. Un modello da emulare. Uno stile da imitare. Per visione, lungimiranza, coerenza e competenza. Nulla i Cerea lasciano al caso. Neppure l’online. Puntuali e meticolosi pure nelle loro proposte Da Vittorio at Home, che variano settimanalmente, non tradendo i cult.

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Cristina Viggè
2020-06-18T14:09:25+02:00

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero

Pipero & Scamardella: andando al “succo”

Alla domanda come va? Lui risponde felice: “Bene, molto bene. Anche se tutto in questo periodo ha un significato relativo. Non si possono fare piani. L’asticella è pazza. Altalenante. Ma una cosa è certa, bisogna esserci e crederci sempre. Fino in fondo. Del resto si sa, la specie che resiste è quella che meglio si adatta alla situazione. Del tipo che quando trovi lo spigolo provi ad arrotondarlo. E quando trovi un angolo tondo ti metti comodo”. Lui? È Ciro Scamardella: millesimo 1988, natali affondati nella napoletanissima Bacoli e piedi ben stabili nella Capitale. Al Pipero Roma, la gran maison di patron Alessandro, proprio nel cuore della Città Eterna (in corso Vittorio Emanuele II). “Ale è il primo che lotta con noi. Lui e il suo braccio destro Achille Sardiello, sommelier e restaurant manager”, continua Ciro. Disegnando una squadra forte, coesa, caparbia e decisa. A portare avanti la propria filosofia.

Ciro Scamardella, Alessandro Pipero e Achille Sardiello - Foto di Andrea Moretti

Anzi, no. “In questo momento sarebbe sbagliato soffermarsi sulla filosofia. Anche perché, se vero è che io abbia la mia idea precisa di cucina, è altrettanto vero che nel frattempo essa sia cambiata, maturata, evoluta. Più che parlare di filosofia credo sia importante far parlare gli ingredienti. Applicare la tecnica al gusto. Facciamo che le ore e ore di lavoro rimangano dietro le quinte. Ed emerga invece il sapore. A tal proposito mi tornano in mente gli insegnamenti di Martín Berasategui, col quale ho avuto la fortuna di lavorare”, tiene a puntualizzare il giovane Scamardella. Orgoglioso di aver trovato la quadra per la sua ricotta fake. “Arriva a tavola, poco prima del dolce. Si tratta di una cagliata condita con olio, sale, pepe, ciliegie e succo di ciliegie. Pronto a esaltare le ciliegie stesse. Che è un po’ lo stesso principio che applico all’impepata di cozze. Che porta con sé tutta l’energia della mia terra e delle mie origini. Con l’acqua di cottura preparo sia un velo sia una crema di cozze, che vanno a coprire e a impreziosire le cozze stesse. Gusto su gusto, insomma. Per un sapore al quadrato”. Nel nome della massima empatia fra gli elementi. E pure nel segno dell’arte dell’empaquetage. Per un solenne inchino a Christo.

La Ciro's salad: un cuore di lattuga che avvolge un'autentica insalata di pollo  - Foto di Andrea Moretti

Arte. Certo. Perché l’istrionico ed eclettico Pipero - unica e unconventional incarnazione di oste, sommelier, maître e padrone di casa - ama ospitare anche esposizioni temporanee di arte. Come quella della calabrese Anna Romanello, che mixa fotografia e innovative tecniche di stampa calcografiche e xilografiche, dando forma a un nuovo linguaggio. Fiero di esprimersi in un contesto dove i tavoli - come ben compare nella schermata iniziale del sito ufficiale - sono ben distanziati l'uno dall’altro. Fra la sala principale, la saletta al piano superiore e la cantina. Regno di Alessandro e Achille, capaci di valorizzare le etichette anche nella formula “Pipero by the glass” e in quella del “Bar à Champagne”. Dove si dà voce alla possibilità di assaggiare un cocktail artigianale e in bottiglia (e persino affinato in botte) firmato Keynco, progetto tutto al femminile targato Valeria Sebastiani e Giada Panella. 


La carbonara secondo Pipero - Foto di Andrea Moretti

Nella cantina di Pipero Roma

La crêpe suzette - Foto di Andrea Moretti

Pane e olio secondo Piperhome - Foto di Andrea Moretti

Intanto? Ciro crea. Offrendo al commensale la libertà di scegliere, oppure prendendosi “Carta Bianca”. “In questo caso sono io a essere libero. Ma devo ben capire chi ho di fronte”. Dopotutto è questione di feeling. Di stile, di energia, di empatia e di eleganza. Che arriva sino a casa. Grazie al format geniale di Piperhome. Eccelsa sintesi di Pipero, Roma e Home. Menu delivery che inanella lasagna alla carbonara; bao con sugo di coda alla vaccinara;  maritozzo alla Norma; Ciro’s salad; pluma panata; pane e olio (extravergine denocciolato dell’Antico Frantoio Muraglia) e Tiramisciù. Versione tutta scamardelliana, ironica ed estrosa, del grande classico.  


Il ristorante Pipero Roma di Alessandro Pipero ha riaperto nella Capitale. 


❓Sapremo andare al sodo❓
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Cristina Viggè
2020-06-18T16:32:06+02:00

Lo Sleep Concert: il 26 giugno al Podere Selva Capuzza

Leggi l'articolo su linkiesta.it

Sapremo tuffarci nell'esperienza?

Scegliere. Questo è il punto. Scegliere un abito, un oggetto, un cibo, un ristorante, un albergo, un viaggio. Consapevolmente e ragionevolmente. Ascoltandoci e ascoltando quel che davvero desideriamo. Optando per una cosa o per l’altra. Per una strada o per quella opposta. Oggi più che mai c’è bisogno di conoscenza e coscienza. Per andare dritti al sodo. Senza perdere tempo. Senza inutili giri di parole. Per selezionare con cura quel che vogliamo fare e dove vogliamo andare. Perché solo così riusciremo a concentrarci, entrando in empatia con la “scelta” fatta. Che ci deve rispecchiare ma pure completare, regalandoci un’emozione. Della serie, è solo credendoci che si può andare in verticale in un’esperienza. Persino quando questa è davvero unconventional. Ma capace di mettere in relazione conscio e inconscio, veglia e sonno, istante ed eterno, reale e onirico. Come accade venerdì 26 giugno al Podere Selva Capuzza di Desenzano del Garda. Che ospita una performance (organizzata in collaborazione con Doc Live) unica nel suo genere: lo Sleep Concert, fra musica e stelle (biglietti disponibili su DICE). L’idea? Quella di esplorare una diversa percezione del suono, attraverso l’ascolto abissale e profondo della posizione distesa. Quella che conduce al sogno.

Per indagare nuove frontiere dell'emozione

In pratica? Dalle 22 alle 2 di notte, gli artisti Luca Formentini e Tiberio Faedi, - ideatori del format - si esibiranno in vigna, insieme a Corrado Saija e alle attrici di Somebody Teatro, in una long night performance, ispirata ai concerti notturni del compositore statunitense Robert Rich. Protagonista? Ophélie, figura onirica e immaginifica che ha lo scopo di toccare le corde emozionali. “Il nostro desiderio è quello di fare addormentare il pubblico con la musica e le parole. Non ci rimarremo male, ne saremo felici. Nella perdita di coscienza, ritrovarci da qualche altra parte, dove non c’è più alcuna distanza tra esecutore e ascoltatore. Insieme, altrove”, spiegano Tiberio Faedi e Luca Formentini. Eclettico chitarrista e compositore che è pure titolare di Selva Capuzza: cantina, ristorante e agriturismo. Dove, naturalmente, è possibile cenare e pernottare prima e post concerto. Unico consiglio: indossare un abbigliamento comodo e munirsi di cuscino, materassino, coperta e mascherina. 



Cristina Viggè
2020-06-30T17:38:12+02:00

Giovanni Ricciardella (al centro) insieme alla sua famiglia

Giovanni Ricciardella: l’eleganza della campagna

“Da quando abbiamo riaperto, il 20 maggio, stiamo lavorando davvero tantissimo. Ovviamente la corte esterna è la zona più ambita. Tant’è che ci stiamo già organizzando per acquistare degli ombrelloni più grandi. In modo da amplificare le aree d’ombra”, racconta felicissimo Giovanni Ricciardella. Che con tutta la famiglia tiene le redini di Cascina Vittoria. Nella campagna di Rognano, in terra pavese ma non poi così distante dalla city milanese. Un luogo autentico, un ristorante elegante, che fa di empatia e coerenza i suoi punti di forza. Empatia: fra memoria e attualità, osti e commensali, ruralità e raffinatezza. Mentre ogni dettaglio rammenta il legame con il genius loci. Il che significa orto e pollaio (con galline, oche e anatre), gestiti da papà Giuseppe. Ma anche ambienti nutriti dal legno, viste le sedie in faggio, i tavoli in abete e le moderne abat-jour ricavate da un’antica trave in rovere abbandonata, recuperata e destinata a nuova vita. Grazie anche all’occhio attento dell’interior design Filippo Mori. Uno spazio vero e materico. Che prosegue nella mansarda (l’ex fienile), dove le lampade “Olivia” firmate Zafferano dialogano con mensole e davanzali forgiati ripescando vetusti gradini in granito.


La suggestiva corte esterna di cascina Vittoria, a Rognano, Pavia

Passato e presente. Origini contadine (e lucane) e spinta evolutiva. Vecchie e nuove generazioni. Mamma Vittoria e papà Giuseppe, fieri di lavorare accanto ai propri figli: Marco, Alessandro, Simone e Giovanni. Lo chef e il lievitista di casa. Un cuoco giovane e talentuoso. Che prepara il pane, sforna la pizza e crea pietanze fortemente identitarie. “Io parto sempre da una base tradizionale. Sulla quale innesto un pizzico d’estro”, spiega Gio. Che per la ripartenza ha messo a punto nuovi piatti. Come il risotto che rilegge il prosciutto e melone, fra bottarga-polvere di prosciutto crudo, crema di melone (al momento della mantecatura) e melone a crudo.

Il carpaccio di pesce marinato con salsa al mango, lime e passion fruit, pesto di basilico e pistacchi di Bronte

E ancora, il carpaccio di pesce marinato (dentice, branzino o cernia a seconda del pescato e del mercato), con salsa al mango, lime e passion fruit, pesto di basilico e pistacchi di Bronte; nonché il vitello alla brace tonnato. “Faccio cuocere la sottofesa di vitella di Boves nel forno, a braci spente, insieme alle erbe dell’orto. Poi la taglio un po’ spessa e la completo con una salsa tonnata alleggerita, un jus di carne ben ristretto e uno spinacino”, precisa lo chef. Che non dimentica l’anatra. “Per fare questo piatto prendo le anatre femmine di Simona Zucca, che a Gerenzago le fa frollare per dieci giorni. Così poi non perdono più sangue. Le cuocio nel forno a legna, abbinandole a scalogni e cipollotti fondenti, succo d’arancia e fondo dell’anatra stessa”. E per dessert? “Propongo la Pastiera 2020. Si presenta come una frolla sottile, messa a punto con Petra 5, che cela, strato dopo strato, gli ingredienti tipici del grande classico campano". 


Il vitello alla brace tonnato

I Bauletti di Giovanni Ricciardella

Intanto? A Cascina Vittoria - che celebra i primi dieci anni di attività -proseguono i servizi di asporto e consegna a domicilio. E proseguono pure le preparazioni dei Bauletti. Altro orgoglio di Giovanni. “Uso la farina Petra Panettone in tandem con Petra Evolutiva, che conferisce un gusto unico. Li faccio in tre versioni: all’albicocca e cioccolato bianco; ai frutti di bosco e Inspiration fraise di Valrhona; e ai tre cioccolati, ossia Caramelia, Guanaja e Dulcey”, continua lui, descrivendo un lievitato versatile e sofficissimo. In vendita anche sull’e-shop. 


Il ristorante Cascina Vittoria della famiglia Ricciardella ha riaperto a Rognano (Pavia). 


❓Riconquisteremo la campagna❓
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Cristina Viggè
2020-07-01T09:57:57+02:00

A Cascina Langa, ogni domenica d'estate, va in scena Abracadabra

Leggi l'articolo su gamberorosso.it

Come rileggeremo gli spazi rurali?

Anche i giovani tornano alla campagna. E riscoprono il valore profondo della ruralità. Coltivando, allevando, producendo e mettendo le mani nella terra. Ma molti sono i modi per riscoprire il fascino agreste. Per esempio trascorrendo una giornata o una serata in cascina. Lo sa benissimo Manuela Viglione, capitana di Cascina Langa, sentinella del paesaggio di Trezzo Tinella, nel Cuneese. Una cascina secolare e iper contemporanea. Chiusa su tre lati - dove si susseguono un’abitazione civile, un portico agricolo interamente ristrutturato e un rustico - e aperta sul quarto lato. Quasi in uno slancio verso frutteti e noccioleti. I veri protagonisti di questa landa di Langa.

Cascina Langa, immersa nei noccioleti

Un buen retiro in cui si concentrano ospitalità, benessere, ristorazione e sperimentazione gastronomica (qui nasce anche Palmina, una “marmellata” di nocciole e zucchero di canna bio, ottima da spalmare sul pane e da abbinare a formaggi e selvaggina). Uno spazio generoso, intrinsecamente vocato all’accoglienza, all’incontro e alla condivisione. Soprattutto nei dì di festa di tutta l’estate. Quando prende vita la formula magica (anzi, il magico format) Abracadabra: una serie di domeniche del villaggio, che dalle 9.30 alle 21.30 si snodano fra tavoli e prato, vini e mixology, arte e magia, favole e cantastorie, allagando di gioia i quattromila metri quadrati di spazi en plein air. Suddivisi in aree tematiche, quali il Circo Prato (luogo per eccellenza delle famiglie); il Bosco Secolare, pronto a far vibrare il sound del “Bosco Sonoro”; e La Corte della Cascina, il luogo del food per eccellenza. 


A Cascina Langa, dalle nocciole nasce anche la crema spaldabile Palmina

Fra gli highlights? La cucina vintage della tradizione piemontese firmata dallo chef Fabio Poppa, alla guida del ristorante Le Scuderie del Castello di Govone; pani, panini e focacce messi a punto le farine Petra (sempre da Fabio); dinamici momenti musicali e i cocktail cool by Compagnia dei Caraibi e Vecchio Magazzino Doganale. Calabrese maison produttrice proprio del liquore alla liquirizia Abracadabra. Da cui prende spunto tutta la fiaba.


Passeggiate fra le vigne e picnic chic al Mosnel, in Franciacorta


Ma dai noccioleti ai vigneti il passo è breve. Basta spostarsi in Franciacorta, per scoprire com’è bello passeggiare o pedalare tra i filari (a conduzione bio) del Mosnel, storica maison di Camignone di Passirano, che conta 41 ettari di vigne. Tutte raccolte in un corpo unico, scandito in 18 appezzamenti. Una realtà vivace e volitiva, che per l’estate mette in programma picnic gourmand immersi nella natura. Seguendo due sentieri: il Percorso delle Rose (di 4 km) e il Percorso del Tasso (di 7 km). Per zigzagare fra i vitigni di chardonnay, pinot bianco, pinot nero e l’autoctono erbamat, con corredo di cestino (da prenotare e ritirare il giorno stesso dopo mezzogiorno). Per poi stendere la propria coperta e godersi il déjeuner sur l’herbe preparato da Casa Marcellina, osteria a due passi dalla vitivinicola cantina.


I filari del Mosnel, maison di Camignone di Passirano, nel Bresciano

Tre i menu a disposizione: “Easy Chic”, “Veggie Chic” ed “Eno Chic” (più il “Baby Chic” per i più piccini), tutti comprensivi di due calici in vetro, borsa termica (che poi resta un piacevole ricordo) e una bottiglia (ogni due persone) di iconico Brut o di seducente Satèn millesimo 2015. E pre o post picnic? È inclusa una visita in cantina, in azienda e per il borgo (alle 10, alle 11.30, alle 14.30 o alle 16.30). Il picnic è prenotatile sempre (fino a settembre) entro le 17 del giorno prima (per informazioni e costi: quellicheilvino@mosnel.com e picnicchic.it). Per riscoprire il fascino di una villa neoclassica (prima residenza della famiglia Barboglio, ora dei Barzanò) e delle sue barchesse. In un ritratto tipico di cascina lombarda del Seicento-Settecento.


Scamporella: un romagnolo picnic fra gli ulivi dell'azienda agricola Terre Giunchi - Foto di Caterina Filippi | Camerachiara Fotografia






Intanto, fra le colline romagnole, torna Scamporella, il bucolico concept nato da un’idea geniale di Andrea Cappelletti ed Enrico Giunchi. Di scena, come rituale vuole ormai da molti anni, nella verdissima azienda agricola biologica Terre Giunchi, a Rio Marano, sulle prime colline di Cesena. Un libero e felice picnic fra gli ulivi, che si ripete ogni giovedì e sabato sera. Con qualche speciale eccezione gourmet, come accade martedì 14 luglio, quando ai "fornelli" ci saranno Gianluca Gorini (del ristorante daGorini di San Piero in Bagno) e Davide Di Fabio (dell’Osteria Francescana di Modena). Per vivere la campagna fra sogni, palloncini, cestini, vini, vinili e cuscini. 


A Piozzo, il Baladin Open Garden


Le etichette in limited edition Flower Power

La nuova Sud, dall'anima mediterranea

E anche a Piozzo, sempre in terra di Cuneo, ha riaperto il Baladin Open Garden (dal mercoledì alla domenica, dalle 18 all’una di notte, ma il dì di festa pure a pranzo): tredicimila metri quadrati di parco agricolo e brassicolo con corredo di Agronidi (per dormire sotto le stelle), spazi green, altalene e cascina (risalente alla fine del Seicento). Rigorosamente tatuata. Perché, come la pelle, pareti e arredi, svelano i loro tatuaggi d’esistenza (e di resistenza al tempo), sotto l’eclettica direzione artistica di Marina Obradovic. Il tutto con la possibilità prenotare una visita al birrificio. Che, nel frattempo, ha lanciato la serie - in limited edition - Flower Power, dedicata all’ottimismo e alla rinascita. Sei etichette-inno al colore, alla magia e alla creatività (quella di Alessio, aka Islaz), pronte a vestire sei must by Teo Musso: la Isaac, la Wayan, la Leön, la Nora, la Super Bitter e la Rock’n’Roll. Mentre la neonata Sud, rende tributo alla filiera agricola italiana, inanellando orzo e frumento di Puglia e Basilicata; limone, arancia, mandarino e bergamotto pugliesi, calabresi, campani e siciliani; coriandolo marchigiano; luppolo piemontese; acqua delle Alpi Marittime e lievito selezionato e “coltivato” all’interno del birrificio Baladin. Una birra solare, definita da Teo: Italian Mediterranean Ale. Anche questo vuol dir dar lustro alla campagna.


Cristina Viggè
2020-07-28T15:26:11+02:00

La fokaccia integrale con Petra 9 di Massimo Travaglini - Foto di Roberto Sammartini

Massimo Travaglini: Genova città aperta

“Sono concentrato sul mio negozio. Il mondo è cambiato e dobbiamo ricominciare da qui, dalle nostre origini. Dove tutto è nato. E dove tutto sta continuando”, spiega Massimo Travaglini, raccontando la sua ripartenza. Insieme alla sua adorata Nina Bertolino. A Genova. In Largo San Giuseppe. Una piazzetta intima e riservata, che va da link fra via Roma, la Galleria Giuseppe Mazzini e il Teatro Carlo Felice. Dando voce alla Fokaccia 100%. Una focaccia con il “k” factor. A voler sottolineare il senso multitasking, poliedrico, eclettico e duttile della focaccia. Ancorata a Zêna, legata a doppio nodo alla riviera ligure, ben salda alla tipicità, ma anche capace di comunicare all’Italia e al mondo. Parlando diversi linguaggi. Pur mantenendo inalterata la sua fortissima identità. Al cento per cento.

Riprese a cura di Marco Gallocchio allo Stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020

Focaccia per il lunch. Focaccia per la merenda. Focaccia per un aperitivo in riva al mare. Focaccia all day long. Anche a colazione. Da intingere nel cappuccino. “Così mi è venuta l’idea di mettere il cappuccino direttamente nella focaccia. Praticamente un cappuccino solido. E una valida alternativa alla brioche. Faccio un impasto con Petra Evolutiva e un caffè originario del Brasile. Poi condisco la focaccia con una crema di latte, al posto della usuale salamoia, e chicchi di caffè. La servo a striscioline. È buonissima e piace moltissimo”, dichiara soddisfatto Massimo. Nato in seno alla Superba - ultimo di nove figli - da genitori napoletani. “Papà, metalmeccanico, era del Rione Sanità. Mentre mamma, casalinga, di San Giorgio a Cremano”. Svelando un po’ di sangue campano.

Massimo Travaglini e il mare di Genova - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Poi un giorno, in pieno lockdown, ero a casa, ho preparato la frittata con le acciughe e ho pensato: e se la mettessi nella focaccia? Così ho unito frittata e focaccia. Cuocendole addirittura insieme”, continua Travaglini. “Cerco sempre di fare qualcosa che non fa nessuno. Per proporre la focaccia in maniera diversa e inaspettata. Senza tradire la tradizione, ma guardando avanti”, precisa l’artigiano. Che concepisce la focaccia alla stessa stregua del riso, della pasta e della pizza: una tavolozza sulla quale creare un’opera d’arte.

Massimo Travaglini al mercato - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Davanti al Bigo del Porto Antico - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Ecco allora la fokaccia al nero di seppia con stoccafisso accomodato; quella alla carbonara, con guanciale, pepe e pecorino; quella integrale con Petra 9, verdure fresche, prescinseua e pesto; e quella al grano arso con guacamole, tonno marinato in salsa teriyaki, cipolle caramellate, datterini gialli e rossi e caviale di Blue Curaçao. Fokaccia alle cipolle e fokaccia profumata alla salvia. Fokacce aromatizzate al pomodoro o alla curcuma e semi di papavero. Fokacce al forno e fokacce fritte: a foggia di calzoni-panzerotti suggellati da un elegante torchon per cornicione. Dentro? Sempre lo stacchino a far da leitmotiv e poi via libera ad acciughe del Cantabrico e olive taggiasche; a prosciutto cotto e mandorle; a crema di pistacchio, mortadella e ricotta vaccina; a salmone affumicato, rucola e pomodorini. “Non vi è limite alla fantasia”, puntualizza Massimo. Che certo non dimentica le fokacce al formaggio: tipo Recco, ma pronte a regalare un velo di croccantezza. Come non dimentica la fokaccetta fritta, alla moda di Megli e Crevari. Sottilissima, leggerissima e dal cuore filante. Perfetta anche per l’aperitivo, insieme a mini burger, assaggi di panissa e altre sfiziosità placé. 


Massimo Travaglini nel suo locale Fokaccia 100% - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

La fokaccia multitasking di Massimo Travaglini - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

A ricordo delle due grandi alluvioni del 2011 e 2014 - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Nel prossimo futuro mi piacerebbe fare una full immersion da Molino Quaglia, per conoscere meglio tutte le nuove farine. Le Petra HP, la PetraViva, i germinati. E imparare a fare anche la pizza in pala. Sarebbe bello integrarla con il resto della mia produzione”, annuncia l’artigiano. Che non trascura la parte dolce. Il che significa colombe e panettoni (in stagione), ma pure fokacce-dessert. Agli agrumi e crema di limoni; al peperoncino e cioccolato fondente; alle nocciole, mandorle, uvetta e cardamomo con ripieno di confettura di ciliegie.

Uno dei grandi amori di Massimo: il Genoa - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Focacce empatiche. Che vanno d’accordo con tutto e incontrano i gusti di tutti. “Ora mi servirebbe davvero un bel laboratorio. Uno spazio ampio, dove poter fare una produzione variegata e centralizzata. Con tanto di confezionamento al seguito. Anche in vista dello sviluppo dell’e-commerce”, spiega Massimo. Che gode di una grande empatia con i colleghi. “Mi sento spesso con Marco Farabegoli, Corrado Scaglione, Gianluigi Tosches. È fondamentale confrontarsi e scambiarsi idee e opinioni. Il mio sogno? Che la focaccia riesca a conquistare un ruolo da protagonista. Com’è riuscita a fare la pizza. Del resto, quando giro il mondo la focaccia c’è”.

La Fokaccia 100% di Massimo Travaglini ha riaperto a Genova. 


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Cristina Viggè
2020-07-31T09:28:34+02:00

Paolo Brunelli ha appena aperto Combo, a Marzocca di Senigallia - Foto di Lido Vannucchi

Leggi l'articolo su vogue.it

E se risintonizzassimo il sottozero?

Pane. È forse lui il più empatico dei cibi. Pane locale e globale. Aggrappato al territorio, eppur nomade e vagabondo. Pane per colazione, merenda, pranzo, cena. Pane per accompagnare un piatto, o che diviene esso stesso piatto. Pane nudo. Pane condito. Pane vestito. E come lui anche la pizza si è fatta empatica più che mai. Sposando la tipicità, ma non negando la sua vocazione urbi et orbi. Alimenti multitasking, trasversali, intergenerazionali. Come il gelato. Per troppo tempo bistrattato, relegato a coni, coppe e coppette. Considerato cibo da passeggio. Veloce. Estivo. Perché freddo, dolce e rassicurante. E invece? Finalmente la golosità sottozero si ribella. E accetta la sfida. Non solo della destagionalizzazione, ma pure della sua decontestualizzazione. Svestendo i panni del dessert e di colui che viene sempre dopo. In coda. Alla fine. Per ultimo. E tutto grazie a professionisti temerari e visionari.

Il panino con sorbetto al peperone bruciato di Paolo Brunelli per Identità di Gelato - Foto di Brambilla-Serrani

A far da capofila? Indubbiamente lui: Paolo Brunelli. Che ha appena fatto Combo a Senigallia. Anzitutto perché ha fatto bis, aprendo una nuova insegna a Marzocca (a 300 metri dal mare, non lontano dalla stellatissima Madonnina del Pescatore) e mantenendo la boutique in via Carducci. Ma soprattutto perché la nuova insegna si chiama proprio Combo. Combinazione di gelateria e pasticceria. Certo. Ma non solo. Combo sintetizza il desiderio brunelliano di coniugare il gelato con il vino (o con la birra), in un inedito e intrigante pairing. La voglia di linkare passato e contemporaneità, ricordi e futuro. Il sogno di dar voce a tutte le esplosive potenzialità del gelato. Per sua natura già democratico e simpatico. Gelato da leccare e da masticare. Gelato da consumare con calma, magari in una bella coppa in acciaio vintage, con qualche pezzetto di streusel tuffato fra le creme. Gelato in tandem con la brioche. Anzi, con la Brioscia, veneziana super soffice messa a punto con Petra Panettone e Petra 9. Gelato (alla mandorla del Val di Noto) da degustazione, insieme a zabaione al vino cotto, tocchetti di pane, ciccioli di maiale, agrumato pepe di timut e una generosa grattugiata di casciotta d'Urbino. Formaggio dal sapore delicato, tutelato dalla dop, amatissimo da Michelangelo Buonarroti e figlio del latte ovino e di quello vaccino.

Il gelato di Brunelli incontra la casciotta d'Urbino - Foto di Brambilla Serrani

“L’idea alla base di Mandorle e Casciotta è il voler riportare in bocca il sapore di un piatto che fa parte della memoria gustativa marchigiana: la polenta e sapa che i nostri nonni condividevano nelle cene di famiglia. Un piatto povero, una pietanza che veniva servita su enormi tavole di legno dopo essere arricchita con una spolverata di pecorino e mosto cotto”, spiega mister Brunelli (presidente della Compagnia Gelatieri, di cui è socio fondatore con Andrea Soban e Alberto Marchetti), presentando la curiosa combo gelato-formaggio alla recente edizione di Identità di Gelato: alla Rotonda a Mare di Senigallia. Dove Paolo ha proposto anche uno sgroppino e un panino.

Il sorbetto al Verdicchio e mosciolo selvatico di Portonovo by Brunelli - Foto di Brambilla-Serrani

Nel primo caso: un sorbetto al Verdicchio e mandarino tardivo di Ciaculli, con cameo di mosciolo selvatico di Portonovo (due Presìdi Slow Food). Della serie, dimenticate ostriche e Champagne, e via libera a un vino e a un mollusco iper marchigiani. Nel secondo caso si tratta invece di un panino semidolce - Petra 9 addicted - con paccasassi (pianta sauvage che cresce fra gli scogli e i sassi del Conero), sorbetto al peperone bruciato e Inspiration Framboise di Valrhona, formaggio Gouda a latte crudo e pepe di Sichuan. “Perfetto anche a pranzo”, precisa l’artigiano. Incastonando il gelato nell’ora famelica del lunch.

Il sorbetto di amarena di Corrado Assenza abbraccia i ricci e il tonno rosso - Foto di Brambilla-Serrani

Peperoni che tornano, grigliati, nel sorbetto-concetto di Corrado Assenza, capitano del Caffè Sicilia di Noto. Che fa cadere (da sempre e per sempre) le barriere fra dolce e salato, invocando l’interconnessione naturale delle parti. Quindi? Sorbetto di amarena, emulsione di peperoni grigliati, ricci, tarantello di tonno rosso (tra la parte dorsale e la ventresca) e salsa di pomodori grigliati. Una pietanza red, energica e vigorosa. Pronta a ribadire la forza di un “gelato” che sta bene col mare, accordandosi con la sua intrinseca sapidità.


Il sorbetto di ciliegie finisce sulla pizza dolce di Marco Pedron - Foto di Brambilla-Serrani

E se mettessimo il gelato sulla pizza? Marco Pedron non ci pensa due volte. Così l’head pastry chef di Carlo Cracco crea per Identità di Gelato una pizza (molto croccante, con Petra 5) stracciatella fake (panna semimontata con pezzetti di mascarpone) e sorbetto alle ciliegie (della varietà samba, coltivata nel podere di Carlo e Rosa in quel di Santarcangelo di Romagna). Ciliegie al posto del pomodoro: in parte lasciate a pezzetti; in parte micronizzate e aromatizzate con gocce di Barolo chinato, acidulato di umeboshi, aceto di ciliegie e Albana di Romagna. Chiosando il tutto con polvere di ciliegia, acetosella e pistacchio. Una Margherita sweet style.

Granita di mandorle, ostriche e peperoncino by Assenza per Identità Golose 2006 - Foto di Brambilla-Serrani

Gelato, coraggio, estro, territorio. Perché sempre lì si torna. Alla terra. Al tarassaco, alle bacche di rosa canina e alla ciliegie di Tornavento. Che Ezio Andreola utilizza nella sua gelateria Note di Cioccolato di Lonate Pozzolo (in provincia di Varese, località Tornavento per l’appunto). Terra. Dunque erbe, fiori, germogli. Che Giancarlo Timballo, della gelateria Fiordilatte di Udine (presidente della Coppa del Mondo della Gelateria, nonché uno de I Magnifici del Gelato), raccoglie e trasforma in meraviglie. Non dimenticando il latte di pezzata rossa friulana, il miele - anzi, il Pollimiele dell’Apicoltura Cedermas (a San Pietro al Natisone) - e l’amaro Quintessentia by Nonino (di Percoto, frazione di Pavia di Udine). Eletto ad attore di una vellutata granita “alcolica”, perfetta per l’aperitivo. Sì, le vie del gelato sono infinite. 



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Anteprima live di FUORIMAGAZINE curata da Cristina Viggè
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