Ha capelli argentei. E come potrebbe essere altrimenti? Ha compiuto 190 anni. Portati benissimo, per altro. Il ligure Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia si avvicina al bicentenario e celebra l’importante anniversario con una bottiglia degna di tal avvenimento. Una luccicante fiaschetta silver e chic, fiera di contenere un extravergine fragrante e delicato, ottenuto da sole olive taggiasche. Piccole e saporitissime. Introdotte nel lontano Seicento dai frati benedettini e assurte a protagoniste assolute del condimento prodotto (dal lontano 1827) della famiglia Mela. Prima, nel vecchio frantoio del paese (il cosiddetto gumbo), complici forza dell’uomo e dell’animale, le ruote in pietra, i fiscoli, le giare e tanta pazienza. Ora, nel modernissimo frantoio, da vent’anni nella sede attuale, un po’ più defilata dal centro della piccola frazione dell’entroterra collinare di Oneglia - che con Porto Maurizio forma la città di Imperia. “Fu proprio mia moglie Paola, nel 1987, a pensare al logo e al packaging del nostro olio”, spiega orgoglioso Antonio. Ricordando la lungimiranza avuta dall’amata consorte trent’anni fa.

Ulivi, oli e sottoli
“Abbiamo ottomila alberi nostri”, racconta Cristiana, la figlia maggiore di Paola e Antonio, alla direzione del marketing aziendale. Mentre Serena, la più giovane dei Mela, si occupa della distribuzione dei prodotti sul mercato italiano. Una famiglia unita più che mai, anche se mamma Paola osserva dal cielo, il fratello Matteo suona con successo la chitarra e la sorella Giada ha scelto la clausura, divenendo monaca clarissa a Borgo Parasio, nel monastero di Santa Chiara. Dalle cui Logge si vede il mare. Che i vivi ulivi paiono respirare. Così da regalare gialli gioielli liquidi dai profumi e dai sapori più o meno intensi. Perché tutto dipende dall’altitudine e dalla posizione in cui dimorano le piante. Ecco allora l’extravergine “Gran Cru", proveniente da un oliveto posto a 600 metri di quota; il “Gran Cru Taggiasca dei Mandorli”, figlio di trecento ulivi circondati dai mandorli; il “Buon Frutto”, dal gusto tondo e fruttato; il pregiato “Riviera Ligure dop - Riviera dei Fiori”; nonché il nobile “Oro Taggiasco”, presentato pure nella bottiglia verniciata in gold. Non dimenticando “I Clivi”, un olio erbaceo e piccantino, incartato ed etichettato a mano, in modo da esibire un vestitino dorato. E poi? Ci sono le salse e le creme, il pesto ligure e la serie dei battuti. Mentre sott’olio e sotto vetro finiscono pomodori secchi e carciofini, peperoncini farciti e verdure.

De André e i Jre
E le taggiasche? Vengono preparate in salamoia, tuffate nell’olio oppure denocciolate e candite. Per un prodotto da veri gourmand. Che lo chef Emanuele Donalisio - socio Jre e patron de Il Giardino del Gusto di Ventimiglia - utilizza per mettere a punto una tartelletta d’autore, complici zabaione salato al Pigato e ombrina affumicata al legno d’olivo. Uno dei piatti signature della straordinaria festa celebrativa dei 190 del frantoio del Ponente Ligure. Fra musicali ricordi di Fabrizio De André, bollicine e aperitivo into the wild con focaccia e sardenaira. Quella tipica sanremese che, in dialetto intemelio (diffuso fra il Principato di Monaco e Taggia), significa “pizza di Andrea”, in omaggio all’ammiraglio Andrea Doria. E ancora, torte rustiche, insalate di polipo e baccalà, trofie al pesto con patate e fagiolini, croxetti con olive e pesto di maggiorana e pinoli, e condiggiùn targato dallo chef Luca Collami. Per un buffet allagato dagli aromi di Liguria e suggellato dalla presenza di Luca Marchini, presidente della sezione italiana dei Jeunes Restaurateurs. Prestigiosa associazione alla quale la maison di Sant’Agata d’Oneglia ha persino dedicato un extravergine monocultivar unico e versatile, figlio di un uliveto secolare particolarmente soleggiato. E sfiorato dalla brezza marina.

Un balzo in avanti
Un frantoio, quello della Mela family, portavoce di passato e futuro. E di una sapienza artigianale che affonda le radici in una Liguria andante verso la Costa Azzurra. Così, è proprio sulla linea di demarcazione fra Italia e Francia che lo storico frantoio ha pensato bene organizzare il gala dinner dei suoi primi 190 anni: ai Balzi Rossi di Ventimiglia. “Siamo il primo ristorante della Penisola. Oppure l’ultimo, se si parte dalla Sicilia”, dice Giuseppina Beglia, la grande dame dell’insegna: classe 1938, papà e mamma istriani e grinta da far invidia a un ventenne. “Sono una donna di confine”, dice. Mentre prepara le pietanze, insieme al giovane (annata 1987) Enrico Marmo. Un duetto vincente per un’oasi sospesa fra cielo, mare e capacità di interpretare il territorio con coraggio e saggezza. “Siamo molto affezionati a loro”, spiega Cristiana Mela.
E Pina ed Enrico rileggono con energia e ironia gli eclettici prodotti del frantoio. Fra airbag di sardenaira, acciughe ripiene e fritte, barbagiuai di zucca e fagioli di Pigna, focaccine di Recco, cannoli alla crema di olive e limone, crudo di dentice e mandorle di finocchio e una riedizione moderna del cappon magro. Per poi proseguire con i tortelli di bottarga, cannolicchi, prezzemolo e limone; con la pescatrice arrosto, salsa di pomodori verdi e insalata di fagiolini; con un carpaccio d’ananas, emulsione d’olio e lime e granita al karkadè; nonché con una torta di mele alle olive candite. E nel calice? Il sommelier Franco Baracca fa scelte meditate. Proponendo il Pigato in duplice versione: “La Palmetta” della Cascina Feipu dei Massaretti (di Albenga) e “Arcana” by Terre Bianche (di Dolceacqua). Cantina fiera di siglare pure un Rossese di Dolceacqua. Inno rubino allo spirito marino.
