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sostenibilità.

FUORI IL PROSSIMO
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Cristina Viggè

2020-05-03T19:39:49+02:00

#dilloconpetra   Partecipa al sondaggio con 1 click 

 

Rapporto Bruntland. Conosciuto pure come Our Common Future. Anno domini 1987. La World Commission on Environment and Development, presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, rilascia il primo documento in grado di introdurre il concetto di sviluppo sostenibile: “lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”. Tutto chiaro? Ma è solo l’inizio. Dell’ascesa dell’idea di sostenibilità, intesa come equilibrio virtuoso fra tre dimensioni: ambientale, economica e sociale. Saldamente interconnesse fra loro. Tre insiemi che convivono. Anzi, che vivono in perenne dialogo, incontro e confronto. Intersecandosi e influenzandosi a vicenda. E trovando l’armonia proprio in quel sottoinsieme che è la sostenibilità. Visione integrata delle parti. E, al contempo, prospettiva al di sopra delle parti. Capace di tendere alla perfettibilità dell’intero sistema umano-planetario. Che, intanto, evolve nello spazio e nel tempo.

Sostenibilità. Parola chiave del Terzo Millennio. Al punto che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 25 settembre 2015, sottoscrive l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Corredando il tutto di diciassette goal e di ben 169 target o traguardi. Un programma completo e complesso, che coinvolge le cinque “P”: People, Planet, Prosperity, Peace e Partnership. Mission? Eliminare fame e povertà, affinché tutti gli esseri umani possano esprimere con dignità il proprio potenziale, in un contesto sano, propositivo e costruttivo; proteggere il Pianeta, gestendo responsabilmente le risorse naturali, grazie a modelli sostenibili e attuabili di produzione e consumo; incentivare un’esistenza soddisfacente, nonché un progresso in armonia con la natura; incoraggiare società pacifiche e inclusive; e rafforzare uno spirito di solidarietà globale, grazie alla partecipazione di tutti i Paesi. Nessuno escluso. Un programma ambizioso, coscienzioso e consapevole. Che di strada ve n’è ancora molta da fare. Ma anche un’esortazione a ricominciare. Mirando ancor meglio all’obiettivo.

SFOGLIA DA SINISTRA A DESTRA

Cristina Viggè
2020-05-04T17:18:52+02:00

Eleonora Massaretti a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Eleonora Massaretti: eleganza ed ecologia

Cambierà tutto? Allora cambierà anche lei. “Sto addirittura pensando a una trasformazione completa del mio locale”, confessa Eleonora Massaretti, la condottiera coraggiosa del Basilico Rosso di Castelmassa, in terra rodigina. “Certo, se mutano le regole, dobbiamo imparare a lavorare con un sistema differente”. Flessibilità e fluidità, dunque. Almeno così vale per l'artigiana. Che per rendere sostenibile la sua attività ha sposato i canali del delivery e dell’asporto. Senza mai perdere stile ed eleganza. “Sono arrivata a consegnare fino a un raggio di cinquanta chilometri, sempre mantenendo un’altissima qualità e la mia identità”, afferma orgogliosa. Anche di essere riuscita a mettere in carta le sue speciali pizze con il pesce. Quelle che la contraddistinguono. Quelle che più la rappresentano. Quelle col polpo croccante, con lo storione, con la tartare di tonno, col calamaro scottato. Il tutto rimodulando gli impasti e adattandoli alla rigenerazione nel forno di casa. E, in futuro, supportando il tutto grazie alla tecnologia e al confezionamento degli ingredienti in atmosfera protettiva. Nel segno della massima sicurezza e di una shelf life prolungata.



Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Non dimenticando il valore della libertà. “Sì, il cliente è svincolato da schemi e da orari. Finalmente può scegliere lui quando e come infornare e mangiare la sua pizza”, prosegue Eleonora. Che sta già riflettendo su un possibile packaging evoluto. Differente dalla plastica. “Ci sono interessanti derivati della carta e della canapa. Sto valutando il materiale più adatto, nel pieno rispetto dell’ambiente e del non spreco”. Ma non basta. Eleonora, ragionando con coerenza sulla ripartenza, sogna una nuova direzione da dare alla sua insegna: divenire una gastronomia. Un punto di riferimento della zona. “Mi piacerebbe proporre lasagne di mare, spaghetti allo scoglio, un buon sugo di vongole. E chissà, magari introdurre pure una vetrina del pesce fresco”, continua lei. Che fa parte del gruppo Donne di Pizza Donne di Cuore. Impegnato nel portare avanti eventi e progetti solidali. “Ovunque andiamo cerchiamo di ascoltare il territorio e di capire come aiutare e sostenere onlus e associazioni”. Anche questa è sostenibilità.  


Il Basilico Rosso di Eleonora Massaretti riaprirà a Castelmassa (Rovigo). Intanto Eleonora ci propone la ricetta dei suoi cracker ai semi.


❓Sapremo sposare nuovi progetti sostenibili❓
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Cristina Viggè
2020-05-04T18:20:14+02:00

Foto di Bkrmadtya Karki da Pixabay

Leggi l'articolo su milanotoday.it

Delivery e takeaway. Nuovi scenari possibili?

Dopo un iniziale scetticismo, sono sempre di più i ristoratori che accolgono nel proprio vocabolario il termine delivery. Meglio noto come consegna a domicilio. Da poter combinare con la versione più smart del “ti prendo e ti porto via”. Due canali nuovi. Almeno per molti. Due strade che stanno dando un po’ di respiro a molte attività. E che, probabilmente, continueranno ad essere battute da molte realtà. Magari in parallelo al classico servizio al tavolo. Del resto, se i coperti diminuiscono, perché non compensare con consegne e takeaway? Nell’ottica di un’economia circolare, razionale e coerente. La sfida? Quella di mantenere alta la qualità, senza tradire la propria identità. Facendo quello che già si sa fare, e magari ancora meglio. Come? Snellendo l’offerta e puntando sull’essenzialità e verità della proposta. Inoltre, consegna e asporto permettono di rispettare le regole del social distancing. Fidelizzando al contempo il cliente. In quanti hanno dichiarato: “È il nostro modo per comunicare che ci siamo. E che non abbiamo mai smesso di esserci”. E in quanti clienti hanno risposto: postando sui social, inviando messaggi d’affetto e confermando lo loro fiducia nel confronti di chef, pizzaioli e pasticceri. Un nuovo modo di socializzare. E di interagire con il prodotto (spesso da completare a casa), sentendosi parte attiva di una filiera. Non da ultimo i delivery più evoluti sanno persino indossare packaging ecologici, biodegradabili, compostabili e riciclabili. Nel segno del non spreco. Perché vegetali, organici e rispettosi dell’ambiente. Come la polpa di cellulosa, la cosiddetta bagassa, proveniente dagli scarti della lavorazione della canna da zucchero. E ancora la grass paper, la carta erbacea, summa d’erbacce e di carta certificata Fsc (Forest Stewardship Council). Ultima frontiera? Le confezioni e i contenitori in Notpla, un materiale rivoluzionario a base di alga bruna. Una delle risorse più rinnovabili della natura. Quasi a dire che nuovi scenari sono possibili. Basta percorrere la strada più sensata.

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Cristina Viggè
2020-05-14T15:17:41+02:00

Claudia Tosello a PizzaUp 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Claudia Tosello: orto e Arcobaleno

In questo periodo? Ha scoperto di avere il pollice verde. “Ho imparato a tagliare l’erba e a coltivare gli ortaggi. Mio padre Renzo ha un pezzetto di terra, dove crescono asparagi, zucchine, fagioli. Sì, mi ha proprio detto: sei brava anche a piantare i fagioli”, dichiara orgogliosa Claudia Tosello. Dea ex machina della pizzeria Arcobaleno, a San Martino di Venezze, in provincia di Rovigo. “E poi sto sistemando per bene tutto il giardino. Un lavoro che avevo continuamente rimandato. All’esterno ho uno spazio immenso. Così alla ripresa, fra dentro e fuori, pur tenendo i tavoli distanziati, riuscirò ad avere comunque una cinquantina di coperti”. È ottimista, costruttiva e piena di energia Claudia. “Dopo due anni e mezzo, ho persino ripreso a fare i miei giri in bici. Inoltre ho un altro progetto: poter seguire un piccolo terreno posizionato proprio dietro la pizzeria. Tanto, gli attrezzi agricoli li abbiamo. E in tal modo avremmo pure tante verdure freschissime per la pizzeria”, continua madame Tosello. Che ama anche preparare dolci lievitati, conserve e confetture. Utilizzando la frutta di artigiani e produttori autoctoni. Per proporre un cibo a filiera cortissima, che va dal campo alla tavola.

Riprese a cura di Andrea Tadioli allo stand di Petra - Molino Quaglia - Sigep 2018


Questione di spirito green. E di sostenibilità. Un principio fondamentale per Claudia. Che intanto ha avviato, con successo, le consegne a domicilio. Arrivando sino a Rovigo. “E ho pure spacciato un po’ di lievito madre. Una grande soddisfazione. Ho avuto feedback positivi. Le persone mi mandavano le foto. E io insegnavo a loro alcuni accorgimenti, invitandoli persino a dare un nome alla loro ‘madre’. Così si sono sentiti coinvolti”, aggiunge lei. Che oltre a pizze in pala e in padellino (con tutti gli ingredienti ben ordinati a parte), ha messo a punto il pane per il burger. Cotto nel forno a legna. E proposto per il delivery in triplice variante: a base di carne (di una macelleria super local), prezioso di affettati e formaggi e in versione vegetariana. Il tutto con corredo di patate. “Ma non fritte. Cuocio pure loro nel forno a legna. Al momento. Così da risultare calde e fragranti. Preferisco fare meno cose, ma fatte bene. È sempre stata la mia filosofia e lo sarà sempre”.  


La pizzeria Arcobaleno di Claudia Tosello riaprirà a San Martino di Venezze (Rovigo). Intanto Claudia ci propone la ricetta del suo burger vegetariano, con mozzarella di bufala, zucchine e melanzane grigliate e pomodorini soleggiati.


❓Terra e high tech vanno d’accordo❓
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Cristina Viggè
2020-05-14T15:36:54+02:00

Il logo BGreen del gruppo Fratelli Beretta

Leggi l'articolo su torinotoday.it

Tecnologia ed ecologia: possibile sodalizio?

L’agricoltura è la grande rivoluzione dell’uomo. Che da nomade, cacciatore e raccoglitore, proprio grazie alla coltivazione della terra, è potuto divenire stanziale. Non solo. Grazie all’agricoltura l’uomo è riuscito a produrre un surplus di cibo, ritagliandosi il tempo per occuparsi di altro. Dell’artigianato, della costruzione di oggetti e poi addirittura della scrittura. A sostenerlo? Il biologo e antropologo statunitense Jared Diamond, autore di Armi, acciaio e malattie - Breve storia degli ultimi tredicimila anni, premio Pulitzer per la saggistica. Sì, l’agricoltura ha contribuito all’evoluzione della civiltà. Anzi, l’essere umano ha imparato sempre più a dedicarsi ad “altro”, demandando ad altri il “problema” del proprio sostentamento. Ai contadini, agli allevatori, ai pescatori. Sino a giungere all’industria. Ma oggi si assiste a un’inversione di tendenza. Siamo tornati al piacere di coltivare. Essere agricoltori è un motivo di vanto. E filiera corta e biodiversità sono tornati ad essere sinonimi di qualità. L’orto rappresenta un plus, anche per la pizzeria e il ristorante. E pure i grandi leader del food & beverage si sono fatti sempre più sensibili al tema. Coniugando perfettamente ecologia e tecnologia. Certo, perché l’avanguardia può risollevare la terra. E comunicare il senso della terra. Anche attraverso un semplice packaging. Che non solo ha lo scopo di preservare e mantenere integro un alimento durante il trasporto, ma soprattutto di veicolare un messaggio forte e chiaro. Il gruppo Fratelli Beretta, specializzato nella produzione e distribuzione di salumi e piatti pronti, lancia il logo “BGreen”, pronto a identificare i prodotti plastic smart. Conservati in confezioni realizzate con il 25% di plastica in meno, o con il 65% di plastica riciclata (è il caso di trecento referenze in assortimento). Un marchio che in futuro accompagnerà l’azienda in ulteriori progetti sensibili al Pianeta. E Carlsberg? Già da anni ha tradito i fusti di birra in acciaio per convertirsi a quelli in Pet: riciclabili e fieri di consentire una spillatura senza anidride carbonica aggiunta. Mentre una realtà piemontese come Distillerie Berta (con sede nell’astigiana Mombaruzzo) dedica la grappa invecchiata “Elisi” e la grappa “Unica” all’ambiente. Acquistando uno dei due prodotti si contribuisce infatti alla creazione della Foresta Berta che, grazie a Treedom, sta prendendo forma in Kenya. A ogni ordine verrà piantato un albero, fiero di portare il nome di chi l’ha virtualmente adottato. Non solo. Il “proprietario”, attraverso un codice, potrà seguirne la crescita online. Della serie, terra e high tech. Che significa pure pack compostabili e biodegradabili, in polpa di cellulosa, in grass paper o a base di alghe. Intanto, il Politecnico di Torino - Dipartimento di Architettura e Design ha dato vita al master in Eco Packaging Design, per progettare imballaggi sempre più sostenibili. Per consumatori sempre più consapevoli.

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Cristina Viggè
2020-05-19T16:31:21+02:00

Giorgio e Filippo Sorce

Giorgio e Filippo Sorce: millennial in un luogo millenario

A dividerli? Solo sedici mesi. Per il resto vivono e lavorano in simbiosi. Loro, i fratelli Sorce: Giorgio, annata 1994; Filippo, millesimo 1995. Insieme alla guida di una pizzeria nel Villaggio Mosè di Agrigento. A pochissimi chilometri da quella Valle dei Templi riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Un sito archeologico d’assoluta bellezza. Che racconta della civiltà greca. Ma che narra pure del fascino e della potenza di una polis poliedrica, dal raggiante spirito mediterraneo. Una città crossover, crocevia di culture. Entrata a far parte anche dell’Impero Romano, per poi divenir araba e normanna. Un luogo millenario, che diede i natali al filosofo Empedocle e che ora accoglie due millennial come i Sorce bros. Che il greco non l’hanno certo dimenticato, battezzando la loro insegna con il nome di Sitári, ossia “grano”. Ma che in qualche modo ricorda in siciliano le parole mangiari, assittari. Insomma, un chiaro invito al convivio. Non tradendo la terra, il passato, la memoria.

Una delle pizze di Sitári, la pizzeria guidata dai fratelli Sorce


Coerenza. Circolarità. Sostenibilità. A partire dal naming. Per giungere alla proposta, fiera di concentrarsi su una filiera dotta, che privilegia le artigiane eccellenze made in Italy, facendo focus sulla Sicilia. Tanti infatti i prodotti isolani: dal pomodoro pelato siccagno di Valledolmo (così chiamato per via della sua crescita in aridocoltura) al pistacchio di Raffadali, dai capperi di Pantelleria alla buzzonaglia di ricciola sott’olio. A cui si aggiungono pregiati Presìdi Slow Food come la vastedda della Valle del Belice, la provola affumicata delle Madonie, il gorgonzola di capra girgentana, l’aglio rosso di Nubia e il capocollo di suino nero dei Nebrodi. E poi? Non mancano all’appello specialità quali le panelle e il coddiruni, la tipica e antica focaccia imbottita. E non mancano  pizze dai chiari riferimenti vernacolari. Vedi la "Fuitina, la "Bedda Mia", la "Priziusa" e la “Sciavurusa”. Traduzione: profumata, fragrante. “Inoltre con nonno Filippo, stiamo mettendo a punto un orto. Proprio dietro il locale. Abbiamo già piantato otto tipi di pomodoro, insalata, melanzane, zucca, peperoni, basilico e, naturalmente, finocchietto”, racconta con orgoglio Giorgio.


La pizzeria Sitári di Giorgio e Filippo Sorce riaprirà ad Agrigento. Intanto i bros ci propongono la ricetta della loro Margherita in quarantena. 


❓L’agricoltura può andare d’accordo con l’avanguardia❓
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Cristina Viggè
2020-05-19T16:46:27+02:00

Foto di Pexels da Pixabay

Leggi l'articolo su winenews.it

Terra e high-tech: una nuova frontiera?

“La verità è che il concetto di naturale non esiste, e non esistono cibi naturali del tempo andato. La natura è solo il prodotto di un’equazione. Noi modifichiamo l’ambiente, l’ambiente modifica noi, il risultato, in continua evoluzione, è appunto la natura”, sostiene lo scrittore Antonio Pascale. E, forse, ha proprio ragione. Così come l’agricoltura del terzo millennio non significa un sentimentale ritorno al passato, bensì un energico ritorno al futuro. La sempre più accelerata meccanizzazione, le biotecnologie, le nuove ricerche agronomiche supportano l’agricoltura moderna, la rendono sostenibile e fanno del contadino contemporaneo una figura altamente specializzata. Un professionista con le mani nella terra e la mente visionaria. Perfetto per un’agricoltura 4.0, concentrazione di innovazione e precisione. Già nel 2017, al Global Food Innovation Summit Seeds & Chips si era parlato di skylight garden (senza la presenza del sole, ma con la complicità dei led), di colture idroponiche (fuori suolo, senza terra e pesticidi, ma con acqua e sostanze nutritive) e persino di rooftop farm, serre e orti urbani e coltivazioni verticali. “Da cacciatori siamo divenuti agricoltori. Ora dobbiamo imparare a coltivare anche in ambienti differenti”, spiegava Christine Zimmermann, presidente dell’Association for Vertical Farming. Ma si parlava anche di piattaforme - come la greca Agrologies - in grado di pianificare e ottimizzare l’irrigazione, a seconda della condizioni atmosferiche, con un semplice touch. Il tutto in un’ottica di massima efficienza e zero spreco. Come accade anche per l’italianissima Netsens, impegnata nella messa a punto di sistemi per il risparmio idrico, nonché di stazioni meteo e sensori wireless per un completo monitoraggio del terreno. Per controllare umidità e temperatura e per prevenire l’attacco dei parassiti. Ad averla già applicata su tutti i suoi vigneti? Il Castello di Meleto: 140 ettari in quel di Gaiole in Chianti. “Questa soluzione rappresenta un passo avanti per tutto il mondo del biologico. Molto spesso i preconcetti sono dovuti alla paura di quel che non si conosce e non si può prevedere. Con questo sistema porteremo una maggiore conoscenza in tutto il mondo della viticoltura, con l’augurio che per il futuro il biologico divenga l’unico modo di produrre possibile. I bravi vignaioli insegnano che, per fare cose grandi, bisogna sentirsi piccoli di fronte alla natura”, spiega Ruggero Mazzilli, agronomo fondatore della Spevis, la Stazione Sperimentale per la Viticoltura.

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Cristina Viggè
2020-05-27T16:24:08+02:00

Claudio Maucieri a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Claudio Maucieri: pizza, pane, territorio e... QR code

“La pizzeria la aprii il 14 febbraio 2005. Ma qui sarà San Valentino tutte le sere”, annuncia felice Claudio Maucieri. Patron di Capriccio, in quel di Ispica, nella provincia di Ragusa. “Noi stiamo al sud della Sicilia, nella terra del pomodoro. E anche della carota”, continua lui, facendo riferimento a quella carota novella - preziosa di minerali e vitamine - che gode di un consorzio tutto a lei vocato. Un ortaggio che affonda le radici in una terra fertile e generosa. Alla quale Maucieri ha sempre voluto dar voce. Sostenendola e valorizzandola sulla pizza. Dove finiscono il pesce spada e i gamberi di Portopalo; il ciliegino di Pachino e il pomodoro datterino; il pesto di mandorla, il pesto di pistacchio e il pesto di finocchietto; il guanciale e il capocollo di suino nero dei Nebrodi e il “roast-beef” di tonno in crosta di sesamo (altra eccellenza locale, tutelata come Presidio Slow Food); la ricotta di pecora e la mozzarella di bufala siciliana a latte crudo; il formaggio Normanno e la vastedda della Valle del Belìce. In un colto tributo a una regione dalla grande biodiversità. Culturale e materiale.

Il pane, un grande cult di Claudio Maucieri


“In questo periodo noi non ci siamo mai fermati. Abbiamo cercato di mantenere sempre viva quella fiammella che cercava di spegnersi”, continua Claudio. Che ha riaperto, affiancando alla proposta placé un intelligente servizio di asporto e consegna a domicilio. “E ora ci siamo organizzati al meglio per il servizio al tavolo. Adottando tutti gli accorgimenti, rispettando tutte le norme e facendo i corretti distanziamenti. Abbiamo ridotto i coperti. Oggi ne ho una sessantina. Ma sono contento. Così lavoriamo in tranquillità, senza tensioni ed evitando la confusione. Anche perché noi le tavolate non le facciamo. Abbiamo alzato l’asticella e puntiamo tutto sull’emozione, sull’esperienza. Tant’è che abbiamo suddiviso la grande sala in tre zone: saletta, salone e salotto. In modo da avere un’atmosfera più intima, rispondendo a esigenze diverse e a target differenti. E poi, grazie alle abat-jour, abbiamo le luci soffuse. Per un ambiente ancora più rilassante. Per questo qui la festa degli innamorati è tutte le sere”, precisa Maucieri. Che intanto digitalizza il menu - visibile attraverso un QR code -, continuando a metter le mani in pasta. Per fare il pane. “Lo cuocio nel forno a legna. Il mercoledì e il venerdì. Lo preparo in varie tipologie e mi dà una grande soddisfazione”.


La pizzeria Capriccio di Claudio Maucieri ha riaperto a Ispica (Ragusa). Intanto Claudio ci propone la ricetta della sua pizza inchino ai Nebrodi, con spolverata di semi e cereali.


❓E se anche la mise en place fosse sostenibile❓
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Cristina Viggè
2020-05-27T17:17:42+02:00

Il servizio digitale SafeTable - Foto di Matteo Barro

Leggi l'articolo su finediniglovers.it

Troveremo soluzioni a impatto zero?

Il lockdown ha insegnato. Anche a sprecare di meno. Una buona pratica, da mantenere soprattutto ora, con la ripartenza di tutte le attività. Sempre più nel segno dell’ecosostenibilità. Il che significa razionalizzazione e ottimizzazione degli spazi, attenzione al food cost (senza tradire la qualità), riciclo, concentrazione sulla filiera, sulla materia prima e su energie rinnovabili. Renato, Riccardo e Federica Pancini, per esempio, nel loro Al Foghèr aretino, hanno adottato séparé totalmente green, utilizzando erbe aromatiche e peperoncini dell’orto. E le carte al ristorante? Si fanno sempre più digitali e raffinate. È il caso della creatura targata da un fotografo e videomaker milanese come Matteo Barro. Che, in tempo di fermo macchina (fotografica), ha studiato una soluzione innovativa e visionaria, ma anche pratica e intuitiva, insieme alla compagna Eva Offen, già sua collaboratrice in ambito amministrativo e finanziario. Risultato? SafeTable: un prodotto capace di coniugare l'eleganza con la tecnologia. Digitalizzando con stile la carta del locale. Il tutto a portata di smartphone, senza la necessità di un tablet, senza l’obbligo di scaricare un’app e senza perdere la propria personalità. “Certo, l’identità del ristorante resta un elemento imprescindibile. La personalizzazione grafica è fondamentale. Dai font agli sfondi, dalle immagini alle descrizioni dei piatti”, puntualizza Barro. Perché digitalizzazione non significa automatizzazione. La presenza del titolare, del sommelier e del maître rimane un must. Per un approccio umano ed empatico con il commensale.


Un espositore in plexiglas trasparente by SafeTable - Foto di Matteo Barro


Come funziona? Semplice. Il ristoratore invia il menu (in formato word, pdf o cartaceo). Poi, a format deciso, SafeTable crea il menu digitale, il QR code e le credenziali di accesso, spedendo le istruzioni con corredo di video-tutorial. Non solo. Fornisce gli espositori in plexiglas trasparente - facilmente lavabili, igienizzabili e talmente discreti da adattarsi a ogni tipo di interior - dove stampare il QR code e da posizionare sui tavoli. Inoltre, invia una vetrofania - con il QR code - da esporre in vetrina. Per permettere la consultazione della carta anche dall’esterno del locale. Nel segno dalla massima trasparenza. Il tutto senza più sprechi di carta e costi di stampa. In infinite soluzioni grafiche. In dodici lingue. E con la possibilità di modificare in totale autonomia (o delegando a SafeTable eventuali upgrade), le pietanze. Per aggiornare i piatti in base al mercato e alla stagionalità.


Il Tovagliolo Imbustato by Padana Spa

E la mise en place? Anch’essa non va trascurata. E nel nome di igiene, comfort e serenità, una realtà bergamasca quale Lavanderia Padana Spa - specializzata non solo nel lavaggio (ad alte temperature e con trattamenti antibatterici) ma pure nel noleggio tessile - ha pensato di “rispolverare” il tovagliolo di stoffa (100% cotone) imbustato. Apparso già vent’anni fa sulle tavole di molti ristoranti, grazie alla lungimiranza del patron Pino Pisacane. Rivelandosi una scelta vincente. “Quello che siamo a proporre quindi non è una novità, ma una soluzione collaudata e immediata per far fronte ai problemi di sanificazione”, spiega in un video Andrea Pisacane. Che, con la sorella Simona, lavora nell’azienda di famiglia. Un prodotto unico, con tasca portaposate, applicata all’esterno della busta. Garantendo così ordine, pulizia, efficienza e tempismo.


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Cristina Viggè
2020-06-06T15:52:58+02:00

Luca Doro a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Luca Doro e la nuova grammatica dello spazio

“A Macerata Campania si rispetta il semaforo”, esordisce Luca Doro. “Certo. In pizzeria abbiamo messo la segnaletica. Lo avevo visto fare in un locale dove lavorai, a New York. E così ho pensato di adottare questo sistema anche qui. Abbiamo studiato tutto per bene. Per filo e per segno. Ricalibrando gli ambienti, dimezzando i coperti, osservando le distanze e inserendo la punteggiatura. Ci sono gli adesivi verdi nel tratto di cammino che conduce ai tavoli; l’arancione nell’area di attesa, vicino alle vetrate e alla cassa; e il rosso per indicare quando il bagno è occupato. Giusto a comunicare una zona off limits”. Sì, Luca Doro, nella sua Doro Gourmet di Macerata Campania, nel Casertano, stabilisce nuove regole di prossemica e di grammatica dello spazio. Nel nome della massima sicurezza. “Al tavolo, invece, abbiamo preferito le tovagliette usa e getta, il gel igienizzante ad hoc e una busta alimentare monouso contenente il bicchiere per l’acqua. Che poi si può utilizzare per conservare la mascherina durante la serata. Le posate sono servite a parte e ogni tavolo ha il suo tablet personale per la consultazione del menu”, prosegue l’artigiano. Fiero anche del nuovo ulivo tinto di bianco, pronto ad affiancare quello già presente in sala. “Incarnano la tradizione e l’innovazione”. E anche le radici affondate nella Campania Felix.

Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019


Una terra generosa. A cui Luca dà voce attraverso le sue pizze. Rendendo omaggio alla cultura agreste, alle tradizioni popolari, alla memoria e a molti Presìdi Slow Food, visto che l’insegna fa parte dell’Alleanza dei Cuochi e Pizzaioli di Basilicata e Campania. Idee chiare, insomma. E assoluta organizzazione. “Siamo andati e stiamo andando benissimo anche con i servizi di consegna a domicilio e di asporto. Ma questo non mi impedisce di continuare nella mia ricerca sugli impasti. Per esempio con PetraViva e con Petra Evolutiva. E sto studiando una focaccia nel ruoto con Petra 9”, continua Luca. Che intanto ha allestito una zona boutique, virtuosa di vini, farine, pomodori e altri prodotti tipici, e ha messo a punto una decina di nuove pizze. Come la “Pellecchiella”, con crema di albicocche pellecchielle del Vesuvio, battuta di fior di latte nobile (un latte ad alto tasso di qualità e sostenibilità, con tanto di disciplinare di produzione), salame morbido di suino nero casertano, conciato romano e menta. E come la “Pizzaiola”, summa di pomodorino cannellino flegreo, provola di latte nobile, carpaccio di fassone piemontese, maionese alle acciughe e caviale di basilico. Non certo dimenticando la “Carmnella” - dedicata alla zia -, tra fiordilatte, olive caiazzane, scarola condita con olio, sale, pepe e limone, e alici di menaica; la “Quattro Formaggi” versione tutta Doro, preziosa di pera pennata (un ecotipo dalla foggia tonda e dal sapore dolce e pastoso) e nocciole di Giffoni; nonché la “Ragù di Polipo”, a ricordo dei polipetti alla Luciana cucinati nel coccio.


La pizza "Ragù di Polipo" by Luca Doro

Terra e mare. È un pensiero fluido e circolare quello di Luca. Cresciuto seguendo gli insegnamenti di mamma e nonna, credendo nell’agricoltura, respirando i valori rurali, mettendo le mani in pasta e onorando le feste comandate. Come quella di Sant’Antonio Abate - qui Sant’Antuono - che si celebra il 17 gennaio, fra carri e percussioni di tini, falci e botti. Le cosiddette Battuglie di Pastellessa, termine usato per indicare sia il fragore generato dalla sfilata sia la iper tipica pasta con le castagne lesse. Che Luca traduce nella “Pizzellessa”, compendio di castagne lesse, mozzarella di bufala, guanciale di suino nero casertano, scaglie di pecorino di laticauda e perle di peperoncino crusco. Del resto, i rituali non si tradiscono.


Luca Doro impasta con la nonna

Intanto? Guarda avanti. Pensando al Natale e immaginando una nuova griffe di Panettoni. Sognando Cervignano del Friuli, dove tira aria di un bel progetto. E tenendo i piedi ben saldi nel presente. Anzi, nel futuro prossimo venturo. “È quasi tutto pronto. Partiremo a luglio. Ci trasferiremo nella Villa Comunale di Macerata Campania. Mentre il locale funzionerà per il takeaway”, spiega il pizzaiolo. Svelando la new summer location en plein air, nel verde della residenza cittadina. “Metteremo due forni a legna, faremo le pizze ma anche cultura del territorio. Con appuntamenti didattici per grandi e piccini. E poi allestiremo lo spazio con tanti cuscini. Dove ci si potrà rilassare anche assaporando un gelato. Dopotutto, quello che ci tiene in vita solo le emozioni”. 


La pizzeria Doro Gourmet ha riaperto a Macerata Campania (Caserta). E Luca ci propone la ricetta della sua “Marinara dell’Alleanza”, battezzata con il codice di avviamento postale della sua cittadina: 81047. 


❓Sapremo ripensare i nostri spazi❓
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Cristina Viggè
2020-06-06T16:41:14+02:00

Peacock, la barriera che fa la ruota, by Emanuele Martera

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Spazi fisici o spazi mentali?

Distanziare. Circoscrivere. Delimitare. Le riaperture dei “pubblici esercizi” portano con sé una nuova sintassi dello spazio. Interno ed esterno. Fisico e mentale. C’è chi, rinnegando il plexiglass, adotta la segnaletica, chi preferisce divisori green e chi si inventa nuove soluzioni. È il caso del geniale designer spezzino Emanuele Martera - art director di Tub Design - che presenta il suo Peacock, un vanitoso (e bellissimo) pavone che fa la ruota. Fungendo da barriera modulabile, amovibile e iper leggera. Da aprire e da richiudere. Occupando pochissimo spazio e rimodulando gli spazi: dell’ufficio o della palestra, di un salotto d’hotel o di una sala ristorante, di una terrazza o di un dehors, e persino di una beach. Un sipario artigianale, utile e funzionale, in tessuto tecnico sanificabile. Disponibile in versione neutra, impreziosita da serigrafie, oppure dipinta a mano (in limited edition). Da appoggiare a un muro, o da posizionare al centro della sala. Visto che misura 160 x 160 centimetri, affiancabili. Per far la ruota completa. “Tutto è partito dall’idea del ventaglio. E ne è nato un oggetto giocoso e divertente. Che ha pure un suo lato sociale e solidale. Visto che la struttura portante è realizzata dai detenuti del carcere di La Spezia”, racconta Emanuele. 


Il box del fortemarmino Pesce Baracca, disegnato da Emanuele Martera


Intanto? Disegna pure il “Survival Kit” per il Pesce Baracca di Forte dei Marmi. “In realtà era stato progettato già prima. Seguendo più l’idea romantica di portarsi il pesce in spiaggia. Adesso invece è diventata un’esigenza. E poi è un box colorato e gioioso. C’è bisogno di sorrisi e di allegria per affrontare ogni situazione. Del resto, quando il gioco si fa duro, bisogna tirar fuori la creatività”, commenta orgoglioso Martera. 


Il fortemarmino Bagno Marechiaro

Lo chef Cristiano Tomei

Il "privé" del ristorante del Bagno Marechiaro, a Forte dei Marmi

E proprio sulla sabbia fortemarmina sbarca pure Cristiano Tomei, capitano de L’Imbuto di Lucca. Che, insieme al suo team, per tutta l’estate 2020, firma i piatti del ristorante del Bagno Marechiaro - per capirci: quello del film Sapore di Mare, accanto alla celeberrima Capannina di Franceschi -, la cui gestione è stata affidata a Blu Hotels. “Il Bagno Marechiaro è per noi un’assoluta novità, in quanto è il primo stabilimento balneare che entra a far parte del nostro Gruppo ed è per tutti noi un motivo di grande stimolo e di arricchimento”, dichiara il presidente Nicola Risatti. Mentre Cristiano aggiunge: “Ritorno in riva al mare portato da un vento di tradizione che non ho mai abbandonato, per regalare agli ospiti del ristorante del Bagno Marechiaro una cucina di naturale qualità. La mia squadra vi aspetta per coccolarvi in una location dal sapore marino”. Per un lusso sussurrato. 


Il bistellato Piccolo Lago, a Mergozzo, Verbania

Lo chef Marco Sacco

Il bel giardino del ristorante Piccolo Lago

Sì, anche i ristoratori traslocano in nuovi spazi e ridefiniscono i loro spazi. Giardini lacustri e urbani inclusi. Così Marco Sacco riapre le porte di quella luminosissima “palafitta” che è il Piccolo Lago (di Mergozzo, a Verbania), proponendo due tasting menu, che ingranano una nuova marcia, oppure mettono la retro: “Un Sacco innovativo: i piatti avanti” e “Assaggiate la storia: i piatti indietro". Ma non trascura certo il placido garden pieds dans l’eau. Dove poter trascorrere tutta la giornata en plein air (a partire dalle 10 del mattino), scegliendo fra cinque box-bistrot: quattro salati e uno dolce.


Cenando nella bioserra di Piano35, a Torino

Simone Sacco alla regia del Lounge Bar Piano35

Verde, verde, verde. Anche al Piano35, sulla sommità del grattacielo Intesa San Paolo di Torino. Dove la serra bioclimatica - progettata da Renzo Piano (come tutto il verticalissimo building) - è pronta a ospitare molti tavoli. Regalando ai commensali un habitat sostenibile e una vista spettacolare sulla city sabauda. “Al Piano35 abbiamo pensato a tre percorsi: In Piemonte, un mio omaggio alla grande tradizione culinaria torinese; Giro d’Italia, in cui a farla da padrone sarà la materia prima del Bel Paese; per arrivare infine al menu Piccolo Lago a Torino con i classici stellati del ristorante di Verbania, dal Lingotto del Mergozzo al Flan di Bettelmatt, sino alla Carbonara au Koque”, spiega Marco. Mentre il figlio Simone sta alla miscelazione del lounge bar, alle prese con “I soliti classici” e “Gli insoliti”, corredati da un dinamico “Street Food sopra Torino”.  


Il giardino di Motelombroso, lungo il milanese Naviglio Pavese

Come in un giardino pensile nella Green House di Motelombroso


E lo stesso fanno Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, proprietari della casa cantoniera - al civico 256 - sul Naviglio Pavese di Milano. Una casa rosa, sublimata nel ristorante Motelombroso. Che trasforma il suo giardino in un vero e proprio salotto: sotto gli alberi da frutto o all’ombra del bambuseto. Per sorseggiare un calice di vino, assaggiare i maritozzi salati (della Pasticceria Dolcemascolo di Frosinone) o provare il new menu - decisamente esilarante - dello chef Andrea Zazzara. Rimodulazione di frequenza anche per la Green House, il cuore della location, che tradisce i tavoli in marmo per credere in una table imperiale “specchiata”. Giusto a riprodurre la grande parete a specchi del garden. E a far da divisori? Le installazioni kokedama oriented by Koi Koi, nota griffe di green design. Mentre, dal 16 giugno, le opere di Giorgio Galotti dialogheranno con l’architettura del luogo incarnandosi nella mostra Atomi.  


Federico Beretta e il suo Feel Como alle Serre di Villa del Grumello

E poi c’è chi conquista nuove frontiere. È il caso del Feel Como, l’insegna guidata dalla manager e sommelier Elisa Forlanelli e dallo chef Federico Beretta - uno dei Jeunes Restaurateurs e pure uno Chic - Charming Italian Chef. Che da giugno, e per tutta l’estate, si trasferiscono nelle Serre di Villa del Grumello, buen retiro sulla sponda occidentale del Lario. Una veranda colma di luce e di bellezza, tuffata nei giardini dell’affascinante dimora. Dove assaporare la feel-osophy di Federico, che fa focus sull'habitat lacustre e alpino. Non dimenticando di andar nel bosco e di onorare l’aperitivo… a piedi liberi nel parco. 


Viviana Varese con la sorella Antonella e lo chef Fabio Mazzolini

Il risotto "La Rinascita" by Viviana Varese

Invece, Viviana Varese va in terrazza, a Manerba del Garda, nel Bresciano. In attesa di aprire, a metà giugno, il suo VIVA milanese. Voilà VIVA la Terrazza (sul lago), osteria contemporanea in declinazione temporary, che gode del sodalizio con lo chef Fabio Mazzolini e con Antonella (sister di Viviana), già alle redini di Dalie e Fagioli. Una terrazza democratica, perfetta per stuzzicare a ritmo di cicchetti, ma anche per sperimentare i grandi cult della chef stellata. Fra le proposte? “La Rinascita”, risotto cacio e 7 pepi con limone sfusato amalfitano fermentato; “C’era una volta”, pizza fritta con mozzarella di bufala confit e bavarese di pomodoro; “Insuperabile”, superspaghettino con brodo di pesce affumicato, calamari, vongole e polvere di tarallo; e “Hai mangiato a nonna?”, ziti napoletani con ragù alla genovese, fonduta di pecorino, maggiorana e limone. Fra ironia e maestria. 


Lo chef Giancarlo Perbellini


Nuovi spazi anche per Giancarlo Perbellini. Che apre una parentesi nel cuore di Verona, in quella trattoria moderna che è e sarà (ufficialmente da settembre) il Venti & Trenta. Così, da giugno a fine agosto, nel bel dehors della “futura” insegna (ma vi sono anche una dozzina di coperti all’interno), prende forma il Giancarlo Perbellini Pop Up, atto estivo dello chef bistellato. Un luogo dinamico e contemporaneo, dove assaggiare la “Milanese cotta e cruda” (una ricetta rigorosamente brevettata), nonché tre menu (in formato small, medium e large), pronti a variare tutti i giorni. Per pietanze che non vanno mai in replica. A corredo? Champagne Ruinart e ottimi cocktail, messi a punto dalla maître di sala (di Casa Perbellini, che riaprirà a settembre) Barbara Manoni. Una drink list di eccellenza, messa a punto anche grazie al tandem con Spaccio Spiriti Alimenti & Diversi di Senigallia. Ma non finisce qui. Giancarlo sta anche per sbarcare in Sicilia con la sua Locanda Perbellini al mare. Anzi, praticamente in spiaggia. A Bovo Marina, Montallegro, Agrigento. All’interno del resort Luna Minoica e vicino alla Riserva Naturale Orientata Torre Salsa.



Friedrich Schmuck approda al Varco Venti3


È invece vicino agli scogli della Riserva Marina del Plemmirio che Friedrich Schmuck, dominus del Piano B di Siracusa, presenta il suo piano c. Al Varco Venti3 - Lido del Plemmirio. “Lì c’è un mare incredibile. Perché è una zona ancora selvaggia, fuori dai flussi turistici. Un luogo esclusivo, con tanto di prato, ombrelloni e tanto spazio. Non sarà difficile rispettare le distanze. Porterò le mie pizze. Inizialmente con due impasti. Ci sarà la pizza classica tonda col cornicione pronunciato, e quella sottile e croccante. Alla romana, quella che più mi rappresenta. Tra l’altro preparata con Petra Evolutiva. Ricordo ancora da piccolo le pizze mangiate in macchina, con mio padre al volante, imbottigliati nel traffico di Roma. Ecco, qui vedranno il mare. Ma poi aggiusteremo il tiro, man mano. Anche il mio padellino sarebbe perfetto, magari per l’aperitivo”, annuncia felice Friedi. Che attende tutti al “varco”.


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Cristina Viggè
2020-06-16T14:34:37+02:00

Domenico Fortino a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Domenico Fortino: work in progress

“L’attività è ripresa bene. Sono certo che da tutta questa situazione ne usciremo più forti. Noi indubbiamente siamo carichi. Del resto, quando si tocca il fondo non resta che riemergere e ripartire con forza e con coraggio. Cercando le risorse dentro di noi”. Pensa e agisce in modo ottimista e positivo Domenico Fortino, che col socio Lorenzo Oliva tiene le redini (ormai da sei anni) di WIP - Burger & Pizza, nella salernitana Nocera Inferiore. Accendendo i riflettori sul buono, pulito e giusto. E sostenendo il territorio, valorizzando la filiera e consolidando tradizioni agricole e produttive. In un costante cercare, sperimentare e trovar la via. In un perenne work in progress. Che poi è l’acronimo dell’insegna. “Noi non ci sentiamo mai arrivati, ma sempre in punto di partenza”, ammette Domenico. Orgoglioso di lavorare in un vero e proprio cantiere dei sensi. Una fucina in divenire. Un laboratorio in itinere, in cui gli “operai” costruiscono con passione e pazienza, giorno dopo giorno, il tessuto sociale del sapore. 


Tutto il team di WIP - Burger & Pizza di Nocera Inferiore

Certo. Perché anche il gusto ha la sua trama e il suo ordito. Il suo perché e il suo percome. Le sue fondamenta e la sua architettura. Fatta di campagna, di artigiani e di mani in pasta che creano, miscelando estro e rispetto per la materia. Dando così forma a una carta variegata in cui spiccano le pizze “Irrinunciabili”, inno alla memoria e alla contemporaneità. Voilà “La mia napoletana”, compendio di pomodoro San Marzano, pesto di aglio orsino, polvere di olive nere, origano di montagna e capperi di Salina. Mentre la “Tradizioni” contempla salsiccia rossa di Castelpoto (Presidio Slow Food del Beneventano), fiordilatte d’Agerola, cacioricotta del Cilento (altro Presidio) e pesto di rucola, in una fotografia campana che va dal mare all’entroterra, dalla Penisola Sorrentina al Sannio, dai Monti Lattari sino al Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. E la "Fichi"? Rilegge la classica combo col prosciutto, sposando fichi sciroppati con peperoncini piccanti, burrata pugliese, fiordilatte e agerolese e prosciutto crudo di razza mangalica (il celebre suino lanuto). Il cui ossocollo va a impreziosire la pizza che rende omaggio a un erborinato quale il blue di Jersey, accostato alle nocipesche bianche di Corbara sciroppate.    

La pizza WIP Rivisitata

Terra, terra, terra. Ritratta in pizze tonde al piatto, messe a punto con Petra 3, Special o Petra 9, la “tuttoilgrano” di casa Quaglia. Ed esaltate da un filo d’extravergine biologico. Che completa anche la “WIP Rivisitata”, virtuosa di ricotta, mortadella, pesto e granella di pistacchi, zest di limone e pepe nero in grani. Nonché tutte le altre referenze, pronte a inanellare molti altri must della Campania Felix, come provolone del monaco, alici e colatura di alici di Cetara, pomodorini del piennolo del Vesuvio e friarielli. Che entrano a pieno titolo pure in un panino gourmet, insieme a salsiccia di maialino nero casertano e provola, con corredo di patate di montagna. Pane homemade, of course. Come accade in quello che elegge fra gli highlights la cipolla ramata di Montoro. I cui anelli fritti spiccano nella comfort zone “friggitoria”, cui concorrono anche le polpettine con salsiccia, provola e broccolo aprilatico di Paternopoli (fieramente tutelato come Presidio); le chips fatte in casa e persino l’arancino di mare, preparato secondo il pescato. E per chi ama la carne? Tagliata di rubia gallega, ma pure filetto di manzetta beneventana. Perché sempre in terra natìa si torna. 


WIP - Burger & Pizza di Domenico Fortino e Lorenzo Oliva ha riaperto a Nocera Inferiore (Salerno). Intanto WIP ci propone la ricetta della pizza da fare in casa. Per replicare la "Fichi" o "La mia napoletana".


❓Penseremo a nuovi modi di fare business❓
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Cristina Viggè
2020-06-16T16:57:39+02:00

Nella nuova collection spring-summer 2020 di Alessi, la serie di pentole Edo by Patricia Urquiola si arricchisce di un'asparagiera, corredata di cestello e coperchio. In una fusione di matrici basche, linee nipponiche e savoir-faire latino - Foto di Matteo Imbriani 

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Ripenseremo al nostro modus operandi?

Aziende che riducono il personale. Aziende che si ingrandiscono. Avviando nuovi canali di attività e aprendosi a inedite opportunità. Ma ci sono anche aziende che ripensano e rimodellano il loro modo di operare e di agire. È il caso dell’italianissima Alessi (anno di nascita 1921). I cui soci, in occasione di una recente assemblea straordinaria, hanno deciso per un cambio di statuto, trasformandosi in Società Benefit. Qualifica giuridica - introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 - che fa riferimento a tutte quelle realtà che, pur non rinunciando al loro fare impresa, credono in finalità di beneficio comune, ragionando in modo sostenibile, responsabile e trasparente. Tant’è che ogni anno, parallelamente alla redazione del bilancio economico, una società di questo tipo deve produrre un rendiconto di tal mission, nonché valutare gli impatti complessivi rispetto alla società e all’ambiente. Un modus operandi positivo, solidale e propositivo, che porta a compimento un processo di sviluppo che aveva già garantito ad Alessi nel 2017 (prima tra le fabbriche di design in Italia) la certificazione di B Corporation. A conferma di un business inteso come forza rigeneratrice. Anche per il Pianeta.


Il tempo trascorso a tavola diviene celebrazione. Anche all'aperto: in terrazza o in giardino. Grazie al servizio da tavola Dressed en plein air firmato Marcel Wanders. Che rinnega la plastica optando per materiali resistenti e sostenibili - Foto di Matteo Imbriani

Il perché? È presto detto. Alessi porta (e apporta) arte, cultura e poesia nel processo industriale. Basti pensare che i suoi prodotti sono esposti nelle collezioni permanenti di oltre cinquanta fra i principali musei d’arte contemporanea del mondo. E che negli ultimi dieci anni sono stati avviati oltre 1.200 progetti di ricerca e sviluppo, coinvolgendo designer di vari Paesi. Inoltre Alessi crede nelle persone, offrendo ai dipendenti un virtuoso programma di walfare; e tiene fede pure a un’etica economica, generando un profitto equo e sostenibile, reinvestendo, facendo in modo che la ricchezza possa ricadere su tutto il contesto e perseguendo azioni filantropiche. Non da ultimo l’azienda opera nel rispetto della comunità e dell’ambiente. Optando per materiali riciclabili o di lunga durata e recuperando gli scarti. Nel segno del no waste. 


Dressed en plein air: per apparecchiare su un prato.
Sempre dalla collezione primavera-estate 2020 - Foto di Matteo Imbriani

“Sono già in corso i preparativi per la celebrazione del centenario, ma soprattutto sono in sviluppo nuovi progetti di un rilievo tutto particolare, e conto che anche nella fase di difficoltà economica, sociale e politica che il mondo intero sta attraversando ci consentiranno di iniziare il secondo secolo di vita con la sensibilità, l’intuito e la vivacità che hanno sempre caratterizzato la nostra fabbrica del design italiano”, spiega con ottimismo il patron Alberto Alessi. 


Cristina Viggè
2020-07-01T16:42:37+02:00

Giovanni Santarpia fotografato da Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Giovanni Santarpia: impasti e simpatia

“Inizialmente siamo partiti con il delivery. Poi, abbiamo introdotto l’asporto. E a metà giugno abbiamo riaperto. Ho preferito attendere che fosse tutto a posto. Che le persone si sentissero serene e tranquille. E devo dire che sono contento. La gente inizia a uscire e a venire da noi”, racconta felice Giovanni Santarpia. Che va piano e va sempre lontano. Perché da vero scugnizzo napoletano - come si definisce lui (originario di Castellammare di Stabia) - ama fare le cose con il cuore, il sorriso e la passione. Oltreché una buona dose di determinazione. Necessaria soprattutto ora che se ne sta alla guida di un’insegna che porta orgogliosa il suo nome e il suo cognome. Alle porte della splendida Firenze. Precisamente in via Senese 155/red (ma sul sito sono precisate tutte le indicazioni per raggiungere il locale). “All’interno, al momento, contiamo una quarantina di coperti. Ma abbiamo anche un bel dehors, con una trentina di posti”, continua Giovanni. Fierissimo della sua nuova “casa”. Inaugurata poco prima del lockdown. Della serie, la ripartenza è quasi un’ufficiale partenza.

Giovanni Santarpia: spirito napoletano in Toscana - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Solare, esuberante ed entusiasta Santarpia. Cresciuto “a bottega”, attaccato al bancone di una pizzeria al taglio. Per ammirare, carpire e rubare i trucchi del mestiere. Un autodidatta dalla grande manualità, dall’immensa sensibilità e dall’innegabile identità. “La pizza mi deve rappresentare. Deve avere il mio carattere, esprimere la mia personalità e comunicare i miei sentimenti. Chi mangia la mia pizza, mangia la mia vita”, ripete il saggio Giovanni. Che effettivamente fa una napoletana tutta sua. A doppia lievitazione e con un’idratazione pari al 70%. A tutto vantaggio di leggerezza e digeribilità. Cotta in un forno Valoriani - studiato ad hoc - per un minuto e mezzo a 430-440°C. Insomma, un po’ più lentamente e a una temperatura leggermente inferiore di quella prevista dai diktat della tradizione.

Gli interni della nuova pizzeria, appena fuori Firenze

In carta? Le grandi classiche, ma anche la Margherita Gialla, con pomodorino giallo del piennolo del Vesuvio, provola affumicata del Casolare (casertano caseificio di Alvignano), ricotta salata di pecora e olio extravergine; la Marinara Gialla, complici le acciughe di Cetara, i capperi di Salina, l’aglio, l’origano e le olive di Gaeta; il Panuozzo, prezioso di guanciale di Sauris e peperoncino; la Salsiccia, porri e gorgonzola e la Parmigianella, con cubetti di melanzane fritte. “Friggere non è così semplice. Per esempio devi avere l’accortezza di stare un po’ distante dalla pentola. Altrimenti assorbi tutti gli odori e ti viene a nausea l’intera operazione. Io prediligo l’olio di semi di arachide. E quello di semi di girasole in caso di allergie”, spiega Giovanni, raccontando la sua pizza fritta.  Un vero cult. Specie col lampredotto - di Luca Cai (dell’osteria-tripperia Il Magazzino) - e salsa verde. Per una succulenta combo campana-toscana. “In genere il lampredotto viene servito nel pane tagliato a metà, una rosetta. Tuffata nel brodo caldissimo. Lo stesso in cui è stato cucinato il lampredotto. Ecco, la fragranza della pizza fritta va a sostituire al meglio quel piacevole senso di unto dato dal brodo. Regalando la spugnosità perfetta”.


Giovanni Santarpia intento in una preparazione

E la trippa? Eccola pure lei, preparata con il pomodoro “tirato” ben bene e poi inserita in un arancino. Per un’altra inedita crasi siciliana-fiorentina. Non dimenticando la mozzarella in carrozza; le montanarine; il sauté di molluschi e crostacei accompagnato dal pane fatto in casa; e gli scialatielli del pescatore. Una proposta coerente e sapiente. Sostenibile. Popolare. Democratica. Che non si distrae, restando concentrata sulla materia, sul pane, sul pomodoro, sulle interiora, su Firenze, sulla Campania e sulla mediterraneità. Il tutto servito su una tavola vivace, virtuosa di un’apparecchiatura easy e smart, grazie a tovagliette in carta riciclata e riciclabile. 


L'allegria napoletana - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Prossimamente mi piacerebbe proporre anche il mio pane, svuotato della mollica e ripieno. Ossia bagnato con il sugo. Magari intriso di ragù, come faceva mia mamma. Oppure colmo di salsiccia e broccoli, di genovese, di polpette, di spezzatino, di peposo toscano. Insomma, quello che noi chiamiamo cuzzetiello. Un caposaldo dello street food partenopeo. Sì, mi piace presentare sempre qualcosa di allegro, dinamico e divertente”, commenta Giovanni. Che adora indossare divise colorate, ironiche e sgargianti.  


La pizzeria Giovanni Santarpia ha riaperto a Firenze. Intanto Giovanni ci propone la ricetta della sua montanarina con cipolla, burrata, gambero crudo e feste di limone.


❓Quanto è importante l’energia dell’allegria❓
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Cristina Viggè
2020-07-02T12:28:14+02:00

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

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La gioia salverà il mondo?

“Allegria!”, ripeteva Mike Bongiorno. “Il riso fa buon sangue”, recita un antico adagio. Indubbiamente ridere fa bene pure alla mente, allo spirito e al cuore. Certo. Ottimismo e positività incoraggiano la speranza e la ripartenza. Quindi? Via libera al colore, alla gioia e all'euforia. Perché la sostenibilità passa anche attraverso la felicità. Un think positive che ha contagiato il birrificio Baladin. Che, nel nome della rinascita, ha disegnato una serie limitata di etichette iper allegre, esuberanti, sgargianti ed eccentriche. Pronte a vestire esclusivamente duemila bottiglie (da 33 cl) delle sei icone della griffe agricola di Piozzo. Una collection super pop, battezzata Flower Power, nel segno di peace & love e della cultura geek. Grazie alla mano e al timbro creativo di Alessio, alias Islaz. 


La collection Flower Power by Baladin

Ecco allora la Isaac, che sfoggia le margherite, il dirigibile Zeppelin (Alessio mentre creava stava ascoltando i Led Zeppelin) e l’astronave Tardis, con cui viaggia nel tempo il celebre protagonista della serie britannica Doctor Who. Blu oceano, pesci e fondali abissali, invece, per la Wayan. A ricordare le illusioni ottiche di Maurits Cornelis Escher e a rammentare che lei sta benissimo con i frutti di mare. E la Nora? Accoglie la piramide di Cheope, la Sfinge, l’occhio vigile di Horus e i seducenti fregi mediorientali. 


La birra Isaac indossa un abito-inno alla gioia

Intanto, la giungla avvolge la Leön, fra scimmiette, serpenti, farfalle e fiori che escono dalla bocca del re della foresta. Che ha sull’occhio il lampo-firma di Ziggy Stardust (l’alter ego di David Bowie). Mentre Superman svolazza sulla Super Bitter e le tematiche anni Cinquanta allagano la Rock’n’Roll. Dove spicca un vinile intitolato a Johnny B. Goode by Chuck Berry.


La Wayan a tema marino

Gigli, garofani, ulivi, limoni di Sorrento. E ancora, farfalle e libellule, pavoni e fenicotteri rosa. Mentre un leopardo sfila tra la fitta vegetazione e una conchiglia magicamente si apre. Evocando la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. E sulla retroetichetta? Una colonna rende onore ad Andrea Palladio e un cavallo alato pare zampillare direttamente dalla capitolina e tardo barocca Fontana di Trevi. È un vero omaggio all’arte, all’architettura e alla grande bellezza italiane la nuova e special edition Paradise dello spumante Brut Rosé di Valdo, sintesi tutta made in Italy di glera (il vitigno del veneto Prosecco) e nerello mascalese (un siciliano autentico, coltivato alle pendici dell’Etna). Della serie, nord e sud, flora e fauna, memoria e modernità per un vestito Meraviglioso. Come canterebbe Domenico Modugno. 


La special edition Paradise dello spumante Brut Rosé by Valdo

A creare l’abito? La raffinata designer statunitense Ceci Johnson, fondatrice dell’atelier Ceci New York. “Ogni opera artistica assume un significato particolare a seconda dello spirito del tempo e del pubblico a cui si rivolge. Il Paradiso che ho creato per Valdo è un luogo ideale che tutti possiamo trovare mentre superiamo la recente crisi globale: per alcuni può significare vivere senza paura od odio, per altri vuol dire semplicemente passare momenti spensierati con i propri amici e affetti. Valdo Paradise è uno spumante che vuole unire”, spiega Ceci. Inoltre, per la gioia del Pianeta, anche secchielli e spumantiere paradisiache sono in materiale ecosostenibile. Recuperato dagli scarti della lavorazione del legno. 



Cristina Viggè
2020-07-08T17:14:33+02:00

Grazia Mazzali a Identità Golose 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Grazia Mazzali e i dolci aromatici e fioriti

“La ripresa è piuttosto lenta. Ma il bello è che ho scoperto valori e ritmi diversi. E poi ho conquistato clienti nuovi. Certo. Lo spazio all’aperto mi ha avvicinata a tutte quelle persone che amano far colazione o merenda all’aperto. Infatti ho un bel dehors, in cui posso ospitare fino a quaranta persone. A questo punto mi auguro solo che l’estate duri fino a ottobre”, racconta serena Grazia Mazzali, patronesse e pastry chef della dolce realtà che porta il suo cognome. In quel di Governolo, mantovanissima frazione di Roncoferraro. Una pasticceria di lunga data, fondata da papà Alfio nel lontano 1957 e passata nelle mani della figlia solo più tardi. Sì, non subito. Visto il diploma magistrale di Grazia e l’iniziale carriera da insegnante. Poi, il ritorno “a casa” e nella bella bottega non lontana dal Mincio. E neppure dal Po. Il Grande Fiume. Da cui pesca - in stagione - i tartufi. Per creare la Pepita del Po: un panettoncino in vasocottura, in versione salata. Perfetta per accompagnare salumi, salmone e formaggi di capra o di pecora.

La torta Margherita - Foto di Thorsten Stobbe

E se anche la sbrisolona non teme la declinazione al parmigiano reggiano - ideale da spezzettare e accompagnare a un aperitivo - Grazia non tradisce la dolcezza. Il che si traduce in una deliziosa torta al cioccolato al latte e passion fruit (complice un biscotto alle mandorle); in una cheesecake all’albicocca in tre texture (fresca, semi candita e gelée); in una torta in equilibrio fra pesche bianche e scura salsa fondente montata; e in un’altra ancora allo yogurt e more di gelso. “Ma devo migliorarne la lucentezza. Anche se l’opacità a dire il vero non mi dispiace”, puntualizza la meticolosa e caparbia Mazzali. Che intanto prepara i Semotti - biscotti cui concorrono farina integrale e Bonsemì -, nonché un soffice bauletto agli agrumi. “Si chiama Buon Mattino e per lui uso la farina Petra Panettone. Quel che risulta è un lievitato in bilico fra una veneziana e un pandoro, con una fragrante crosticina alle nocciole”.

La torta Viola, con yogurt e mirtilli - Foto di Studio84

La Millefoglie - Foto di Studio 84

La torta Perle e Rubini - Foto di Studio84

Ma la vera novità è una collection dallo spirito innegabilmente femminile, ma imprescindibilmente bucolico, arcadico, idilliaco e sostenibile. Quasi panteistico. Nel senso che tiene fede al tutto, alla natura e alle sue poliedriche potenzialità. “Ho messo a punto due nuove linee di mignon. I Fioriti e gli Aromatici. Posso partire da una base dolce, che poi vado a tagliare a quadrotti da 3 x 3 centimetri. Oppure posso preparare singolarmente i diversi pezzi, utilizzando un pan di spagna, un frollino, un biscotto croccante. Io adoro masticare. Anche quando si tratta di un pasticcino”, spiega Grazia. Che nell’iter di lavorazione prevede pure fiori freschi - come la rosa - e infusi di erbe. “A freddo però, altrimenti con il caldo le erbe aromatiche si rovinano”.

Mignon al cioccolato, mora e menta

Ecco allora inedite sinergie fra albicocca e lavanda; cioccolato, mora e menta; basilico e limone; crema di latte al rosmarino e fragole; salvia e litchi. “Uso cinque tipi di salvia, provenienti dall’Alto Adige”, commenta fiera la pasticceria. “Sto già pensando a una combo fra bergamotto e gelsomino. E mi piacerebbe fare qualcosa con le violette. Ma ormai la stagione è passata”. Ovvio. Si tratta infatti di una compilation strettamente legata al momento e al carpe diem. Così come spesso legato alla stagionalità è il gelato. Soprattutto in taluni gusti. Come quello alla pesca gialla veronese o alle bacche di sambuco. “Faccio una ventina di gusti. Alcuni più classici. Altri più creativi. Latte e menta per esempio. Ma pure zenzero e curcuma”, racconta Grazia. Che recentemente ha fatto cuocere le amarene e le ha messe in una pochette da passeggio. Ottime per impreziosire un gelato alla crema o una fetta di torta. “Le amarene conferiscono una freschezza assoluta”. E danno pure un tocco di charme. 


La Pasticceria Mazzali di Grazia Mazzali ha riaperto a Governolo (Mantova).


❓In che modo potremo sentirci parte della natura❓
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Cristina Viggè
2020-07-09T10:11:52+02:00

L'orto del SanBrite, agricucina a Cortina

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Ci riconcilieremo con la natura?

Un castagno può insegnare. La saggezza, la pazienza, la temperanza, la serena resilienza. La quiete e la forza. L’innata empatia con la storia, con le stagioni, con l’ecosistema. Un castagno primordiale può celebrare la riconciliazione con la natura. Un castagno più diventare protagonista di un tessuto narrativo in cui si intrecciano aneddoti, curiosità, ricette, riflessioni, riti e ricordi. Come accade in Suite per un castagno, il nuovo libro di Raethia Corsini, pubblicato da Guido Tommasi Editore ed entrato ufficialmente nella rosa dei sei finalisti del Premio Bancarella della Cucina 2020.

Il castagno, fra metafora e realtà nel nuovo libro di Raethia Corsini

"Il castagno è una pianta che ha sfamato l'umanità e l’autrice è stata capace, grazie a un’originale mescolanza di generi e di linguaggi, di mettere in risalto non solo la sua storia, ma anche quella del cibo come elemento trasversale che unisce i popoli nel tempo. La giuria ha riconosciuto il merito dell'opera, come anche il valore di tutta la linea editoriale di Guido Tommasi Editore. Si tratta inoltre di un libro capace di rappresentare più che mai il nostro territorio e, in senso più ampio, il valore della cultura gastronomica italiana, fondata sul rapporto intenso con la natura che ci circonda”, spiega Gianni Tarantola, presidente della Fondazione Città del Libro. Che, insieme all’Unione Librai Pontremolesi e all’Unione Librai delle Bancarelle, organizza il premio, giunto alla sua 15esima edizione. Dove spicca un volume che, come in una composizione musicale a più tempi e in più stili, divaga tra radici e rami, trovando un nesso fra terra e cielo.  

Fra i sei finalisti del Premio Bancarella della Cucina 2020

“Ho scritto un libro (all’)imperfetto per grandi e piccini di ogni età. Ideale da leggere a voce alta, come le favole, intorno a un simbolico focolare, per regalarsi una manciata di tempo sospeso tra la storia e la fantasia, tradizioni perdute e nuovi orizzonti, tra coscienza ecologica e riflessioni esistenziali contemporanee, così come possono scaturire dalla mente di una bambina”, spiega la scrittrice e giornalista: nata a Milano e cresciuta sull’Appennino Tosco-Emiliano. Ma attenzione. “Non è un racconto nostalgico del tempo che fu. Non è un racconto sul mito del vivere nella natura né tanto meno in montagna. Volevo parlare, ripescando pensieri e parole bambine, del rapporto con un albero, simbolo stesso di vita, certamente un mentore della mia infanzia che si è radicato più di quant’io stessa sospettassi. Così ne è emerso un racconto che, con pensieri e parole bambine, ci riconduce al cuore dell’esistenza di ogni animale: siamo imprescindibilmente parte di un tutto”, commenta Raethia. Tracciando le linee di un moderno panteismo.

Pranzo nell'orto del SanBrite, a Cortina d'Ampezzo, grazie alla proposta del Faloria - Foto courtesy SanBrite


L'agricucina di Riccardo Gaspari - Foto courtesy SanBrite

Dalla terra alla tavola nell'orto del SanBrite, una delle proposte del Faloria - Foto courtesy SanBrite

Il Faloria Mountain Spa Resort di Cortina d'Ampezzo

Lo chef Riccardo Gaspari e la sua Brite Mobile - Foto courtesy SanBrite

In bilico fra rocce e cielo con la Brite Mobile, una delle proposte firmate Faloria - Foto courtesy SanBrite

E in un VentiVenti sospeso nel tempo, molte sono le realtà che propongono emozionali experience a contatto diretto con la natura. Per sentirsi parte della natura. A Cortina d’Ampezzo, il Faloria Mountain Spa Resort, oltre ad aver risintonizzato l’albergo sulle frequenze della sicurezza, dell’esclusività e della massima personalizzazione, propone un iper green “Pranzo nell’orto” a tu per tu con lo chef Riccardo Gaspari, nell’incanto verde del SanBrite, assaporando pietanze che sanno andare dalla terra al piatto. E che sanno scalare persino le montagne. Certo, grazie alla cucina itinerante Brite Mobile, Riccardo sposta e dispensa il suo saper fare anche in mezzo a un bosco, in riva a un ruscello e persino in vetta, fra rocce e infinito. Invitando a scoprire i sapori agricoli e dolomitici, in combinata con vini biologici. Per un tuffo into the wild. E per chi ama l’assoluta privacy, il resort concede la possibilità di privatizzare - per l’intero soggiorno - le alcove a bordo piscina. Per un intimo sguardo sul Monte Faloria.

La Solitaire: la full immersion nella natura targata Auberge de La Maison di Courmayeur

Le delizie giungono in una cesta, attraverso corde e carrucola

Con La Solitaire si assapora nel silenzio della natura


Intanto? A Courmayeur (o meglio nel villaggio di Entrèves), l’Auberge de La Maison lancia Le Solitaire: una tavola in solitaria ai piedi del Bianco. Per un pranzo, una cena, un aperitivo o una degustazione nell’assoluto silenzio. “Abbiamo immaginato un atto poetico alpino e ci è venuta in mente una tavola apparecchiata per bene, immersa nei prati con vista Monte Bianco, che circondano la nostra casa. E poi la sorpresa, una carrucola alpina, come mezzo per servire quella tavola, un cesto con i sapori più sinceri della nostra cucina e dei nostri vitigni. Il sostegno della carrucola è stato studiato per noi, dalla Società Guide Alpine di Courmayeur, la più antica d’Italia, reinterpretando per un’esperienza di sapore i tecnicismi delle corde di arrampicata. Una tavola nella natura come sala da pranzo, una carrucola come servizio: non è forse questo un atto poetico?”, racconta la patronesse Alessandra Garin.

La Sicilia contemporanea di Ammare, a Sampieri

Il gruppo di Ammare in spiaggia, con lo chef Beppe Barone e Stefania Lattuca

Un tuffo nel Mediterraneo da Ammare

Montagna, ma anche mare. Anzi, Ammare, summer spin-off tutto siciliano del ristorante Terrammare di Milano (che intanto ha riaperto), inaugurato sul finir dello scorso anno nel cuore dell’urbe lombarda. Un temporary restaurant immerso nell’azzurro, posizionato com’è direttamente sulla spiaggia di Sampieri, fascinoso borgo marinaro in quel di Scicli, in provincia di Ragusa. Segni particolari? Il suo essere indissolubilmente ancorato all’acqua. Da design alle pietanze, passando per i piatti in vetro trasparente. Realizzati da Alessandro Di Rosa nel suo lab Thalass di Modica. Mentre le tovagliette azzurre rammentano le onde e la struttura, messa a punto con assi bianche, rievoca un’imbarcazione. 


Il pesce è servito. Nei piatti griffati Thalass

Alla regia? Un gruppo vincente e volitivo, capitanato da Beppe Barone e Stefania Lattuca, già alla conduzione della modicana Fattoria delle Torri e della nuova insegna “meneghina”. E ora fieri di fare un tuffo ammare, lungo il sabbioso litorale che va da via Miramare sino a Punta Pisciotto, ove si trova quel che resta della Fornace Penna: una vera cattedrale laica sul mare, meglio nota come La Mànnara nella saga del Commissario Montalbano.

Il dream team di Ammare, capitanato da Beppe Barone e Stefania Lattuca

Fra le vivande, il Girotonno, girandola di tonno in foggia di tartare, tataki e sashimi; la pasta con le sarde; gli spaghettoni ai ricci di mare; il baccalà con seppie e patate; e la surra di tonno e caponata, ossia quella che, in vernacolo locale, fa riferimento alla saporitissima ventresca. Per ascoltare e respirare l’onda lunga del Mediterraneo. 



Cristina Viggè
2020-07-12T18:05:35+02:00

Mirko Petracci nel nuovo giardino de La Scaletta, ad Ascoli Piceno

Mirko Petracci: osmosi ambientale e sociale

“Tutto ha avuto inizio con la Margherita 3.0. Studiata insieme allo chef Davide Camaioni del ristorante PostoNuovo di San Benedetto del Tronto. In genere, a maggio, organizziamo un evento: Pizza and the City. Ma visto il lockdown abbiamo pensato di proporne la versione a domicilio. Con corredo di incontro virtuale su Zoom. E con La Box esperienziale firmata da Laura Di Pietrantonio, che conteneva tante eccellenze. Come la Passerina Brut di Velenosi, la ventricina dei Salumi Fracassa, l’Anisetta Meletti e persino una playlist musicale. E naturalmente non mancavano il mio impasto Gran’Aria e i topping messi a punto dallo chef. Fra cui la rilettura del grande cult nazional popolare. Un’interpretazione che oggi è entrata ufficialmente nella mia Carta delle Margherite” racconta Mirko Petracci. Che, con i fratelli Piero e Romolo, porta avanti la pizzeria di famiglia: La Scaletta, in quel di Ascoli Piceno.

Mirko Petracci presenta la sua Mama non m'ama

Un’insegna in movimento e in fermento. Che questa estate vede sbocciare tante novità. Come la collection delle Margherite. “La Margherita è una pizza decisamente estiva. E mi piaceva l’idea di giocare sui tre elementi, pomodoro, formaggio e basilico, concentrandomi sulle diverse cotture, sulle differenti temperature e sulle variazioni di consistenze”. Ecco allora la Margherita 3.0, con salsa di pomodoro di Pachino al lardo e cipolla, scaglie di formaggio di fossa e gel di basilico; la Margherita 2.0, con il pomodoro pera d’Abruzzo (Presidio Slow Food), stracciatella di burrata ed emulsione di basilico fresco; la Mama non m’ama, con polvere di pomodoro, mousse di bufala e petali di basilico fritto; nonché la Marghedina, con pomodoro in porchetta, cremoso al latte e polvere di basilico. Non dimenticando la declinazione più iconica col fiordilatte e l'upgrade con la mozzarella di bufala campana. Il tutto da abbinare all’impasto tradizionale, oppure a quello brevettato da Mirko: Gran’Aria. Ad altissima idratazione. Ottenuto partendo da tre prefermenti. Della serie, farina Unica per il rinfresco del lievito madre liquido (licoli); Petra 1 per la biga e la “tuttograno” Petra 9 per il poolish. Un impasto che pare un soffio. Un impasto che respira. E che regala un morso in equilibrio fra levità e croccantezza.

La Marghedina fa parte della nuova Carta delle Margherite

Il nuovo spazio esterno dell'insegna ascolana

La Marghedina, sfornata anche all'evento di inaugurazione del menu estivo

Un rigoglioso giardino delle Margherite. Da scoprire accomodandosi in uno scenografico garden. Certo. Perché La Scaletta si è allargata ed è uscita allo scoperto. “All’esterno contiamo ben 270 metri quadrati di spazi. Grazie alla gentil concessione del parcheggio condominiale, trasformato in cortile, e di una parte del parco pubblico. Ho arredato tutto con tavoli in legno e e affidato l'illuminazione a La_it Luce, di Ascoli. Volevo fare qualcosa in grado di sorprendere. Ma non pensavo potesse venire così bene. Ora, fra dentro e fuori, vantiamo circa 180 coperti. E tutto sta andando oltre le aspettative. Persino molto meglio del pre-Covid”, precisa Mirko. Che non solo ha dato vita a un giardino delle meraviglie, ma ha pure reso meravigliosa una zona del parco cittadino un po' trascurata e lasciata in ombra. Riqualificando un’area urbana. “E stiamo già ragionando sul futuro”, continua Petracci. “Il sindaco è rimasto piacevolmente stupito di come abbiamo ordinato e messo in luce questa parte di Ascoli”.

La Parmigiana: salsa di pomodoro cotto, battuto di melanzana stufata, cialda di grana padano e basilico fritto
 

La Rosa d'Amare

La Passeggio al Tramonto

Un’oasi dove poter assaporare anche pizze gourmet. Sei rigorosamente stagionali, e due insostituibili ed evergreen. Come l’Amatriciana, con salsa di pomodoro San Marzano bio, cipolle bianche, guanciale (da maiali allevati allo stato semibrado), pecorino romano e pepe fresco. “Per le altre mi sono confrontato sempre con Damiano. Che mi ha dato una mano sugli accostamenti. Alcune infatti sono la rilettura di pizze che avevo già, ma che ho voluto rivedere un po’. Altre sono proprio inedite”, continua Mirko. Orgoglioso della Re Peperone, con crema di peperoni rossi e gialli, pancetta croccante, stracciatella e granella di nocciole; della Passeggio al Tramonto, preziosa di mousse di ricotta e gorgonzola, fiori di zucca e concassé di pomodori aromatizzati al timo; e della Che Fico che sono. “Prima la facevo con i fichi freschi. Però non si riuscivano ad avere per tutta la stagione. Così ho pensato a una confettura di fichi e germogli”, puntualizza l’artigiano. Che completa l’opera con il prosciutto crudo stagionato 19 mesi by Fracassa e con la stracciatella di burrata. Non trascurando un’assoluta new entry: la Rosa d’aMare. Con calamari della Patagonia cotti a bassa temperatura e conditi con lime e pepe di Sichuan, vellutata di zucchine e spicchi di ravanelli in agrodolce con aceto di lampone.

Le pagnotte preparate con Petra Evolutiva

Il professor Salvatore Ceccarelli

Il pane con Petra Evolutiva di Mirko Petracci

“Inoltre, durante il lockdown, ho cominciato a fare il pane. Con la farina Petra Evolutiva. Sarà il mio pane. Lo venderò in pizzeria”, prosegue Mirko. Che, fra gli ospiti dell’evento di inaugurazione del menu estivo, ha voluto il professor Salvatore Ceccarelli (abitante, fra l’altro, in Ascoli), il grande teorico e tecnico dei miscugli e delle popolazioni evolutive in agricoltura. “Sì, verso febbraio vorrei rinnovare gli spazi del locale. Abbiamo vinto un bando della Regione Marche e non ci poteva capitare miglior situazione finanziaria. Ma non voglio fare solo il restyling degli interni. Ma dar forma al mio concetto di pizzeria tout court. Eliminando i fritti dalle entrée per far focus solo sui lievitati, dall’inizio alla fine. Dai grissini al pane, sino alle pizze. Mi piacerebbe emergere come pizzaiolo che ha saputo fare ricerca nel settore della lievitazione”, afferma Petracci. Che, oltre alla Gran’Aria, vuol dar fiato a molte altre idee. Spesso ancorate ai concetti di sostenibilità e solidarietà.

Illuminato ad hoc, il giardino de La Scaletta va a riqualificare un'area del parco urbano

Sostenibilità economica. E ambientale. “Anche quest’anno, in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, vogliamo contribuire alla piantumazione delle piante sia nel parco sia in collina. È il nostro ringraziamento alla natura. Il nostro modo per compensare la legna utilizzata per il forno”, confessa Mirko. Solidale anche con la cittadinanza. “Inizieremo una collaborazione con la Bottega del Terzo Settore, spin-off della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Vogliamo coinvolgere le associazioni del territorio e concorrere concretamente a progetti comunitari. Il tessuto urbano è fondamentale. Anzi, è la nuova frontiera del cibo. Basti pensare a una cosa. Negli anni Cinquanta il cibo non c’era. Poi è venuto il tempo delle grandi abbuffate. Oggi il cibo è diventato esperienza. E porta con sé un forte messaggio sociale”. 


La pizzeria La Scaletta di Mirko Petracci ha riaperto ad Ascoli Piceno.


❓Sapremo dar voce a sostenibili messaggi sociali❓
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Cristina Viggè
2020-07-13T16:53:01+02:00

L'Andana, a Castiglione della Pescaia

Leggi l'articolo su torinoday.it

Welfare new style?

In piena emergenza, la prima a lanciare l’iniziativa è stata la famiglia Costa, titolare dell’albergo Posta Marcucci di Bagno Vignoni. Nel cuore della Val d’Orcia, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Mission? Donare un soggiorno gratuito a tutti gli operatori impegnati in prima linea nella lotta contro il Covid. Un modo per ringraziare medici, infermieri e rianimatori dei reparti di terapia intensiva. Esprimendo ammirazione, devozione e comprensione per il gran lavoro svolto con coraggio, sapienza e resilienza. Ma anche un modo per allargare concretamente le braccia, riconoscendo l’umanità come patrimonio. Da tutelare e valorizzare.

Gli alberghi aderenti a La vacanza che verrà

Un gesto solidale, d’accoglienza e gratitudine, presto emulato da altre grandi famiglie dell’hôtellerie italiana. Da nord a sud. Pronte a rispondere all’adagio: La cura siamo anche noi. E pronte ad offrire La vacanza che verrà. Un messaggio colmo di speranza, tradotto in un soggiorno di una o due notti, dalla domenica al giovedì, fino a novembre 2020, escluso il periodo che va dal 13 al 26 agosto. Ecco allora farsi avanti di nuovo la famiglia Costa con l’Hotel La Perla di Corvara (Bolzano); la famiglia Sciò con Il Pellicano di Porto Ercole (Grosseto); la famiglia Melpignano con Borgo Egnazia, in quel di Savelletri di Fasano (Brindisi); la famiglia Gualandi con l’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo (Belluno); le famiglie Varese, Rossi e Bertolini con l’Hotel Royal Sanremo (Imperia); la famiglia Moretti con L’Andana di Castiglione della Pescaia (Grosseto) e L’Albereta di Erbusco (Brescia); e la famiglia Madonna con l’Hotel Byron di Forte dei Marmi e il Plaza e de Russie di Viareggio (Lucca).

L'Hotel La Perla di Corvara


La Stüa de Michil, il ristorante stellato dell'Hotel La Perla

Lista che si è recentemente arricchita di altri sostenitori. Altre icone dell’alta ospitalità italiana. Voilà il Palazzo Seneca di Norcia (Perugia); l’Hotel Esplanade Tergesteo di Montegrotto Terme (Padova); il Portrait Firenze by Lungarno Collection; il Castello Dal Pozzo di Oleggio Castello (Novara, non lontano dal Lago Maggiore); nonché il Principe di Savoia di Milano e l'Hotel Eden di Roma, due proprietà firmate Dorchester Collection.

L'Albereta di Erbusco, in Franciacorta


La verde accoglienza dell'Andana, in Maremma

In Puglia, a Borgo Egnazia

Intanto? Martedì 14 luglio, i vertici del Policlinico San Matteo di Pavia ringraziano con un brindisi corale gli oltre mille dipendenti che si sono distinti durante la pandemia (con la consapevolezza che l’emergenza non sia ancora finita). A sostenere la celebrazione? Una delle cantine simbolo del territorio: La Versa. “Abbiamo immediatamente risposto affermativamente all’invito del presidente e del direttore generale del San Matteo perché riteniamo quanto fatto dai medici un qualcosa di straordinario. Impensabile soltanto qualche mese fa. Proprio per questo ci siamo subito messi a disposizione fornendo i nostri spumanti per il brindisi di martedì pomeriggio. Per noi è motivo di orgoglio essere al fianco di una così illustre realtà, ma lo è ancor di più perché abbiamo la possibilità di ringraziare con un bicchiere di bollicine tutti quegli eroi che nelle corsie hanno salvato migliaia di vite da un terribile virus che ha sconvolto la nostra vita”, afferma Andrea Giorgi, presidente di La Versa e Terre d’Oltrepò.

Brindisi firmato La Versa al Policlinico San Matteo di Pavia

Non solo. Per l’occasione è stata realizzata un’etichetta ad hoc, con l’hashtag #allasalute. Lo stesso utilizzato dalla cantina anche per la raccolta fondi a favore dell’ospedale nei mesi di marzo e aprile. “Doneremo a ogni reparto del Policlinico una magnum Testarossa 2015 con etichetta personalizzata e forniremo per il brindisi, oltre alle bottiglie singole, anche due grandi matusalem, due preziose testimonianze della nostra storia che vogliamo condividere con tutto lo staff di un’ospedale che, ancora una volta, si è dimostrato un’eccellenza sanitaria a livello nazionale e un orgoglio tutto pavese”, continua Giorgi. Anche questo è welfare. 



Cristina Viggè
2020-07-20T09:21:09+02:00

Una pizza lungo il Brenta, a Bassano del Grappa

Massimo, Michele e la premiata fabbrica sul fiume

“Il tutto sta ricominciando. Piano piano stiamo riprendendo i nostri ritmi di sempre. Certo, si va a giorni alterni. Ma noi ci mettiamo forza e coraggio”, racconta felice Michele Colpo, il regista degli impasti della Premiata Fabbrica Pizza, nella vicentina Bassano del Grappa. Laddove prima vi era una premiata fabbrica di ceramiche. Precisamente all’incipit - provenendo da Borgo Angarano - di quel Ponte degli Alpini conosciuto anche come Ponte Vecchio e divenuto monumento nazionale. Una pizzeria su tre livelli. Una casa sul fiume Brenta. Una fucina in costante fermento. Perché Massimo e Michele non si fermano mai.

Massimo Frighetto, patron della Premiata Fabbrica Pizza - Foto di Thorsten Stobbe


Michele Colpo al Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

E men che meno si sono fermati durante il lockdown. Quando hanno proposto le consegne a domicilio. Collaborando anche con un’insegna-amica: L’Osteria della Tana di Asiago, guidata da Alessandro Dal Degan ed Enrico Maglio. Certo. Le basi delle pizze del delivery portavano la firma della Premiata Fabbrica, mentre i topping celebravano l’estro dello chef stellato dell’Altopiano (che naturalmente tiene le redini della Tana Gourmet). “Ora invece siamo aperti sette su sette, sia a pranzo che a cena. Eccetto il giovedì. Ma l’asporto è attivo sempre, tutta la settimana. Anzi. Abbiamo ampliato la proposta e continueremo ad ampliarla”, precisa Colpo. Che per il takeaway ha introdotto persino l’impasto contemporaneo: confezionato sottovuoto in atmosfera modificata e pronto per essere portato a casa, rigenerato e completato con gli ingredienti prediletti. Senza dimenticare il pane: con il lievito madre - dalla maturazione ancora più lunga - e senza lievito aggiunto. In foggia di pagnotte e di baguette. Con Petra 1 e farine di antichi grani siciliani. “Per ora lo sforniamo il mercoledì, il sabato e la domenica. Ma il nostro obiettivo è quello di farlo tutti i giorni”, continua il pizzaiolo. Che presenta pure il pane già tagliato a fette. Per la massima efficienza e per un’assoluta praticità. Nel nome della sostenibilità.

La Bresaola su impasto contemporaneo all'orzo

La Burrata, Cotto & Olive su impasto contemporaneo con farro, segale e avena

La Camomilla, Crudo & Tre Fichi su impasto contemporaneo con Petra Evolutiva e camomilla

Non spreco. Concetto a cui Michele e Massimo tengono moltissimo. “Per tutti gli impasti, tranne quello della pizza tonda a fermentazione spontanea, recuperiamo l’acqua di governo del lievito madre. Quella dove lui sta a mollo. La filtriamo e la usiamo”, precisa Colpo. Fierissimo della sua pizza in pala e del suo impasto contemporaneo. Che spicca in carta, incontrando ben cinque varianti sul tema. Ecco allora quello con farro, segale e avena; quello all’orzo; quello al mais; quello alla semola rimacinata di grano duro; e uno speciale con camomilla e Petra Evolutiva. Della serie, un impasto quieto e tranquillo. Che Michele mette a punto partendo da un prefermento, realizzato col kombucha di camomilla. Per poi aggiungere Petra Evolutiva, farina dai delicati sentori floreali, che ricordano il profumo della nota pianta dalle calmanti virtù. Impasto finale prezioso pure dei fiori essiccati di camomilla e di un 40% di estratto liquido degli stessi fiori. Al topping? Mozzarella, prosciutto di Parma 24 mesi by Ghirardi Onesto (maison di Langhirano); spuma di ricotta di capra del Caseificio Castellan Urbano di Rosà (Vicenza); e fichi in tre varianti: in salamoia, essiccati, nonché passati in forno a bassa temperatura (a 120°C per un’ora e mezza) e trasformati in salsa. Quasi a emulare il pomodoro. “Ho preso ispirazione dal pelato di kiwi di Renato Bosco”, spiega Michele. Che posiziona la salsina a ciuffetti sulla pizza. Per impreziosire, senza eccedere.

La Melanzane & Trentingrana su impasto contemporaneo con farro, segale e avena
 

La Zucchine & Grillo su impasto contemporaneo al mais

La Porchetta & Peperoni su impasto contemporaneo con farro, segale e avena

E sempre figli dell’impasto contemporaneo sono pure la Altopiano di Asiago, con Asiago stravecchio (un Presidio Slow Food, firmato dalla Fattoria Cortese di Conco) e speck dolcemente affumicato dei Colli Berici; la Melanzane & Trentingrana; la Vegana, summa di crema di cipolle, piselli freschi, scarola, fragole fermentate ed erbe aromatiche; e la Zucchine & Grillo, compendio di pomodoro giallo in salsa dell’azienda agricola salentina (di Ugento) iContadini, mozzarella, Grillo di Colmajor (formaggio molle da latte vaccino e dalla crosta fiorita), zucchine, buccia e polvere di pomodoro. “Sempre nell’ottica dello zero waste, recuperiamo tutti gli scarti delle verdure. Abbiamo fatto un crostino, chiamandolo Benvenuto in Italia e utilizzando polvere verde di sedano, polvere bianca di asparagi locali e polvere rossa di pomodoro. E ne abbiamo fatto un altro intitolato Benvenuto a Bassano. Tutto giallorosso. Creando il giallo con polvere di asparago bianco, polvere di carota e curcuma”, precisa Michele.

Il Benvenuto a Bassano

Il Crostone


Il Pane Cristallo, ossia la fragranza e l'evanescenza

Il pane della Premiata Fabbrica Pizza

Crostini. Ma anche crostoni. “Vanno a riprendere, in maniera moderna, quei pani da toast serviti un tempo nelle pizzerie: a tre strati, intervallati dal pomodoro”. Crostoni modernissimi e saporitissimi, con pomodoro Gustarosso, mozzarella, Trentingrana di 32 mesi e basilico. Affiancati anche da pizzette (da 100 grammi) e panzerotti al forno con erbe cotte e salsiccia. Pensati per chi non abbia una gran fame, ma comunque voglia di stuzzicare. A cui si va ad aggiungere il Cristallo di Pane, diamantina rilettura di quel pa de vidre firmato Albert Adrià. Un crystal bread che prende forma da una sapiente miscela di acqua, fecola di patate e radice di kuzu, regalando una texture evanescente e al contempo croccante. Proposto come entrée, complici burrata, pomodoro confit e "ombretto" di pomodoro.

La Premiata Fabbrica Pizza di Massimo Frighetto ha riaperto a Bassano del Grappa (Vicenza). Intanto Michele ci propone la ricetta del crostone di pane al lievito madre e kombucha con pomodoro, mozzarella, Trentingrana e basilico. 


❓Le singole voci del pane possono trovare un comune megafono❓
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Cristina Viggè
2020-07-20T11:29:40+02:00

Pane realizzato con le farine Petra - Foto di Enrica Guariento

Leggi l'articolo su gamberorosso.it

E se l’assolo diventasse un coro?

Chi fa da sé fa per tre. Non sempre. Soprattutto quando si deve comunicare un messaggio intenso e profondo. Le voci singole sono importanti, ma quando un assolo si trasforma in coro il canto diviene ancora più incisivo, penetrante, coinvolgente e travolgente. È l’energia della rete, del network, della filiera. Basti pensare ai consorzi, dov’è l’unione a far la forza. E basti pensare a tutte quelle realtà in cui è il gruppo a dar linfa vitale a ciascuna unità. Proprio come un puzzle, in cui ogni tassello è indispensabile a sostenere la totalità.

Ad Arzignano, Olivieri 1882 ha ottenuto i Tre Pani delGambero Rosso - Foto di aromi.group

È proprio questo il concetto che sta alla base di una guida che, sebbene alla sua seconda edizione, sta già creando un movimento: Pane & Panettieri d’Italia, firmata dal Gambero Rosso con la collaborazione di Petra - Molino Quaglia. “Crediamo che il pane debba tornare ad essere un cibo essenziale, cioè sintesi utile della sensibilità per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Ci sentiamo parte attiva con quanti vogliono un pane semplice, nutriente e naturale, emblema di una filiera virtuosa che porta in tavola i valori di un lavoro che non si butta via. Collaboriamo con Gambero Rosso sostenendo Pane & Panettieri d’Italia, perché riteniamo che questa guida possa diventare in breve tempo il simbolo di una panificazione italiana che abbandona schemi di produzione senz’anima per riscrivere in chiave contemporanea la tradizione dei pani regionali. Crediamo nel valore della filiera che supera il valore del singolo, nello stimolo di colture biologiche che esaltano naturalmente la biodiversità dei cereali attraverso la semina dei miscugli, nell’uso generalizzato del lievito madre vivo, nella ricerca di nuovi modi di macinare il grano, per esaltare gusto e potere nutrizionale delle farine, nel totale rispetto della sicurezza alimentare”, spiega Piero Gabrieli, direttore marketing dell’azienda di Vighizzolo d’Este.

I premiati con i Tre Pani nella guida Pani & Panettieri d'Italia 2021

Una guida portavoce di un pensiero comune. Una bussola per orientare l’arte bianca verso eccellenza, facendo in modo che la quotidianità divenga esperienza. Pane, singolare collettivo. Risultato di un circolo virtuoso che coinvolge agricoltori, contadini, mugnai e artigiani. Pane, essenziale e assoluto. Pane, possibile e sostenibile. Perché fiero di sostenere la terra e la tavola. Pane d’autore, fatto con amore: quello dei 370 indirizzi inseriti nel volume, con quaranta nuovi ingressi e quarantaquattro panifici - dal Piemonte alla Sardegna - premiati con il prestigioso riconoscimento dei Tre Pani. A cui si va ad aggiungere un tris di premi speciali: quello di Panettiere Emergente, che incorona Daniele Marè, all’opera nell’insegna che porta il suo cognome a Roma; quello di Pane dell’Anno, ossia il Filone al finocchietto selvatico, mandorle d’Avola e uva passa di zibibbo di Pantelleria, targato A Maidda di Trapani, creatura di Pietro Cardillo; mentre lo scettro di Pane e Territorio va a Carlo Eugenio Fiorani di Castelverde, in provincia di Cremona.

I premiati con i Tre Pani nella guida Pani & Panettieri d'Italia 2021

Intanto? È nato il Manifesto del Pane Artigianale, sempre per iniziativa di Petra e con tanto di possibilità di apportare la propria firma. Per contribuire ad anni e anni di impegno e di lavoro, dedicati a un mestiere antico come l’uomo eppur modernissimo e in perenne evoluzione. Correva infatti il millesimo 2006 quando nacque l’Accademia del Pane, con i suoi corsi, destinati a stimolare un nuovo saper fare, tenendo fede agli abissali valori dell’artigianalità e della genuinità. Un percorso che ora trova incarnazione in un manifesto-decalogo, pronto a raccontare e a ribadire il senso laico e religioso dello spezzare il pane. Accendendo i riflettori su filiera, clima, biodiversità, sostenibilità, rispetto, integrale, vitalità, naturalità, durata ed essenzialità.   



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INDICE

Eleonora Massaretti: stile eco

Nuove soluzioni sostenibili

Claudia Tosello: spirito green

Terra e high tech

Fratelli Sorce: Sitári, hortus e genius loci

Agricoltura: ritorno al futuro

Claudio Maucieri: analogico & digitale

Mise en place senza sprechi

Luca Doro: pensiero slow

Indagando nuovi habitat

Domenico Fortino e il cantiere del gusto

Business & Benefit

Giovanni Santarpia: pizza e allegria

L’energia dell’allegria

Grazia Mazzali: pasticceria bucolica

Panteismo contemporaneo

Mirko Petracci: il giardino e le Margherite

Il patrimonio della solidarietà

Massimo Frighetto e Michele Colpo: mille idee, zero waste

La coralità della filiera

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Info | +39 0429 649150 | Map

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Eleonora Massaretti: stile eco

Nuove soluzioni sostenibili

Claudia Tosello: spirito green

Terra e high tech

Fratelli Sorce: Sitári, hortus e genius loci

Agricoltura: ritorno al futuro

Claudio Maucieri: analogico & digitale

Mise en place senza sprechi

Luca Doro: pensiero slow

Indagando nuovi habitat

Domenico Fortino e il cantiere del gusto

Business & Benefit

Giovanni Santarpia: pizza e allegria

L’energia dell’allegria

Grazia Mazzali: pasticceria bucolica

Panteismo contemporaneo

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Cristina Viggè

2020-05-03T19:39:49+02:00

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Rapporto Bruntland. Conosciuto pure come Our Common Future. Anno domini 1987. La World Commission on Environment and Development, presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, rilascia il primo documento in grado di introdurre il concetto di sviluppo sostenibile: “lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”. Tutto chiaro? Ma è solo l’inizio. Dell’ascesa dell’idea di sostenibilità, intesa come equilibrio virtuoso fra tre dimensioni: ambientale, economica e sociale. Saldamente interconnesse fra loro. Tre insiemi che convivono. Anzi, che vivono in perenne dialogo, incontro e confronto. Intersecandosi e influenzandosi a vicenda. E trovando l’armonia proprio in quel sottoinsieme che è la sostenibilità. Visione integrata delle parti. E, al contempo, prospettiva al di sopra delle parti. Capace di tendere alla perfettibilità dell’intero sistema umano-planetario. Che, intanto, evolve nello spazio e nel tempo.

Sostenibilità. Parola chiave del Terzo Millennio. Al punto che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 25 settembre 2015, sottoscrive l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Corredando il tutto di diciassette goal e di ben 169 target o traguardi. Un programma completo e complesso, che coinvolge le cinque “P”: People, Planet, Prosperity, Peace e Partnership. Mission? Eliminare fame e povertà, affinché tutti gli esseri umani possano esprimere con dignità il proprio potenziale, in un contesto sano, propositivo e costruttivo; proteggere il Pianeta, gestendo responsabilmente le risorse naturali, grazie a modelli sostenibili e attuabili di produzione e consumo; incentivare un’esistenza soddisfacente, nonché un progresso in armonia con la natura; incoraggiare società pacifiche e inclusive; e rafforzare uno spirito di solidarietà globale, grazie alla partecipazione di tutti i Paesi. Nessuno escluso. Un programma ambizioso, coscienzioso e consapevole. Che di strada ve n’è ancora molta da fare. Ma anche un’esortazione a ricominciare. Mirando ancor meglio all’obiettivo.

Cristina Viggè
2020-05-04T17:18:52+02:00

Eleonora Massaretti a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Eleonora Massaretti: eleganza ed ecologia

Cambierà tutto? Allora cambierà anche lei. “Sto addirittura pensando a una trasformazione completa del mio locale”, confessa Eleonora Massaretti, la condottiera coraggiosa del Basilico Rosso di Castelmassa, in terra rodigina. “Certo, se mutano le regole, dobbiamo imparare a lavorare con un sistema differente”. Flessibilità e fluidità, dunque. Almeno così vale per l'artigiana. Che per rendere sostenibile la sua attività ha sposato i canali del delivery e dell’asporto. Senza mai perdere stile ed eleganza. “Sono arrivata a consegnare fino a un raggio di cinquanta chilometri, sempre mantenendo un’altissima qualità e la mia identità”, afferma orgogliosa. Anche di essere riuscita a mettere in carta le sue speciali pizze con il pesce. Quelle che la contraddistinguono. Quelle che più la rappresentano. Quelle col polpo croccante, con lo storione, con la tartare di tonno, col calamaro scottato. Il tutto rimodulando gli impasti e adattandoli alla rigenerazione nel forno di casa. E, in futuro, supportando il tutto grazie alla tecnologia e al confezionamento degli ingredienti in atmosfera protettiva. Nel segno della massima sicurezza e di una shelf life prolungata.



Riprese a cura di Marco Gallocchio nello stand di Petra - Molino Quaglia al Sigep 2020 - Rimini


Non dimenticando il valore della libertà. “Sì, il cliente è svincolato da schemi e da orari. Finalmente può scegliere lui quando e come infornare e mangiare la sua pizza”, prosegue Eleonora. Che sta già riflettendo su un possibile packaging evoluto. Differente dalla plastica. “Ci sono interessanti derivati della carta e della canapa. Sto valutando il materiale più adatto, nel pieno rispetto dell’ambiente e del non spreco”. Ma non basta. Eleonora, ragionando con coerenza sulla ripartenza, sogna una nuova direzione da dare alla sua insegna: divenire una gastronomia. Un punto di riferimento della zona. “Mi piacerebbe proporre lasagne di mare, spaghetti allo scoglio, un buon sugo di vongole. E chissà, magari introdurre pure una vetrina del pesce fresco”, continua lei. Che fa parte del gruppo Donne di Pizza Donne di Cuore. Impegnato nel portare avanti eventi e progetti solidali. “Ovunque andiamo cerchiamo di ascoltare il territorio e di capire come aiutare e sostenere onlus e associazioni”. Anche questa è sostenibilità.  


Il Basilico Rosso di Eleonora Massaretti riaprirà a Castelmassa (Rovigo). Intanto Eleonora ci propone la ricetta dei suoi cracker ai semi.


❓Sapremo sposare nuovi progetti sostenibili❓
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Cristina Viggè
2020-05-04T18:20:14+02:00

Foto di Bkrmadtya Karki da Pixabay

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Delivery e takeaway. Nuovi scenari possibili?

Dopo un iniziale scetticismo, sono sempre di più i ristoratori che accolgono nel proprio vocabolario il termine delivery. Meglio noto come consegna a domicilio. Da poter combinare con la versione più smart del “ti prendo e ti porto via”. Due canali nuovi. Almeno per molti. Due strade che stanno dando un po’ di respiro a molte attività. E che, probabilmente, continueranno ad essere battute da molte realtà. Magari in parallelo al classico servizio al tavolo. Del resto, se i coperti diminuiscono, perché non compensare con consegne e takeaway? Nell’ottica di un’economia circolare, razionale e coerente. La sfida? Quella di mantenere alta la qualità, senza tradire la propria identità. Facendo quello che già si sa fare, e magari ancora meglio. Come? Snellendo l’offerta e puntando sull’essenzialità e verità della proposta. Inoltre, consegna e asporto permettono di rispettare le regole del social distancing. Fidelizzando al contempo il cliente. In quanti hanno dichiarato: “È il nostro modo per comunicare che ci siamo. E che non abbiamo mai smesso di esserci”. E in quanti clienti hanno risposto: postando sui social, inviando messaggi d’affetto e confermando lo loro fiducia nel confronti di chef, pizzaioli e pasticceri. Un nuovo modo di socializzare. E di interagire con il prodotto (spesso da completare a casa), sentendosi parte attiva di una filiera. Non da ultimo i delivery più evoluti sanno persino indossare packaging ecologici, biodegradabili, compostabili e riciclabili. Nel segno del non spreco. Perché vegetali, organici e rispettosi dell’ambiente. Come la polpa di cellulosa, la cosiddetta bagassa, proveniente dagli scarti della lavorazione della canna da zucchero. E ancora la grass paper, la carta erbacea, summa d’erbacce e di carta certificata Fsc (Forest Stewardship Council). Ultima frontiera? Le confezioni e i contenitori in Notpla, un materiale rivoluzionario a base di alga bruna. Una delle risorse più rinnovabili della natura. Quasi a dire che nuovi scenari sono possibili. Basta percorrere la strada più sensata.

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Cristina Viggè
2020-05-14T15:17:41+02:00

Claudia Tosello a PizzaUp 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Claudia Tosello: orto e Arcobaleno

In questo periodo? Ha scoperto di avere il pollice verde. “Ho imparato a tagliare l’erba e a coltivare gli ortaggi. Mio padre Renzo ha un pezzetto di terra, dove crescono asparagi, zucchine, fagioli. Sì, mi ha proprio detto: sei brava anche a piantare i fagioli”, dichiara orgogliosa Claudia Tosello. Dea ex machina della pizzeria Arcobaleno, a San Martino di Venezze, in provincia di Rovigo. “E poi sto sistemando per bene tutto il giardino. Un lavoro che avevo continuamente rimandato. All’esterno ho uno spazio immenso. Così alla ripresa, fra dentro e fuori, pur tenendo i tavoli distanziati, riuscirò ad avere comunque una cinquantina di coperti”. È ottimista, costruttiva e piena di energia Claudia. “Dopo due anni e mezzo, ho persino ripreso a fare i miei giri in bici. Inoltre ho un altro progetto: poter seguire un piccolo terreno posizionato proprio dietro la pizzeria. Tanto, gli attrezzi agricoli li abbiamo. E in tal modo avremmo pure tante verdure freschissime per la pizzeria”, continua madame Tosello. Che ama anche preparare dolci lievitati, conserve e confetture. Utilizzando la frutta di artigiani e produttori autoctoni. Per proporre un cibo a filiera cortissima, che va dal campo alla tavola.

Riprese a cura di Andrea Tadioli allo stand di Petra - Molino Quaglia - Sigep 2018


Questione di spirito green. E di sostenibilità. Un principio fondamentale per Claudia. Che intanto ha avviato, con successo, le consegne a domicilio. Arrivando sino a Rovigo. “E ho pure spacciato un po’ di lievito madre. Una grande soddisfazione. Ho avuto feedback positivi. Le persone mi mandavano le foto. E io insegnavo a loro alcuni accorgimenti, invitandoli persino a dare un nome alla loro ‘madre’. Così si sono sentiti coinvolti”, aggiunge lei. Che oltre a pizze in pala e in padellino (con tutti gli ingredienti ben ordinati a parte), ha messo a punto il pane per il burger. Cotto nel forno a legna. E proposto per il delivery in triplice variante: a base di carne (di una macelleria super local), prezioso di affettati e formaggi e in versione vegetariana. Il tutto con corredo di patate. “Ma non fritte. Cuocio pure loro nel forno a legna. Al momento. Così da risultare calde e fragranti. Preferisco fare meno cose, ma fatte bene. È sempre stata la mia filosofia e lo sarà sempre”.  


La pizzeria Arcobaleno di Claudia Tosello riaprirà a San Martino di Venezze (Rovigo). Intanto Claudia ci propone la ricetta del suo burger vegetariano, con mozzarella di bufala, zucchine e melanzane grigliate e pomodorini soleggiati.


❓Terra e high tech vanno d’accordo❓
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Cristina Viggè
2020-05-14T15:36:54+02:00

Il logo BGreen del gruppo Fratelli Beretta

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Tecnologia ed ecologia: possibile sodalizio?

L’agricoltura è la grande rivoluzione dell’uomo. Che da nomade, cacciatore e raccoglitore, proprio grazie alla coltivazione della terra, è potuto divenire stanziale. Non solo. Grazie all’agricoltura l’uomo è riuscito a produrre un surplus di cibo, ritagliandosi il tempo per occuparsi di altro. Dell’artigianato, della costruzione di oggetti e poi addirittura della scrittura. A sostenerlo? Il biologo e antropologo statunitense Jared Diamond, autore di Armi, acciaio e malattie - Breve storia degli ultimi tredicimila anni, premio Pulitzer per la saggistica. Sì, l’agricoltura ha contribuito all’evoluzione della civiltà. Anzi, l’essere umano ha imparato sempre più a dedicarsi ad “altro”, demandando ad altri il “problema” del proprio sostentamento. Ai contadini, agli allevatori, ai pescatori. Sino a giungere all’industria. Ma oggi si assiste a un’inversione di tendenza. Siamo tornati al piacere di coltivare. Essere agricoltori è un motivo di vanto. E filiera corta e biodiversità sono tornati ad essere sinonimi di qualità. L’orto rappresenta un plus, anche per la pizzeria e il ristorante. E pure i grandi leader del food & beverage si sono fatti sempre più sensibili al tema. Coniugando perfettamente ecologia e tecnologia. Certo, perché l’avanguardia può risollevare la terra. E comunicare il senso della terra. Anche attraverso un semplice packaging. Che non solo ha lo scopo di preservare e mantenere integro un alimento durante il trasporto, ma soprattutto di veicolare un messaggio forte e chiaro. Il gruppo Fratelli Beretta, specializzato nella produzione e distribuzione di salumi e piatti pronti, lancia il logo “BGreen”, pronto a identificare i prodotti plastic smart. Conservati in confezioni realizzate con il 25% di plastica in meno, o con il 65% di plastica riciclata (è il caso di trecento referenze in assortimento). Un marchio che in futuro accompagnerà l’azienda in ulteriori progetti sensibili al Pianeta. E Carlsberg? Già da anni ha tradito i fusti di birra in acciaio per convertirsi a quelli in Pet: riciclabili e fieri di consentire una spillatura senza anidride carbonica aggiunta. Mentre una realtà piemontese come Distillerie Berta (con sede nell’astigiana Mombaruzzo) dedica la grappa invecchiata “Elisi” e la grappa “Unica” all’ambiente. Acquistando uno dei due prodotti si contribuisce infatti alla creazione della Foresta Berta che, grazie a Treedom, sta prendendo forma in Kenya. A ogni ordine verrà piantato un albero, fiero di portare il nome di chi l’ha virtualmente adottato. Non solo. Il “proprietario”, attraverso un codice, potrà seguirne la crescita online. Della serie, terra e high tech. Che significa pure pack compostabili e biodegradabili, in polpa di cellulosa, in grass paper o a base di alghe. Intanto, il Politecnico di Torino - Dipartimento di Architettura e Design ha dato vita al master in Eco Packaging Design, per progettare imballaggi sempre più sostenibili. Per consumatori sempre più consapevoli.

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Cristina Viggè
2020-05-19T16:31:21+02:00

Giorgio e Filippo Sorce

Giorgio e Filippo Sorce: millennial in un luogo millenario

A dividerli? Solo sedici mesi. Per il resto vivono e lavorano in simbiosi. Loro, i fratelli Sorce: Giorgio, annata 1994; Filippo, millesimo 1995. Insieme alla guida di una pizzeria nel Villaggio Mosè di Agrigento. A pochissimi chilometri da quella Valle dei Templi riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Un sito archeologico d’assoluta bellezza. Che racconta della civiltà greca. Ma che narra pure del fascino e della potenza di una polis poliedrica, dal raggiante spirito mediterraneo. Una città crossover, crocevia di culture. Entrata a far parte anche dell’Impero Romano, per poi divenir araba e normanna. Un luogo millenario, che diede i natali al filosofo Empedocle e che ora accoglie due millennial come i Sorce bros. Che il greco non l’hanno certo dimenticato, battezzando la loro insegna con il nome di Sitári, ossia “grano”. Ma che in qualche modo ricorda in siciliano le parole mangiari, assittari. Insomma, un chiaro invito al convivio. Non tradendo la terra, il passato, la memoria.

Una delle pizze di Sitári, la pizzeria guidata dai fratelli Sorce


Coerenza. Circolarità. Sostenibilità. A partire dal naming. Per giungere alla proposta, fiera di concentrarsi su una filiera dotta, che privilegia le artigiane eccellenze made in Italy, facendo focus sulla Sicilia. Tanti infatti i prodotti isolani: dal pomodoro pelato siccagno di Valledolmo (così chiamato per via della sua crescita in aridocoltura) al pistacchio di Raffadali, dai capperi di Pantelleria alla buzzonaglia di ricciola sott’olio. A cui si aggiungono pregiati Presìdi Slow Food come la vastedda della Valle del Belice, la provola affumicata delle Madonie, il gorgonzola di capra girgentana, l’aglio rosso di Nubia e il capocollo di suino nero dei Nebrodi. E poi? Non mancano all’appello specialità quali le panelle e il coddiruni, la tipica e antica focaccia imbottita. E non mancano  pizze dai chiari riferimenti vernacolari. Vedi la "Fuitina, la "Bedda Mia", la "Priziusa" e la “Sciavurusa”. Traduzione: profumata, fragrante. “Inoltre con nonno Filippo, stiamo mettendo a punto un orto. Proprio dietro il locale. Abbiamo già piantato otto tipi di pomodoro, insalata, melanzane, zucca, peperoni, basilico e, naturalmente, finocchietto”, racconta con orgoglio Giorgio.


La pizzeria Sitári di Giorgio e Filippo Sorce riaprirà ad Agrigento. Intanto i bros ci propongono la ricetta della loro Margherita in quarantena. 


❓L’agricoltura può andare d’accordo con l’avanguardia❓
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Cristina Viggè
2020-05-19T16:46:27+02:00

Foto di Pexels da Pixabay

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Terra e high-tech: una nuova frontiera?

“La verità è che il concetto di naturale non esiste, e non esistono cibi naturali del tempo andato. La natura è solo il prodotto di un’equazione. Noi modifichiamo l’ambiente, l’ambiente modifica noi, il risultato, in continua evoluzione, è appunto la natura”, sostiene lo scrittore Antonio Pascale. E, forse, ha proprio ragione. Così come l’agricoltura del terzo millennio non significa un sentimentale ritorno al passato, bensì un energico ritorno al futuro. La sempre più accelerata meccanizzazione, le biotecnologie, le nuove ricerche agronomiche supportano l’agricoltura moderna, la rendono sostenibile e fanno del contadino contemporaneo una figura altamente specializzata. Un professionista con le mani nella terra e la mente visionaria. Perfetto per un’agricoltura 4.0, concentrazione di innovazione e precisione. Già nel 2017, al Global Food Innovation Summit Seeds & Chips si era parlato di skylight garden (senza la presenza del sole, ma con la complicità dei led), di colture idroponiche (fuori suolo, senza terra e pesticidi, ma con acqua e sostanze nutritive) e persino di rooftop farm, serre e orti urbani e coltivazioni verticali. “Da cacciatori siamo divenuti agricoltori. Ora dobbiamo imparare a coltivare anche in ambienti differenti”, spiegava Christine Zimmermann, presidente dell’Association for Vertical Farming. Ma si parlava anche di piattaforme - come la greca Agrologies - in grado di pianificare e ottimizzare l’irrigazione, a seconda della condizioni atmosferiche, con un semplice touch. Il tutto in un’ottica di massima efficienza e zero spreco. Come accade anche per l’italianissima Netsens, impegnata nella messa a punto di sistemi per il risparmio idrico, nonché di stazioni meteo e sensori wireless per un completo monitoraggio del terreno. Per controllare umidità e temperatura e per prevenire l’attacco dei parassiti. Ad averla già applicata su tutti i suoi vigneti? Il Castello di Meleto: 140 ettari in quel di Gaiole in Chianti. “Questa soluzione rappresenta un passo avanti per tutto il mondo del biologico. Molto spesso i preconcetti sono dovuti alla paura di quel che non si conosce e non si può prevedere. Con questo sistema porteremo una maggiore conoscenza in tutto il mondo della viticoltura, con l’augurio che per il futuro il biologico divenga l’unico modo di produrre possibile. I bravi vignaioli insegnano che, per fare cose grandi, bisogna sentirsi piccoli di fronte alla natura”, spiega Ruggero Mazzilli, agronomo fondatore della Spevis, la Stazione Sperimentale per la Viticoltura.

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Cristina Viggè
2020-05-27T16:24:08+02:00

Claudio Maucieri a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Claudio Maucieri: pizza, pane, territorio e... QR code

“La pizzeria la aprii il 14 febbraio 2005. Ma qui sarà San Valentino tutte le sere”, annuncia felice Claudio Maucieri. Patron di Capriccio, in quel di Ispica, nella provincia di Ragusa. “Noi stiamo al sud della Sicilia, nella terra del pomodoro. E anche della carota”, continua lui, facendo riferimento a quella carota novella - preziosa di minerali e vitamine - che gode di un consorzio tutto a lei vocato. Un ortaggio che affonda le radici in una terra fertile e generosa. Alla quale Maucieri ha sempre voluto dar voce. Sostenendola e valorizzandola sulla pizza. Dove finiscono il pesce spada e i gamberi di Portopalo; il ciliegino di Pachino e il pomodoro datterino; il pesto di mandorla, il pesto di pistacchio e il pesto di finocchietto; il guanciale e il capocollo di suino nero dei Nebrodi e il “roast-beef” di tonno in crosta di sesamo (altra eccellenza locale, tutelata come Presidio Slow Food); la ricotta di pecora e la mozzarella di bufala siciliana a latte crudo; il formaggio Normanno e la vastedda della Valle del Belìce. In un colto tributo a una regione dalla grande biodiversità. Culturale e materiale.

Il pane, un grande cult di Claudio Maucieri


“In questo periodo noi non ci siamo mai fermati. Abbiamo cercato di mantenere sempre viva quella fiammella che cercava di spegnersi”, continua Claudio. Che ha riaperto, affiancando alla proposta placé un intelligente servizio di asporto e consegna a domicilio. “E ora ci siamo organizzati al meglio per il servizio al tavolo. Adottando tutti gli accorgimenti, rispettando tutte le norme e facendo i corretti distanziamenti. Abbiamo ridotto i coperti. Oggi ne ho una sessantina. Ma sono contento. Così lavoriamo in tranquillità, senza tensioni ed evitando la confusione. Anche perché noi le tavolate non le facciamo. Abbiamo alzato l’asticella e puntiamo tutto sull’emozione, sull’esperienza. Tant’è che abbiamo suddiviso la grande sala in tre zone: saletta, salone e salotto. In modo da avere un’atmosfera più intima, rispondendo a esigenze diverse e a target differenti. E poi, grazie alle abat-jour, abbiamo le luci soffuse. Per un ambiente ancora più rilassante. Per questo qui la festa degli innamorati è tutte le sere”, precisa Maucieri. Che intanto digitalizza il menu - visibile attraverso un QR code -, continuando a metter le mani in pasta. Per fare il pane. “Lo cuocio nel forno a legna. Il mercoledì e il venerdì. Lo preparo in varie tipologie e mi dà una grande soddisfazione”.


La pizzeria Capriccio di Claudio Maucieri ha riaperto a Ispica (Ragusa). Intanto Claudio ci propone la ricetta della sua pizza inchino ai Nebrodi, con spolverata di semi e cereali.


❓E se anche la mise en place fosse sostenibile❓
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Cristina Viggè
2020-05-27T17:17:42+02:00

Il servizio digitale SafeTable - Foto di Matteo Barro

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Troveremo soluzioni a impatto zero?

Il lockdown ha insegnato. Anche a sprecare di meno. Una buona pratica, da mantenere soprattutto ora, con la ripartenza di tutte le attività. Sempre più nel segno dell’ecosostenibilità. Il che significa razionalizzazione e ottimizzazione degli spazi, attenzione al food cost (senza tradire la qualità), riciclo, concentrazione sulla filiera, sulla materia prima e su energie rinnovabili. Renato, Riccardo e Federica Pancini, per esempio, nel loro Al Foghèr aretino, hanno adottato séparé totalmente green, utilizzando erbe aromatiche e peperoncini dell’orto. E le carte al ristorante? Si fanno sempre più digitali e raffinate. È il caso della creatura targata da un fotografo e videomaker milanese come Matteo Barro. Che, in tempo di fermo macchina (fotografica), ha studiato una soluzione innovativa e visionaria, ma anche pratica e intuitiva, insieme alla compagna Eva Offen, già sua collaboratrice in ambito amministrativo e finanziario. Risultato? SafeTable: un prodotto capace di coniugare l'eleganza con la tecnologia. Digitalizzando con stile la carta del locale. Il tutto a portata di smartphone, senza la necessità di un tablet, senza l’obbligo di scaricare un’app e senza perdere la propria personalità. “Certo, l’identità del ristorante resta un elemento imprescindibile. La personalizzazione grafica è fondamentale. Dai font agli sfondi, dalle immagini alle descrizioni dei piatti”, puntualizza Barro. Perché digitalizzazione non significa automatizzazione. La presenza del titolare, del sommelier e del maître rimane un must. Per un approccio umano ed empatico con il commensale.


Un espositore in plexiglas trasparente by SafeTable - Foto di Matteo Barro


Come funziona? Semplice. Il ristoratore invia il menu (in formato word, pdf o cartaceo). Poi, a format deciso, SafeTable crea il menu digitale, il QR code e le credenziali di accesso, spedendo le istruzioni con corredo di video-tutorial. Non solo. Fornisce gli espositori in plexiglas trasparente - facilmente lavabili, igienizzabili e talmente discreti da adattarsi a ogni tipo di interior - dove stampare il QR code e da posizionare sui tavoli. Inoltre, invia una vetrofania - con il QR code - da esporre in vetrina. Per permettere la consultazione della carta anche dall’esterno del locale. Nel segno dalla massima trasparenza. Il tutto senza più sprechi di carta e costi di stampa. In infinite soluzioni grafiche. In dodici lingue. E con la possibilità di modificare in totale autonomia (o delegando a SafeTable eventuali upgrade), le pietanze. Per aggiornare i piatti in base al mercato e alla stagionalità.


Il Tovagliolo Imbustato by Padana Spa

E la mise en place? Anch’essa non va trascurata. E nel nome di igiene, comfort e serenità, una realtà bergamasca quale Lavanderia Padana Spa - specializzata non solo nel lavaggio (ad alte temperature e con trattamenti antibatterici) ma pure nel noleggio tessile - ha pensato di “rispolverare” il tovagliolo di stoffa (100% cotone) imbustato. Apparso già vent’anni fa sulle tavole di molti ristoranti, grazie alla lungimiranza del patron Pino Pisacane. Rivelandosi una scelta vincente. “Quello che siamo a proporre quindi non è una novità, ma una soluzione collaudata e immediata per far fronte ai problemi di sanificazione”, spiega in un video Andrea Pisacane. Che, con la sorella Simona, lavora nell’azienda di famiglia. Un prodotto unico, con tasca portaposate, applicata all’esterno della busta. Garantendo così ordine, pulizia, efficienza e tempismo.


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Cristina Viggè
2020-06-06T15:52:58+02:00

Luca Doro a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Luca Doro e la nuova grammatica dello spazio

“A Macerata Campania si rispetta il semaforo”, esordisce Luca Doro. “Certo. In pizzeria abbiamo messo la segnaletica. Lo avevo visto fare in un locale dove lavorai, a New York. E così ho pensato di adottare questo sistema anche qui. Abbiamo studiato tutto per bene. Per filo e per segno. Ricalibrando gli ambienti, dimezzando i coperti, osservando le distanze e inserendo la punteggiatura. Ci sono gli adesivi verdi nel tratto di cammino che conduce ai tavoli; l’arancione nell’area di attesa, vicino alle vetrate e alla cassa; e il rosso per indicare quando il bagno è occupato. Giusto a comunicare una zona off limits”. Sì, Luca Doro, nella sua Doro Gourmet di Macerata Campania, nel Casertano, stabilisce nuove regole di prossemica e di grammatica dello spazio. Nel nome della massima sicurezza. “Al tavolo, invece, abbiamo preferito le tovagliette usa e getta, il gel igienizzante ad hoc e una busta alimentare monouso contenente il bicchiere per l’acqua. Che poi si può utilizzare per conservare la mascherina durante la serata. Le posate sono servite a parte e ogni tavolo ha il suo tablet personale per la consultazione del menu”, prosegue l’artigiano. Fiero anche del nuovo ulivo tinto di bianco, pronto ad affiancare quello già presente in sala. “Incarnano la tradizione e l’innovazione”. E anche le radici affondate nella Campania Felix.

Riprese a cura di Andrea Tadioli nello stand di Petra - Molino Quaglia a Sigep 2019


Una terra generosa. A cui Luca dà voce attraverso le sue pizze. Rendendo omaggio alla cultura agreste, alle tradizioni popolari, alla memoria e a molti Presìdi Slow Food, visto che l’insegna fa parte dell’Alleanza dei Cuochi e Pizzaioli di Basilicata e Campania. Idee chiare, insomma. E assoluta organizzazione. “Siamo andati e stiamo andando benissimo anche con i servizi di consegna a domicilio e di asporto. Ma questo non mi impedisce di continuare nella mia ricerca sugli impasti. Per esempio con PetraViva e con Petra Evolutiva. E sto studiando una focaccia nel ruoto con Petra 9”, continua Luca. Che intanto ha allestito una zona boutique, virtuosa di vini, farine, pomodori e altri prodotti tipici, e ha messo a punto una decina di nuove pizze. Come la “Pellecchiella”, con crema di albicocche pellecchielle del Vesuvio, battuta di fior di latte nobile (un latte ad alto tasso di qualità e sostenibilità, con tanto di disciplinare di produzione), salame morbido di suino nero casertano, conciato romano e menta. E come la “Pizzaiola”, summa di pomodorino cannellino flegreo, provola di latte nobile, carpaccio di fassone piemontese, maionese alle acciughe e caviale di basilico. Non certo dimenticando la “Carmnella” - dedicata alla zia -, tra fiordilatte, olive caiazzane, scarola condita con olio, sale, pepe e limone, e alici di menaica; la “Quattro Formaggi” versione tutta Doro, preziosa di pera pennata (un ecotipo dalla foggia tonda e dal sapore dolce e pastoso) e nocciole di Giffoni; nonché la “Ragù di Polipo”, a ricordo dei polipetti alla Luciana cucinati nel coccio.


La pizza "Ragù di Polipo" by Luca Doro

Terra e mare. È un pensiero fluido e circolare quello di Luca. Cresciuto seguendo gli insegnamenti di mamma e nonna, credendo nell’agricoltura, respirando i valori rurali, mettendo le mani in pasta e onorando le feste comandate. Come quella di Sant’Antonio Abate - qui Sant’Antuono - che si celebra il 17 gennaio, fra carri e percussioni di tini, falci e botti. Le cosiddette Battuglie di Pastellessa, termine usato per indicare sia il fragore generato dalla sfilata sia la iper tipica pasta con le castagne lesse. Che Luca traduce nella “Pizzellessa”, compendio di castagne lesse, mozzarella di bufala, guanciale di suino nero casertano, scaglie di pecorino di laticauda e perle di peperoncino crusco. Del resto, i rituali non si tradiscono.


Luca Doro impasta con la nonna

Intanto? Guarda avanti. Pensando al Natale e immaginando una nuova griffe di Panettoni. Sognando Cervignano del Friuli, dove tira aria di un bel progetto. E tenendo i piedi ben saldi nel presente. Anzi, nel futuro prossimo venturo. “È quasi tutto pronto. Partiremo a luglio. Ci trasferiremo nella Villa Comunale di Macerata Campania. Mentre il locale funzionerà per il takeaway”, spiega il pizzaiolo. Svelando la new summer location en plein air, nel verde della residenza cittadina. “Metteremo due forni a legna, faremo le pizze ma anche cultura del territorio. Con appuntamenti didattici per grandi e piccini. E poi allestiremo lo spazio con tanti cuscini. Dove ci si potrà rilassare anche assaporando un gelato. Dopotutto, quello che ci tiene in vita solo le emozioni”. 


La pizzeria Doro Gourmet ha riaperto a Macerata Campania (Caserta). E Luca ci propone la ricetta della sua “Marinara dell’Alleanza”, battezzata con il codice di avviamento postale della sua cittadina: 81047. 


❓Sapremo ripensare i nostri spazi❓
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Cristina Viggè
2020-06-06T16:41:14+02:00

Peacock, la barriera che fa la ruota, by Emanuele Martera

Leggi l'articolo su ilfattoalimentare.it

Spazi fisici o spazi mentali?

Distanziare. Circoscrivere. Delimitare. Le riaperture dei “pubblici esercizi” portano con sé una nuova sintassi dello spazio. Interno ed esterno. Fisico e mentale. C’è chi, rinnegando il plexiglass, adotta la segnaletica, chi preferisce divisori green e chi si inventa nuove soluzioni. È il caso del geniale designer spezzino Emanuele Martera - art director di Tub Design - che presenta il suo Peacock, un vanitoso (e bellissimo) pavone che fa la ruota. Fungendo da barriera modulabile, amovibile e iper leggera. Da aprire e da richiudere. Occupando pochissimo spazio e rimodulando gli spazi: dell’ufficio o della palestra, di un salotto d’hotel o di una sala ristorante, di una terrazza o di un dehors, e persino di una beach. Un sipario artigianale, utile e funzionale, in tessuto tecnico sanificabile. Disponibile in versione neutra, impreziosita da serigrafie, oppure dipinta a mano (in limited edition). Da appoggiare a un muro, o da posizionare al centro della sala. Visto che misura 160 x 160 centimetri, affiancabili. Per far la ruota completa. “Tutto è partito dall’idea del ventaglio. E ne è nato un oggetto giocoso e divertente. Che ha pure un suo lato sociale e solidale. Visto che la struttura portante è realizzata dai detenuti del carcere di La Spezia”, racconta Emanuele. 


Il box del fortemarmino Pesce Baracca, disegnato da Emanuele Martera


Intanto? Disegna pure il “Survival Kit” per il Pesce Baracca di Forte dei Marmi. “In realtà era stato progettato già prima. Seguendo più l’idea romantica di portarsi il pesce in spiaggia. Adesso invece è diventata un’esigenza. E poi è un box colorato e gioioso. C’è bisogno di sorrisi e di allegria per affrontare ogni situazione. Del resto, quando il gioco si fa duro, bisogna tirar fuori la creatività”, commenta orgoglioso Martera. 


Il fortemarmino Bagno Marechiaro

Lo chef Cristiano Tomei

Il "privé" del ristorante del Bagno Marechiaro, a Forte dei Marmi

E proprio sulla sabbia fortemarmina sbarca pure Cristiano Tomei, capitano de L’Imbuto di Lucca. Che, insieme al suo team, per tutta l’estate 2020, firma i piatti del ristorante del Bagno Marechiaro - per capirci: quello del film Sapore di Mare, accanto alla celeberrima Capannina di Franceschi -, la cui gestione è stata affidata a Blu Hotels. “Il Bagno Marechiaro è per noi un’assoluta novità, in quanto è il primo stabilimento balneare che entra a far parte del nostro Gruppo ed è per tutti noi un motivo di grande stimolo e di arricchimento”, dichiara il presidente Nicola Risatti. Mentre Cristiano aggiunge: “Ritorno in riva al mare portato da un vento di tradizione che non ho mai abbandonato, per regalare agli ospiti del ristorante del Bagno Marechiaro una cucina di naturale qualità. La mia squadra vi aspetta per coccolarvi in una location dal sapore marino”. Per un lusso sussurrato. 


Il bistellato Piccolo Lago, a Mergozzo, Verbania

Lo chef Marco Sacco

Il bel giardino del ristorante Piccolo Lago

Sì, anche i ristoratori traslocano in nuovi spazi e ridefiniscono i loro spazi. Giardini lacustri e urbani inclusi. Così Marco Sacco riapre le porte di quella luminosissima “palafitta” che è il Piccolo Lago (di Mergozzo, a Verbania), proponendo due tasting menu, che ingranano una nuova marcia, oppure mettono la retro: “Un Sacco innovativo: i piatti avanti” e “Assaggiate la storia: i piatti indietro". Ma non trascura certo il placido garden pieds dans l’eau. Dove poter trascorrere tutta la giornata en plein air (a partire dalle 10 del mattino), scegliendo fra cinque box-bistrot: quattro salati e uno dolce.


Cenando nella bioserra di Piano35, a Torino

Simone Sacco alla regia del Lounge Bar Piano35

Verde, verde, verde. Anche al Piano35, sulla sommità del grattacielo Intesa San Paolo di Torino. Dove la serra bioclimatica - progettata da Renzo Piano (come tutto il verticalissimo building) - è pronta a ospitare molti tavoli. Regalando ai commensali un habitat sostenibile e una vista spettacolare sulla city sabauda. “Al Piano35 abbiamo pensato a tre percorsi: In Piemonte, un mio omaggio alla grande tradizione culinaria torinese; Giro d’Italia, in cui a farla da padrone sarà la materia prima del Bel Paese; per arrivare infine al menu Piccolo Lago a Torino con i classici stellati del ristorante di Verbania, dal Lingotto del Mergozzo al Flan di Bettelmatt, sino alla Carbonara au Koque”, spiega Marco. Mentre il figlio Simone sta alla miscelazione del lounge bar, alle prese con “I soliti classici” e “Gli insoliti”, corredati da un dinamico “Street Food sopra Torino”.  


Il giardino di Motelombroso, lungo il milanese Naviglio Pavese

Come in un giardino pensile nella Green House di Motelombroso


E lo stesso fanno Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, proprietari della casa cantoniera - al civico 256 - sul Naviglio Pavese di Milano. Una casa rosa, sublimata nel ristorante Motelombroso. Che trasforma il suo giardino in un vero e proprio salotto: sotto gli alberi da frutto o all’ombra del bambuseto. Per sorseggiare un calice di vino, assaggiare i maritozzi salati (della Pasticceria Dolcemascolo di Frosinone) o provare il new menu - decisamente esilarante - dello chef Andrea Zazzara. Rimodulazione di frequenza anche per la Green House, il cuore della location, che tradisce i tavoli in marmo per credere in una table imperiale “specchiata”. Giusto a riprodurre la grande parete a specchi del garden. E a far da divisori? Le installazioni kokedama oriented by Koi Koi, nota griffe di green design. Mentre, dal 16 giugno, le opere di Giorgio Galotti dialogheranno con l’architettura del luogo incarnandosi nella mostra Atomi.  


Federico Beretta e il suo Feel Como alle Serre di Villa del Grumello

E poi c’è chi conquista nuove frontiere. È il caso del Feel Como, l’insegna guidata dalla manager e sommelier Elisa Forlanelli e dallo chef Federico Beretta - uno dei Jeunes Restaurateurs e pure uno Chic - Charming Italian Chef. Che da giugno, e per tutta l’estate, si trasferiscono nelle Serre di Villa del Grumello, buen retiro sulla sponda occidentale del Lario. Una veranda colma di luce e di bellezza, tuffata nei giardini dell’affascinante dimora. Dove assaporare la feel-osophy di Federico, che fa focus sull'habitat lacustre e alpino. Non dimenticando di andar nel bosco e di onorare l’aperitivo… a piedi liberi nel parco. 


Viviana Varese con la sorella Antonella e lo chef Fabio Mazzolini

Il risotto "La Rinascita" by Viviana Varese

Invece, Viviana Varese va in terrazza, a Manerba del Garda, nel Bresciano. In attesa di aprire, a metà giugno, il suo VIVA milanese. Voilà VIVA la Terrazza (sul lago), osteria contemporanea in declinazione temporary, che gode del sodalizio con lo chef Fabio Mazzolini e con Antonella (sister di Viviana), già alle redini di Dalie e Fagioli. Una terrazza democratica, perfetta per stuzzicare a ritmo di cicchetti, ma anche per sperimentare i grandi cult della chef stellata. Fra le proposte? “La Rinascita”, risotto cacio e 7 pepi con limone sfusato amalfitano fermentato; “C’era una volta”, pizza fritta con mozzarella di bufala confit e bavarese di pomodoro; “Insuperabile”, superspaghettino con brodo di pesce affumicato, calamari, vongole e polvere di tarallo; e “Hai mangiato a nonna?”, ziti napoletani con ragù alla genovese, fonduta di pecorino, maggiorana e limone. Fra ironia e maestria. 


Lo chef Giancarlo Perbellini


Nuovi spazi anche per Giancarlo Perbellini. Che apre una parentesi nel cuore di Verona, in quella trattoria moderna che è e sarà (ufficialmente da settembre) il Venti & Trenta. Così, da giugno a fine agosto, nel bel dehors della “futura” insegna (ma vi sono anche una dozzina di coperti all’interno), prende forma il Giancarlo Perbellini Pop Up, atto estivo dello chef bistellato. Un luogo dinamico e contemporaneo, dove assaggiare la “Milanese cotta e cruda” (una ricetta rigorosamente brevettata), nonché tre menu (in formato small, medium e large), pronti a variare tutti i giorni. Per pietanze che non vanno mai in replica. A corredo? Champagne Ruinart e ottimi cocktail, messi a punto dalla maître di sala (di Casa Perbellini, che riaprirà a settembre) Barbara Manoni. Una drink list di eccellenza, messa a punto anche grazie al tandem con Spaccio Spiriti Alimenti & Diversi di Senigallia. Ma non finisce qui. Giancarlo sta anche per sbarcare in Sicilia con la sua Locanda Perbellini al mare. Anzi, praticamente in spiaggia. A Bovo Marina, Montallegro, Agrigento. All’interno del resort Luna Minoica e vicino alla Riserva Naturale Orientata Torre Salsa.



Friedrich Schmuck approda al Varco Venti3


È invece vicino agli scogli della Riserva Marina del Plemmirio che Friedrich Schmuck, dominus del Piano B di Siracusa, presenta il suo piano c. Al Varco Venti3 - Lido del Plemmirio. “Lì c’è un mare incredibile. Perché è una zona ancora selvaggia, fuori dai flussi turistici. Un luogo esclusivo, con tanto di prato, ombrelloni e tanto spazio. Non sarà difficile rispettare le distanze. Porterò le mie pizze. Inizialmente con due impasti. Ci sarà la pizza classica tonda col cornicione pronunciato, e quella sottile e croccante. Alla romana, quella che più mi rappresenta. Tra l’altro preparata con Petra Evolutiva. Ricordo ancora da piccolo le pizze mangiate in macchina, con mio padre al volante, imbottigliati nel traffico di Roma. Ecco, qui vedranno il mare. Ma poi aggiusteremo il tiro, man mano. Anche il mio padellino sarebbe perfetto, magari per l’aperitivo”, annuncia felice Friedi. Che attende tutti al “varco”.


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Cristina Viggè
2020-06-16T14:34:37+02:00

Domenico Fortino a Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

Domenico Fortino: work in progress

“L’attività è ripresa bene. Sono certo che da tutta questa situazione ne usciremo più forti. Noi indubbiamente siamo carichi. Del resto, quando si tocca il fondo non resta che riemergere e ripartire con forza e con coraggio. Cercando le risorse dentro di noi”. Pensa e agisce in modo ottimista e positivo Domenico Fortino, che col socio Lorenzo Oliva tiene le redini (ormai da sei anni) di WIP - Burger & Pizza, nella salernitana Nocera Inferiore. Accendendo i riflettori sul buono, pulito e giusto. E sostenendo il territorio, valorizzando la filiera e consolidando tradizioni agricole e produttive. In un costante cercare, sperimentare e trovar la via. In un perenne work in progress. Che poi è l’acronimo dell’insegna. “Noi non ci sentiamo mai arrivati, ma sempre in punto di partenza”, ammette Domenico. Orgoglioso di lavorare in un vero e proprio cantiere dei sensi. Una fucina in divenire. Un laboratorio in itinere, in cui gli “operai” costruiscono con passione e pazienza, giorno dopo giorno, il tessuto sociale del sapore. 


Tutto il team di WIP - Burger & Pizza di Nocera Inferiore

Certo. Perché anche il gusto ha la sua trama e il suo ordito. Il suo perché e il suo percome. Le sue fondamenta e la sua architettura. Fatta di campagna, di artigiani e di mani in pasta che creano, miscelando estro e rispetto per la materia. Dando così forma a una carta variegata in cui spiccano le pizze “Irrinunciabili”, inno alla memoria e alla contemporaneità. Voilà “La mia napoletana”, compendio di pomodoro San Marzano, pesto di aglio orsino, polvere di olive nere, origano di montagna e capperi di Salina. Mentre la “Tradizioni” contempla salsiccia rossa di Castelpoto (Presidio Slow Food del Beneventano), fiordilatte d’Agerola, cacioricotta del Cilento (altro Presidio) e pesto di rucola, in una fotografia campana che va dal mare all’entroterra, dalla Penisola Sorrentina al Sannio, dai Monti Lattari sino al Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. E la "Fichi"? Rilegge la classica combo col prosciutto, sposando fichi sciroppati con peperoncini piccanti, burrata pugliese, fiordilatte e agerolese e prosciutto crudo di razza mangalica (il celebre suino lanuto). Il cui ossocollo va a impreziosire la pizza che rende omaggio a un erborinato quale il blue di Jersey, accostato alle nocipesche bianche di Corbara sciroppate.    

La pizza WIP Rivisitata

Terra, terra, terra. Ritratta in pizze tonde al piatto, messe a punto con Petra 3, Special o Petra 9, la “tuttoilgrano” di casa Quaglia. Ed esaltate da un filo d’extravergine biologico. Che completa anche la “WIP Rivisitata”, virtuosa di ricotta, mortadella, pesto e granella di pistacchi, zest di limone e pepe nero in grani. Nonché tutte le altre referenze, pronte a inanellare molti altri must della Campania Felix, come provolone del monaco, alici e colatura di alici di Cetara, pomodorini del piennolo del Vesuvio e friarielli. Che entrano a pieno titolo pure in un panino gourmet, insieme a salsiccia di maialino nero casertano e provola, con corredo di patate di montagna. Pane homemade, of course. Come accade in quello che elegge fra gli highlights la cipolla ramata di Montoro. I cui anelli fritti spiccano nella comfort zone “friggitoria”, cui concorrono anche le polpettine con salsiccia, provola e broccolo aprilatico di Paternopoli (fieramente tutelato come Presidio); le chips fatte in casa e persino l’arancino di mare, preparato secondo il pescato. E per chi ama la carne? Tagliata di rubia gallega, ma pure filetto di manzetta beneventana. Perché sempre in terra natìa si torna. 


WIP - Burger & Pizza di Domenico Fortino e Lorenzo Oliva ha riaperto a Nocera Inferiore (Salerno). Intanto WIP ci propone la ricetta della pizza da fare in casa. Per replicare la "Fichi" o "La mia napoletana".


❓Penseremo a nuovi modi di fare business❓
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Cristina Viggè
2020-06-16T16:57:39+02:00

Nella nuova collection spring-summer 2020 di Alessi, la serie di pentole Edo by Patricia Urquiola si arricchisce di un'asparagiera, corredata di cestello e coperchio. In una fusione di matrici basche, linee nipponiche e savoir-faire latino - Foto di Matteo Imbriani 

Leggi l'articolo su wallstreetitalia.com

Ripenseremo al nostro modus operandi?

Aziende che riducono il personale. Aziende che si ingrandiscono. Avviando nuovi canali di attività e aprendosi a inedite opportunità. Ma ci sono anche aziende che ripensano e rimodellano il loro modo di operare e di agire. È il caso dell’italianissima Alessi (anno di nascita 1921). I cui soci, in occasione di una recente assemblea straordinaria, hanno deciso per un cambio di statuto, trasformandosi in Società Benefit. Qualifica giuridica - introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 - che fa riferimento a tutte quelle realtà che, pur non rinunciando al loro fare impresa, credono in finalità di beneficio comune, ragionando in modo sostenibile, responsabile e trasparente. Tant’è che ogni anno, parallelamente alla redazione del bilancio economico, una società di questo tipo deve produrre un rendiconto di tal mission, nonché valutare gli impatti complessivi rispetto alla società e all’ambiente. Un modus operandi positivo, solidale e propositivo, che porta a compimento un processo di sviluppo che aveva già garantito ad Alessi nel 2017 (prima tra le fabbriche di design in Italia) la certificazione di B Corporation. A conferma di un business inteso come forza rigeneratrice. Anche per il Pianeta.


Il tempo trascorso a tavola diviene celebrazione. Anche all'aperto: in terrazza o in giardino. Grazie al servizio da tavola Dressed en plein air firmato Marcel Wanders. Che rinnega la plastica optando per materiali resistenti e sostenibili - Foto di Matteo Imbriani

Il perché? È presto detto. Alessi porta (e apporta) arte, cultura e poesia nel processo industriale. Basti pensare che i suoi prodotti sono esposti nelle collezioni permanenti di oltre cinquanta fra i principali musei d’arte contemporanea del mondo. E che negli ultimi dieci anni sono stati avviati oltre 1.200 progetti di ricerca e sviluppo, coinvolgendo designer di vari Paesi. Inoltre Alessi crede nelle persone, offrendo ai dipendenti un virtuoso programma di walfare; e tiene fede pure a un’etica economica, generando un profitto equo e sostenibile, reinvestendo, facendo in modo che la ricchezza possa ricadere su tutto il contesto e perseguendo azioni filantropiche. Non da ultimo l’azienda opera nel rispetto della comunità e dell’ambiente. Optando per materiali riciclabili o di lunga durata e recuperando gli scarti. Nel segno del no waste. 


Dressed en plein air: per apparecchiare su un prato.
Sempre dalla collezione primavera-estate 2020 - Foto di Matteo Imbriani

“Sono già in corso i preparativi per la celebrazione del centenario, ma soprattutto sono in sviluppo nuovi progetti di un rilievo tutto particolare, e conto che anche nella fase di difficoltà economica, sociale e politica che il mondo intero sta attraversando ci consentiranno di iniziare il secondo secolo di vita con la sensibilità, l’intuito e la vivacità che hanno sempre caratterizzato la nostra fabbrica del design italiano”, spiega con ottimismo il patron Alberto Alessi. 


Cristina Viggè
2020-07-01T16:42:37+02:00

Giovanni Santarpia fotografato da Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Giovanni Santarpia: impasti e simpatia

“Inizialmente siamo partiti con il delivery. Poi, abbiamo introdotto l’asporto. E a metà giugno abbiamo riaperto. Ho preferito attendere che fosse tutto a posto. Che le persone si sentissero serene e tranquille. E devo dire che sono contento. La gente inizia a uscire e a venire da noi”, racconta felice Giovanni Santarpia. Che va piano e va sempre lontano. Perché da vero scugnizzo napoletano - come si definisce lui (originario di Castellammare di Stabia) - ama fare le cose con il cuore, il sorriso e la passione. Oltreché una buona dose di determinazione. Necessaria soprattutto ora che se ne sta alla guida di un’insegna che porta orgogliosa il suo nome e il suo cognome. Alle porte della splendida Firenze. Precisamente in via Senese 155/red (ma sul sito sono precisate tutte le indicazioni per raggiungere il locale). “All’interno, al momento, contiamo una quarantina di coperti. Ma abbiamo anche un bel dehors, con una trentina di posti”, continua Giovanni. Fierissimo della sua nuova “casa”. Inaugurata poco prima del lockdown. Della serie, la ripartenza è quasi un’ufficiale partenza.

Giovanni Santarpia: spirito napoletano in Toscana - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

Solare, esuberante ed entusiasta Santarpia. Cresciuto “a bottega”, attaccato al bancone di una pizzeria al taglio. Per ammirare, carpire e rubare i trucchi del mestiere. Un autodidatta dalla grande manualità, dall’immensa sensibilità e dall’innegabile identità. “La pizza mi deve rappresentare. Deve avere il mio carattere, esprimere la mia personalità e comunicare i miei sentimenti. Chi mangia la mia pizza, mangia la mia vita”, ripete il saggio Giovanni. Che effettivamente fa una napoletana tutta sua. A doppia lievitazione e con un’idratazione pari al 70%. A tutto vantaggio di leggerezza e digeribilità. Cotta in un forno Valoriani - studiato ad hoc - per un minuto e mezzo a 430-440°C. Insomma, un po’ più lentamente e a una temperatura leggermente inferiore di quella prevista dai diktat della tradizione.

Gli interni della nuova pizzeria, appena fuori Firenze

In carta? Le grandi classiche, ma anche la Margherita Gialla, con pomodorino giallo del piennolo del Vesuvio, provola affumicata del Casolare (casertano caseificio di Alvignano), ricotta salata di pecora e olio extravergine; la Marinara Gialla, complici le acciughe di Cetara, i capperi di Salina, l’aglio, l’origano e le olive di Gaeta; il Panuozzo, prezioso di guanciale di Sauris e peperoncino; la Salsiccia, porri e gorgonzola e la Parmigianella, con cubetti di melanzane fritte. “Friggere non è così semplice. Per esempio devi avere l’accortezza di stare un po’ distante dalla pentola. Altrimenti assorbi tutti gli odori e ti viene a nausea l’intera operazione. Io prediligo l’olio di semi di arachide. E quello di semi di girasole in caso di allergie”, spiega Giovanni, raccontando la sua pizza fritta.  Un vero cult. Specie col lampredotto - di Luca Cai (dell’osteria-tripperia Il Magazzino) - e salsa verde. Per una succulenta combo campana-toscana. “In genere il lampredotto viene servito nel pane tagliato a metà, una rosetta. Tuffata nel brodo caldissimo. Lo stesso in cui è stato cucinato il lampredotto. Ecco, la fragranza della pizza fritta va a sostituire al meglio quel piacevole senso di unto dato dal brodo. Regalando la spugnosità perfetta”.


Giovanni Santarpia intento in una preparazione

E la trippa? Eccola pure lei, preparata con il pomodoro “tirato” ben bene e poi inserita in un arancino. Per un’altra inedita crasi siciliana-fiorentina. Non dimenticando la mozzarella in carrozza; le montanarine; il sauté di molluschi e crostacei accompagnato dal pane fatto in casa; e gli scialatielli del pescatore. Una proposta coerente e sapiente. Sostenibile. Popolare. Democratica. Che non si distrae, restando concentrata sulla materia, sul pane, sul pomodoro, sulle interiora, su Firenze, sulla Campania e sulla mediterraneità. Il tutto servito su una tavola vivace, virtuosa di un’apparecchiatura easy e smart, grazie a tovagliette in carta riciclata e riciclabile. 


L'allegria napoletana - Foto di Thorsten Stobbe per l'Almanacco della Pizza

“Prossimamente mi piacerebbe proporre anche il mio pane, svuotato della mollica e ripieno. Ossia bagnato con il sugo. Magari intriso di ragù, come faceva mia mamma. Oppure colmo di salsiccia e broccoli, di genovese, di polpette, di spezzatino, di peposo toscano. Insomma, quello che noi chiamiamo cuzzetiello. Un caposaldo dello street food partenopeo. Sì, mi piace presentare sempre qualcosa di allegro, dinamico e divertente”, commenta Giovanni. Che adora indossare divise colorate, ironiche e sgargianti.  


La pizzeria Giovanni Santarpia ha riaperto a Firenze. Intanto Giovanni ci propone la ricetta della sua montanarina con cipolla, burrata, gambero crudo e feste di limone.


❓Quanto è importante l’energia dell’allegria❓
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Cristina Viggè
2020-07-02T12:28:14+02:00

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Leggi l'articolo su huffingtonpost.it

La gioia salverà il mondo?

“Allegria!”, ripeteva Mike Bongiorno. “Il riso fa buon sangue”, recita un antico adagio. Indubbiamente ridere fa bene pure alla mente, allo spirito e al cuore. Certo. Ottimismo e positività incoraggiano la speranza e la ripartenza. Quindi? Via libera al colore, alla gioia e all'euforia. Perché la sostenibilità passa anche attraverso la felicità. Un think positive che ha contagiato il birrificio Baladin. Che, nel nome della rinascita, ha disegnato una serie limitata di etichette iper allegre, esuberanti, sgargianti ed eccentriche. Pronte a vestire esclusivamente duemila bottiglie (da 33 cl) delle sei icone della griffe agricola di Piozzo. Una collection super pop, battezzata Flower Power, nel segno di peace & love e della cultura geek. Grazie alla mano e al timbro creativo di Alessio, alias Islaz. 


La collection Flower Power by Baladin

Ecco allora la Isaac, che sfoggia le margherite, il dirigibile Zeppelin (Alessio mentre creava stava ascoltando i Led Zeppelin) e l’astronave Tardis, con cui viaggia nel tempo il celebre protagonista della serie britannica Doctor Who. Blu oceano, pesci e fondali abissali, invece, per la Wayan. A ricordare le illusioni ottiche di Maurits Cornelis Escher e a rammentare che lei sta benissimo con i frutti di mare. E la Nora? Accoglie la piramide di Cheope, la Sfinge, l’occhio vigile di Horus e i seducenti fregi mediorientali. 


La birra Isaac indossa un abito-inno alla gioia

Intanto, la giungla avvolge la Leön, fra scimmiette, serpenti, farfalle e fiori che escono dalla bocca del re della foresta. Che ha sull’occhio il lampo-firma di Ziggy Stardust (l’alter ego di David Bowie). Mentre Superman svolazza sulla Super Bitter e le tematiche anni Cinquanta allagano la Rock’n’Roll. Dove spicca un vinile intitolato a Johnny B. Goode by Chuck Berry.


La Wayan a tema marino

Gigli, garofani, ulivi, limoni di Sorrento. E ancora, farfalle e libellule, pavoni e fenicotteri rosa. Mentre un leopardo sfila tra la fitta vegetazione e una conchiglia magicamente si apre. Evocando la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. E sulla retroetichetta? Una colonna rende onore ad Andrea Palladio e un cavallo alato pare zampillare direttamente dalla capitolina e tardo barocca Fontana di Trevi. È un vero omaggio all’arte, all’architettura e alla grande bellezza italiane la nuova e special edition Paradise dello spumante Brut Rosé di Valdo, sintesi tutta made in Italy di glera (il vitigno del veneto Prosecco) e nerello mascalese (un siciliano autentico, coltivato alle pendici dell’Etna). Della serie, nord e sud, flora e fauna, memoria e modernità per un vestito Meraviglioso. Come canterebbe Domenico Modugno. 


La special edition Paradise dello spumante Brut Rosé by Valdo

A creare l’abito? La raffinata designer statunitense Ceci Johnson, fondatrice dell’atelier Ceci New York. “Ogni opera artistica assume un significato particolare a seconda dello spirito del tempo e del pubblico a cui si rivolge. Il Paradiso che ho creato per Valdo è un luogo ideale che tutti possiamo trovare mentre superiamo la recente crisi globale: per alcuni può significare vivere senza paura od odio, per altri vuol dire semplicemente passare momenti spensierati con i propri amici e affetti. Valdo Paradise è uno spumante che vuole unire”, spiega Ceci. Inoltre, per la gioia del Pianeta, anche secchielli e spumantiere paradisiache sono in materiale ecosostenibile. Recuperato dagli scarti della lavorazione del legno. 



Cristina Viggè
2020-07-08T17:14:33+02:00

Grazia Mazzali a Identità Golose 2019 - Foto di Thorsten Stobbe

Grazia Mazzali e i dolci aromatici e fioriti

“La ripresa è piuttosto lenta. Ma il bello è che ho scoperto valori e ritmi diversi. E poi ho conquistato clienti nuovi. Certo. Lo spazio all’aperto mi ha avvicinata a tutte quelle persone che amano far colazione o merenda all’aperto. Infatti ho un bel dehors, in cui posso ospitare fino a quaranta persone. A questo punto mi auguro solo che l’estate duri fino a ottobre”, racconta serena Grazia Mazzali, patronesse e pastry chef della dolce realtà che porta il suo cognome. In quel di Governolo, mantovanissima frazione di Roncoferraro. Una pasticceria di lunga data, fondata da papà Alfio nel lontano 1957 e passata nelle mani della figlia solo più tardi. Sì, non subito. Visto il diploma magistrale di Grazia e l’iniziale carriera da insegnante. Poi, il ritorno “a casa” e nella bella bottega non lontana dal Mincio. E neppure dal Po. Il Grande Fiume. Da cui pesca - in stagione - i tartufi. Per creare la Pepita del Po: un panettoncino in vasocottura, in versione salata. Perfetta per accompagnare salumi, salmone e formaggi di capra o di pecora.

La torta Margherita - Foto di Thorsten Stobbe

E se anche la sbrisolona non teme la declinazione al parmigiano reggiano - ideale da spezzettare e accompagnare a un aperitivo - Grazia non tradisce la dolcezza. Il che si traduce in una deliziosa torta al cioccolato al latte e passion fruit (complice un biscotto alle mandorle); in una cheesecake all’albicocca in tre texture (fresca, semi candita e gelée); in una torta in equilibrio fra pesche bianche e scura salsa fondente montata; e in un’altra ancora allo yogurt e more di gelso. “Ma devo migliorarne la lucentezza. Anche se l’opacità a dire il vero non mi dispiace”, puntualizza la meticolosa e caparbia Mazzali. Che intanto prepara i Semotti - biscotti cui concorrono farina integrale e Bonsemì -, nonché un soffice bauletto agli agrumi. “Si chiama Buon Mattino e per lui uso la farina Petra Panettone. Quel che risulta è un lievitato in bilico fra una veneziana e un pandoro, con una fragrante crosticina alle nocciole”.

La torta Viola, con yogurt e mirtilli - Foto di Studio84

La Millefoglie - Foto di Studio 84

La torta Perle e Rubini - Foto di Studio84

Ma la vera novità è una collection dallo spirito innegabilmente femminile, ma imprescindibilmente bucolico, arcadico, idilliaco e sostenibile. Quasi panteistico. Nel senso che tiene fede al tutto, alla natura e alle sue poliedriche potenzialità. “Ho messo a punto due nuove linee di mignon. I Fioriti e gli Aromatici. Posso partire da una base dolce, che poi vado a tagliare a quadrotti da 3 x 3 centimetri. Oppure posso preparare singolarmente i diversi pezzi, utilizzando un pan di spagna, un frollino, un biscotto croccante. Io adoro masticare. Anche quando si tratta di un pasticcino”, spiega Grazia. Che nell’iter di lavorazione prevede pure fiori freschi - come la rosa - e infusi di erbe. “A freddo però, altrimenti con il caldo le erbe aromatiche si rovinano”.

Mignon al cioccolato, mora e menta

Ecco allora inedite sinergie fra albicocca e lavanda; cioccolato, mora e menta; basilico e limone; crema di latte al rosmarino e fragole; salvia e litchi. “Uso cinque tipi di salvia, provenienti dall’Alto Adige”, commenta fiera la pasticceria. “Sto già pensando a una combo fra bergamotto e gelsomino. E mi piacerebbe fare qualcosa con le violette. Ma ormai la stagione è passata”. Ovvio. Si tratta infatti di una compilation strettamente legata al momento e al carpe diem. Così come spesso legato alla stagionalità è il gelato. Soprattutto in taluni gusti. Come quello alla pesca gialla veronese o alle bacche di sambuco. “Faccio una ventina di gusti. Alcuni più classici. Altri più creativi. Latte e menta per esempio. Ma pure zenzero e curcuma”, racconta Grazia. Che recentemente ha fatto cuocere le amarene e le ha messe in una pochette da passeggio. Ottime per impreziosire un gelato alla crema o una fetta di torta. “Le amarene conferiscono una freschezza assoluta”. E danno pure un tocco di charme. 


La Pasticceria Mazzali di Grazia Mazzali ha riaperto a Governolo (Mantova).


❓In che modo potremo sentirci parte della natura❓
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Cristina Viggè
2020-07-09T10:11:52+02:00

L'orto del SanBrite, agricucina a Cortina

Leggi l'articolo su tgcom24.mediaset.it

Ci riconcilieremo con la natura?

Un castagno può insegnare. La saggezza, la pazienza, la temperanza, la serena resilienza. La quiete e la forza. L’innata empatia con la storia, con le stagioni, con l’ecosistema. Un castagno primordiale può celebrare la riconciliazione con la natura. Un castagno più diventare protagonista di un tessuto narrativo in cui si intrecciano aneddoti, curiosità, ricette, riflessioni, riti e ricordi. Come accade in Suite per un castagno, il nuovo libro di Raethia Corsini, pubblicato da Guido Tommasi Editore ed entrato ufficialmente nella rosa dei sei finalisti del Premio Bancarella della Cucina 2020.

Il castagno, fra metafora e realtà nel nuovo libro di Raethia Corsini

"Il castagno è una pianta che ha sfamato l'umanità e l’autrice è stata capace, grazie a un’originale mescolanza di generi e di linguaggi, di mettere in risalto non solo la sua storia, ma anche quella del cibo come elemento trasversale che unisce i popoli nel tempo. La giuria ha riconosciuto il merito dell'opera, come anche il valore di tutta la linea editoriale di Guido Tommasi Editore. Si tratta inoltre di un libro capace di rappresentare più che mai il nostro territorio e, in senso più ampio, il valore della cultura gastronomica italiana, fondata sul rapporto intenso con la natura che ci circonda”, spiega Gianni Tarantola, presidente della Fondazione Città del Libro. Che, insieme all’Unione Librai Pontremolesi e all’Unione Librai delle Bancarelle, organizza il premio, giunto alla sua 15esima edizione. Dove spicca un volume che, come in una composizione musicale a più tempi e in più stili, divaga tra radici e rami, trovando un nesso fra terra e cielo.  

Fra i sei finalisti del Premio Bancarella della Cucina 2020

“Ho scritto un libro (all’)imperfetto per grandi e piccini di ogni età. Ideale da leggere a voce alta, come le favole, intorno a un simbolico focolare, per regalarsi una manciata di tempo sospeso tra la storia e la fantasia, tradizioni perdute e nuovi orizzonti, tra coscienza ecologica e riflessioni esistenziali contemporanee, così come possono scaturire dalla mente di una bambina”, spiega la scrittrice e giornalista: nata a Milano e cresciuta sull’Appennino Tosco-Emiliano. Ma attenzione. “Non è un racconto nostalgico del tempo che fu. Non è un racconto sul mito del vivere nella natura né tanto meno in montagna. Volevo parlare, ripescando pensieri e parole bambine, del rapporto con un albero, simbolo stesso di vita, certamente un mentore della mia infanzia che si è radicato più di quant’io stessa sospettassi. Così ne è emerso un racconto che, con pensieri e parole bambine, ci riconduce al cuore dell’esistenza di ogni animale: siamo imprescindibilmente parte di un tutto”, commenta Raethia. Tracciando le linee di un moderno panteismo.

Pranzo nell'orto del SanBrite, a Cortina d'Ampezzo, grazie alla proposta del Faloria - Foto courtesy SanBrite


L'agricucina di Riccardo Gaspari - Foto courtesy SanBrite

Dalla terra alla tavola nell'orto del SanBrite, una delle proposte del Faloria - Foto courtesy SanBrite

Il Faloria Mountain Spa Resort di Cortina d'Ampezzo

Lo chef Riccardo Gaspari e la sua Brite Mobile - Foto courtesy SanBrite

In bilico fra rocce e cielo con la Brite Mobile, una delle proposte firmate Faloria - Foto courtesy SanBrite

E in un VentiVenti sospeso nel tempo, molte sono le realtà che propongono emozionali experience a contatto diretto con la natura. Per sentirsi parte della natura. A Cortina d’Ampezzo, il Faloria Mountain Spa Resort, oltre ad aver risintonizzato l’albergo sulle frequenze della sicurezza, dell’esclusività e della massima personalizzazione, propone un iper green “Pranzo nell’orto” a tu per tu con lo chef Riccardo Gaspari, nell’incanto verde del SanBrite, assaporando pietanze che sanno andare dalla terra al piatto. E che sanno scalare persino le montagne. Certo, grazie alla cucina itinerante Brite Mobile, Riccardo sposta e dispensa il suo saper fare anche in mezzo a un bosco, in riva a un ruscello e persino in vetta, fra rocce e infinito. Invitando a scoprire i sapori agricoli e dolomitici, in combinata con vini biologici. Per un tuffo into the wild. E per chi ama l’assoluta privacy, il resort concede la possibilità di privatizzare - per l’intero soggiorno - le alcove a bordo piscina. Per un intimo sguardo sul Monte Faloria.

La Solitaire: la full immersion nella natura targata Auberge de La Maison di Courmayeur

Le delizie giungono in una cesta, attraverso corde e carrucola

Con La Solitaire si assapora nel silenzio della natura


Intanto? A Courmayeur (o meglio nel villaggio di Entrèves), l’Auberge de La Maison lancia Le Solitaire: una tavola in solitaria ai piedi del Bianco. Per un pranzo, una cena, un aperitivo o una degustazione nell’assoluto silenzio. “Abbiamo immaginato un atto poetico alpino e ci è venuta in mente una tavola apparecchiata per bene, immersa nei prati con vista Monte Bianco, che circondano la nostra casa. E poi la sorpresa, una carrucola alpina, come mezzo per servire quella tavola, un cesto con i sapori più sinceri della nostra cucina e dei nostri vitigni. Il sostegno della carrucola è stato studiato per noi, dalla Società Guide Alpine di Courmayeur, la più antica d’Italia, reinterpretando per un’esperienza di sapore i tecnicismi delle corde di arrampicata. Una tavola nella natura come sala da pranzo, una carrucola come servizio: non è forse questo un atto poetico?”, racconta la patronesse Alessandra Garin.

La Sicilia contemporanea di Ammare, a Sampieri

Il gruppo di Ammare in spiaggia, con lo chef Beppe Barone e Stefania Lattuca

Un tuffo nel Mediterraneo da Ammare

Montagna, ma anche mare. Anzi, Ammare, summer spin-off tutto siciliano del ristorante Terrammare di Milano (che intanto ha riaperto), inaugurato sul finir dello scorso anno nel cuore dell’urbe lombarda. Un temporary restaurant immerso nell’azzurro, posizionato com’è direttamente sulla spiaggia di Sampieri, fascinoso borgo marinaro in quel di Scicli, in provincia di Ragusa. Segni particolari? Il suo essere indissolubilmente ancorato all’acqua. Da design alle pietanze, passando per i piatti in vetro trasparente. Realizzati da Alessandro Di Rosa nel suo lab Thalass di Modica. Mentre le tovagliette azzurre rammentano le onde e la struttura, messa a punto con assi bianche, rievoca un’imbarcazione. 


Il pesce è servito. Nei piatti griffati Thalass

Alla regia? Un gruppo vincente e volitivo, capitanato da Beppe Barone e Stefania Lattuca, già alla conduzione della modicana Fattoria delle Torri e della nuova insegna “meneghina”. E ora fieri di fare un tuffo ammare, lungo il sabbioso litorale che va da via Miramare sino a Punta Pisciotto, ove si trova quel che resta della Fornace Penna: una vera cattedrale laica sul mare, meglio nota come La Mànnara nella saga del Commissario Montalbano.

Il dream team di Ammare, capitanato da Beppe Barone e Stefania Lattuca

Fra le vivande, il Girotonno, girandola di tonno in foggia di tartare, tataki e sashimi; la pasta con le sarde; gli spaghettoni ai ricci di mare; il baccalà con seppie e patate; e la surra di tonno e caponata, ossia quella che, in vernacolo locale, fa riferimento alla saporitissima ventresca. Per ascoltare e respirare l’onda lunga del Mediterraneo. 



Cristina Viggè
2020-07-12T18:05:35+02:00

Mirko Petracci nel nuovo giardino de La Scaletta, ad Ascoli Piceno

Mirko Petracci: osmosi ambientale e sociale

“Tutto ha avuto inizio con la Margherita 3.0. Studiata insieme allo chef Davide Camaioni del ristorante PostoNuovo di San Benedetto del Tronto. In genere, a maggio, organizziamo un evento: Pizza and the City. Ma visto il lockdown abbiamo pensato di proporne la versione a domicilio. Con corredo di incontro virtuale su Zoom. E con La Box esperienziale firmata da Laura Di Pietrantonio, che conteneva tante eccellenze. Come la Passerina Brut di Velenosi, la ventricina dei Salumi Fracassa, l’Anisetta Meletti e persino una playlist musicale. E naturalmente non mancavano il mio impasto Gran’Aria e i topping messi a punto dallo chef. Fra cui la rilettura del grande cult nazional popolare. Un’interpretazione che oggi è entrata ufficialmente nella mia Carta delle Margherite” racconta Mirko Petracci. Che, con i fratelli Piero e Romolo, porta avanti la pizzeria di famiglia: La Scaletta, in quel di Ascoli Piceno.

Mirko Petracci presenta la sua Mama non m'ama

Un’insegna in movimento e in fermento. Che questa estate vede sbocciare tante novità. Come la collection delle Margherite. “La Margherita è una pizza decisamente estiva. E mi piaceva l’idea di giocare sui tre elementi, pomodoro, formaggio e basilico, concentrandomi sulle diverse cotture, sulle differenti temperature e sulle variazioni di consistenze”. Ecco allora la Margherita 3.0, con salsa di pomodoro di Pachino al lardo e cipolla, scaglie di formaggio di fossa e gel di basilico; la Margherita 2.0, con il pomodoro pera d’Abruzzo (Presidio Slow Food), stracciatella di burrata ed emulsione di basilico fresco; la Mama non m’ama, con polvere di pomodoro, mousse di bufala e petali di basilico fritto; nonché la Marghedina, con pomodoro in porchetta, cremoso al latte e polvere di basilico. Non dimenticando la declinazione più iconica col fiordilatte e l'upgrade con la mozzarella di bufala campana. Il tutto da abbinare all’impasto tradizionale, oppure a quello brevettato da Mirko: Gran’Aria. Ad altissima idratazione. Ottenuto partendo da tre prefermenti. Della serie, farina Unica per il rinfresco del lievito madre liquido (licoli); Petra 1 per la biga e la “tuttograno” Petra 9 per il poolish. Un impasto che pare un soffio. Un impasto che respira. E che regala un morso in equilibrio fra levità e croccantezza.

La Marghedina fa parte della nuova Carta delle Margherite

Il nuovo spazio esterno dell'insegna ascolana

La Marghedina, sfornata anche all'evento di inaugurazione del menu estivo

Un rigoglioso giardino delle Margherite. Da scoprire accomodandosi in uno scenografico garden. Certo. Perché La Scaletta si è allargata ed è uscita allo scoperto. “All’esterno contiamo ben 270 metri quadrati di spazi. Grazie alla gentil concessione del parcheggio condominiale, trasformato in cortile, e di una parte del parco pubblico. Ho arredato tutto con tavoli in legno e e affidato l'illuminazione a La_it Luce, di Ascoli. Volevo fare qualcosa in grado di sorprendere. Ma non pensavo potesse venire così bene. Ora, fra dentro e fuori, vantiamo circa 180 coperti. E tutto sta andando oltre le aspettative. Persino molto meglio del pre-Covid”, precisa Mirko. Che non solo ha dato vita a un giardino delle meraviglie, ma ha pure reso meravigliosa una zona del parco cittadino un po' trascurata e lasciata in ombra. Riqualificando un’area urbana. “E stiamo già ragionando sul futuro”, continua Petracci. “Il sindaco è rimasto piacevolmente stupito di come abbiamo ordinato e messo in luce questa parte di Ascoli”.

La Parmigiana: salsa di pomodoro cotto, battuto di melanzana stufata, cialda di grana padano e basilico fritto
 

La Rosa d'Amare

La Passeggio al Tramonto

Un’oasi dove poter assaporare anche pizze gourmet. Sei rigorosamente stagionali, e due insostituibili ed evergreen. Come l’Amatriciana, con salsa di pomodoro San Marzano bio, cipolle bianche, guanciale (da maiali allevati allo stato semibrado), pecorino romano e pepe fresco. “Per le altre mi sono confrontato sempre con Damiano. Che mi ha dato una mano sugli accostamenti. Alcune infatti sono la rilettura di pizze che avevo già, ma che ho voluto rivedere un po’. Altre sono proprio inedite”, continua Mirko. Orgoglioso della Re Peperone, con crema di peperoni rossi e gialli, pancetta croccante, stracciatella e granella di nocciole; della Passeggio al Tramonto, preziosa di mousse di ricotta e gorgonzola, fiori di zucca e concassé di pomodori aromatizzati al timo; e della Che Fico che sono. “Prima la facevo con i fichi freschi. Però non si riuscivano ad avere per tutta la stagione. Così ho pensato a una confettura di fichi e germogli”, puntualizza l’artigiano. Che completa l’opera con il prosciutto crudo stagionato 19 mesi by Fracassa e con la stracciatella di burrata. Non trascurando un’assoluta new entry: la Rosa d’aMare. Con calamari della Patagonia cotti a bassa temperatura e conditi con lime e pepe di Sichuan, vellutata di zucchine e spicchi di ravanelli in agrodolce con aceto di lampone.

Le pagnotte preparate con Petra Evolutiva

Il professor Salvatore Ceccarelli

Il pane con Petra Evolutiva di Mirko Petracci

“Inoltre, durante il lockdown, ho cominciato a fare il pane. Con la farina Petra Evolutiva. Sarà il mio pane. Lo venderò in pizzeria”, prosegue Mirko. Che, fra gli ospiti dell’evento di inaugurazione del menu estivo, ha voluto il professor Salvatore Ceccarelli (abitante, fra l’altro, in Ascoli), il grande teorico e tecnico dei miscugli e delle popolazioni evolutive in agricoltura. “Sì, verso febbraio vorrei rinnovare gli spazi del locale. Abbiamo vinto un bando della Regione Marche e non ci poteva capitare miglior situazione finanziaria. Ma non voglio fare solo il restyling degli interni. Ma dar forma al mio concetto di pizzeria tout court. Eliminando i fritti dalle entrée per far focus solo sui lievitati, dall’inizio alla fine. Dai grissini al pane, sino alle pizze. Mi piacerebbe emergere come pizzaiolo che ha saputo fare ricerca nel settore della lievitazione”, afferma Petracci. Che, oltre alla Gran’Aria, vuol dar fiato a molte altre idee. Spesso ancorate ai concetti di sostenibilità e solidarietà.

Illuminato ad hoc, il giardino de La Scaletta va a riqualificare un'area del parco urbano

Sostenibilità economica. E ambientale. “Anche quest’anno, in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, vogliamo contribuire alla piantumazione delle piante sia nel parco sia in collina. È il nostro ringraziamento alla natura. Il nostro modo per compensare la legna utilizzata per il forno”, confessa Mirko. Solidale anche con la cittadinanza. “Inizieremo una collaborazione con la Bottega del Terzo Settore, spin-off della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Vogliamo coinvolgere le associazioni del territorio e concorrere concretamente a progetti comunitari. Il tessuto urbano è fondamentale. Anzi, è la nuova frontiera del cibo. Basti pensare a una cosa. Negli anni Cinquanta il cibo non c’era. Poi è venuto il tempo delle grandi abbuffate. Oggi il cibo è diventato esperienza. E porta con sé un forte messaggio sociale”. 


La pizzeria La Scaletta di Mirko Petracci ha riaperto ad Ascoli Piceno.


❓Sapremo dar voce a sostenibili messaggi sociali❓
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Cristina Viggè
2020-07-13T16:53:01+02:00

L'Andana, a Castiglione della Pescaia

Leggi l'articolo su torinoday.it

Welfare new style?

In piena emergenza, la prima a lanciare l’iniziativa è stata la famiglia Costa, titolare dell’albergo Posta Marcucci di Bagno Vignoni. Nel cuore della Val d’Orcia, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Mission? Donare un soggiorno gratuito a tutti gli operatori impegnati in prima linea nella lotta contro il Covid. Un modo per ringraziare medici, infermieri e rianimatori dei reparti di terapia intensiva. Esprimendo ammirazione, devozione e comprensione per il gran lavoro svolto con coraggio, sapienza e resilienza. Ma anche un modo per allargare concretamente le braccia, riconoscendo l’umanità come patrimonio. Da tutelare e valorizzare.

Gli alberghi aderenti a La vacanza che verrà

Un gesto solidale, d’accoglienza e gratitudine, presto emulato da altre grandi famiglie dell’hôtellerie italiana. Da nord a sud. Pronte a rispondere all’adagio: La cura siamo anche noi. E pronte ad offrire La vacanza che verrà. Un messaggio colmo di speranza, tradotto in un soggiorno di una o due notti, dalla domenica al giovedì, fino a novembre 2020, escluso il periodo che va dal 13 al 26 agosto. Ecco allora farsi avanti di nuovo la famiglia Costa con l’Hotel La Perla di Corvara (Bolzano); la famiglia Sciò con Il Pellicano di Porto Ercole (Grosseto); la famiglia Melpignano con Borgo Egnazia, in quel di Savelletri di Fasano (Brindisi); la famiglia Gualandi con l’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo (Belluno); le famiglie Varese, Rossi e Bertolini con l’Hotel Royal Sanremo (Imperia); la famiglia Moretti con L’Andana di Castiglione della Pescaia (Grosseto) e L’Albereta di Erbusco (Brescia); e la famiglia Madonna con l’Hotel Byron di Forte dei Marmi e il Plaza e de Russie di Viareggio (Lucca).

L'Hotel La Perla di Corvara


La Stüa de Michil, il ristorante stellato dell'Hotel La Perla

Lista che si è recentemente arricchita di altri sostenitori. Altre icone dell’alta ospitalità italiana. Voilà il Palazzo Seneca di Norcia (Perugia); l’Hotel Esplanade Tergesteo di Montegrotto Terme (Padova); il Portrait Firenze by Lungarno Collection; il Castello Dal Pozzo di Oleggio Castello (Novara, non lontano dal Lago Maggiore); nonché il Principe di Savoia di Milano e l'Hotel Eden di Roma, due proprietà firmate Dorchester Collection.

L'Albereta di Erbusco, in Franciacorta


La verde accoglienza dell'Andana, in Maremma

In Puglia, a Borgo Egnazia

Intanto? Martedì 14 luglio, i vertici del Policlinico San Matteo di Pavia ringraziano con un brindisi corale gli oltre mille dipendenti che si sono distinti durante la pandemia (con la consapevolezza che l’emergenza non sia ancora finita). A sostenere la celebrazione? Una delle cantine simbolo del territorio: La Versa. “Abbiamo immediatamente risposto affermativamente all’invito del presidente e del direttore generale del San Matteo perché riteniamo quanto fatto dai medici un qualcosa di straordinario. Impensabile soltanto qualche mese fa. Proprio per questo ci siamo subito messi a disposizione fornendo i nostri spumanti per il brindisi di martedì pomeriggio. Per noi è motivo di orgoglio essere al fianco di una così illustre realtà, ma lo è ancor di più perché abbiamo la possibilità di ringraziare con un bicchiere di bollicine tutti quegli eroi che nelle corsie hanno salvato migliaia di vite da un terribile virus che ha sconvolto la nostra vita”, afferma Andrea Giorgi, presidente di La Versa e Terre d’Oltrepò.

Brindisi firmato La Versa al Policlinico San Matteo di Pavia

Non solo. Per l’occasione è stata realizzata un’etichetta ad hoc, con l’hashtag #allasalute. Lo stesso utilizzato dalla cantina anche per la raccolta fondi a favore dell’ospedale nei mesi di marzo e aprile. “Doneremo a ogni reparto del Policlinico una magnum Testarossa 2015 con etichetta personalizzata e forniremo per il brindisi, oltre alle bottiglie singole, anche due grandi matusalem, due preziose testimonianze della nostra storia che vogliamo condividere con tutto lo staff di un’ospedale che, ancora una volta, si è dimostrato un’eccellenza sanitaria a livello nazionale e un orgoglio tutto pavese”, continua Giorgi. Anche questo è welfare. 



Cristina Viggè
2020-07-20T09:21:09+02:00

Una pizza lungo il Brenta, a Bassano del Grappa

Massimo, Michele e la premiata fabbrica sul fiume

“Il tutto sta ricominciando. Piano piano stiamo riprendendo i nostri ritmi di sempre. Certo, si va a giorni alterni. Ma noi ci mettiamo forza e coraggio”, racconta felice Michele Colpo, il regista degli impasti della Premiata Fabbrica Pizza, nella vicentina Bassano del Grappa. Laddove prima vi era una premiata fabbrica di ceramiche. Precisamente all’incipit - provenendo da Borgo Angarano - di quel Ponte degli Alpini conosciuto anche come Ponte Vecchio e divenuto monumento nazionale. Una pizzeria su tre livelli. Una casa sul fiume Brenta. Una fucina in costante fermento. Perché Massimo e Michele non si fermano mai.

Massimo Frighetto, patron della Premiata Fabbrica Pizza - Foto di Thorsten Stobbe


Michele Colpo al Sigep 2020 - Foto di Paolo Terlizzi

E men che meno si sono fermati durante il lockdown. Quando hanno proposto le consegne a domicilio. Collaborando anche con un’insegna-amica: L’Osteria della Tana di Asiago, guidata da Alessandro Dal Degan ed Enrico Maglio. Certo. Le basi delle pizze del delivery portavano la firma della Premiata Fabbrica, mentre i topping celebravano l’estro dello chef stellato dell’Altopiano (che naturalmente tiene le redini della Tana Gourmet). “Ora invece siamo aperti sette su sette, sia a pranzo che a cena. Eccetto il giovedì. Ma l’asporto è attivo sempre, tutta la settimana. Anzi. Abbiamo ampliato la proposta e continueremo ad ampliarla”, precisa Colpo. Che per il takeaway ha introdotto persino l’impasto contemporaneo: confezionato sottovuoto in atmosfera modificata e pronto per essere portato a casa, rigenerato e completato con gli ingredienti prediletti. Senza dimenticare il pane: con il lievito madre - dalla maturazione ancora più lunga - e senza lievito aggiunto. In foggia di pagnotte e di baguette. Con Petra 1 e farine di antichi grani siciliani. “Per ora lo sforniamo il mercoledì, il sabato e la domenica. Ma il nostro obiettivo è quello di farlo tutti i giorni”, continua il pizzaiolo. Che presenta pure il pane già tagliato a fette. Per la massima efficienza e per un’assoluta praticità. Nel nome della sostenibilità.

La Bresaola su impasto contemporaneo all'orzo

La Burrata, Cotto & Olive su impasto contemporaneo con farro, segale e avena

La Camomilla, Crudo & Tre Fichi su impasto contemporaneo con Petra Evolutiva e camomilla

Non spreco. Concetto a cui Michele e Massimo tengono moltissimo. “Per tutti gli impasti, tranne quello della pizza tonda a fermentazione spontanea, recuperiamo l’acqua di governo del lievito madre. Quella dove lui sta a mollo. La filtriamo e la usiamo”, precisa Colpo. Fierissimo della sua pizza in pala e del suo impasto contemporaneo. Che spicca in carta, incontrando ben cinque varianti sul tema. Ecco allora quello con farro, segale e avena; quello all’orzo; quello al mais; quello alla semola rimacinata di grano duro; e uno speciale con camomilla e Petra Evolutiva. Della serie, un impasto quieto e tranquillo. Che Michele mette a punto partendo da un prefermento, realizzato col kombucha di camomilla. Per poi aggiungere Petra Evolutiva, farina dai delicati sentori floreali, che ricordano il profumo della nota pianta dalle calmanti virtù. Impasto finale prezioso pure dei fiori essiccati di camomilla e di un 40% di estratto liquido degli stessi fiori. Al topping? Mozzarella, prosciutto di Parma 24 mesi by Ghirardi Onesto (maison di Langhirano); spuma di ricotta di capra del Caseificio Castellan Urbano di Rosà (Vicenza); e fichi in tre varianti: in salamoia, essiccati, nonché passati in forno a bassa temperatura (a 120°C per un’ora e mezza) e trasformati in salsa. Quasi a emulare il pomodoro. “Ho preso ispirazione dal pelato di kiwi di Renato Bosco”, spiega Michele. Che posiziona la salsina a ciuffetti sulla pizza. Per impreziosire, senza eccedere.

La Melanzane & Trentingrana su impasto contemporaneo con farro, segale e avena
 

La Zucchine & Grillo su impasto contemporaneo al mais

La Porchetta & Peperoni su impasto contemporaneo con farro, segale e avena

E sempre figli dell’impasto contemporaneo sono pure la Altopiano di Asiago, con Asiago stravecchio (un Presidio Slow Food, firmato dalla Fattoria Cortese di Conco) e speck dolcemente affumicato dei Colli Berici; la Melanzane & Trentingrana; la Vegana, summa di crema di cipolle, piselli freschi, scarola, fragole fermentate ed erbe aromatiche; e la Zucchine & Grillo, compendio di pomodoro giallo in salsa dell’azienda agricola salentina (di Ugento) iContadini, mozzarella, Grillo di Colmajor (formaggio molle da latte vaccino e dalla crosta fiorita), zucchine, buccia e polvere di pomodoro. “Sempre nell’ottica dello zero waste, recuperiamo tutti gli scarti delle verdure. Abbiamo fatto un crostino, chiamandolo Benvenuto in Italia e utilizzando polvere verde di sedano, polvere bianca di asparagi locali e polvere rossa di pomodoro. E ne abbiamo fatto un altro intitolato Benvenuto a Bassano. Tutto giallorosso. Creando il giallo con polvere di asparago bianco, polvere di carota e curcuma”, precisa Michele.

Il Benvenuto a Bassano

Il Crostone


Il Pane Cristallo, ossia la fragranza e l'evanescenza

Il pane della Premiata Fabbrica Pizza

Crostini. Ma anche crostoni. “Vanno a riprendere, in maniera moderna, quei pani da toast serviti un tempo nelle pizzerie: a tre strati, intervallati dal pomodoro”. Crostoni modernissimi e saporitissimi, con pomodoro Gustarosso, mozzarella, Trentingrana di 32 mesi e basilico. Affiancati anche da pizzette (da 100 grammi) e panzerotti al forno con erbe cotte e salsiccia. Pensati per chi non abbia una gran fame, ma comunque voglia di stuzzicare. A cui si va ad aggiungere il Cristallo di Pane, diamantina rilettura di quel pa de vidre firmato Albert Adrià. Un crystal bread che prende forma da una sapiente miscela di acqua, fecola di patate e radice di kuzu, regalando una texture evanescente e al contempo croccante. Proposto come entrée, complici burrata, pomodoro confit e "ombretto" di pomodoro.

La Premiata Fabbrica Pizza di Massimo Frighetto ha riaperto a Bassano del Grappa (Vicenza). Intanto Michele ci propone la ricetta del crostone di pane al lievito madre e kombucha con pomodoro, mozzarella, Trentingrana e basilico. 


❓Le singole voci del pane possono trovare un comune megafono❓
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Cristina Viggè
2020-07-20T11:29:40+02:00

Pane realizzato con le farine Petra - Foto di Enrica Guariento

Leggi l'articolo su gamberorosso.it

E se l’assolo diventasse un coro?

Chi fa da sé fa per tre. Non sempre. Soprattutto quando si deve comunicare un messaggio intenso e profondo. Le voci singole sono importanti, ma quando un assolo si trasforma in coro il canto diviene ancora più incisivo, penetrante, coinvolgente e travolgente. È l’energia della rete, del network, della filiera. Basti pensare ai consorzi, dov’è l’unione a far la forza. E basti pensare a tutte quelle realtà in cui è il gruppo a dar linfa vitale a ciascuna unità. Proprio come un puzzle, in cui ogni tassello è indispensabile a sostenere la totalità.

Ad Arzignano, Olivieri 1882 ha ottenuto i Tre Pani delGambero Rosso - Foto di aromi.group

È proprio questo il concetto che sta alla base di una guida che, sebbene alla sua seconda edizione, sta già creando un movimento: Pane & Panettieri d’Italia, firmata dal Gambero Rosso con la collaborazione di Petra - Molino Quaglia. “Crediamo che il pane debba tornare ad essere un cibo essenziale, cioè sintesi utile della sensibilità per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Ci sentiamo parte attiva con quanti vogliono un pane semplice, nutriente e naturale, emblema di una filiera virtuosa che porta in tavola i valori di un lavoro che non si butta via. Collaboriamo con Gambero Rosso sostenendo Pane & Panettieri d’Italia, perché riteniamo che questa guida possa diventare in breve tempo il simbolo di una panificazione italiana che abbandona schemi di produzione senz’anima per riscrivere in chiave contemporanea la tradizione dei pani regionali. Crediamo nel valore della filiera che supera il valore del singolo, nello stimolo di colture biologiche che esaltano naturalmente la biodiversità dei cereali attraverso la semina dei miscugli, nell’uso generalizzato del lievito madre vivo, nella ricerca di nuovi modi di macinare il grano, per esaltare gusto e potere nutrizionale delle farine, nel totale rispetto della sicurezza alimentare”, spiega Piero Gabrieli, direttore marketing dell’azienda di Vighizzolo d’Este.

I premiati con i Tre Pani nella guida Pani & Panettieri d'Italia 2021

Una guida portavoce di un pensiero comune. Una bussola per orientare l’arte bianca verso eccellenza, facendo in modo che la quotidianità divenga esperienza. Pane, singolare collettivo. Risultato di un circolo virtuoso che coinvolge agricoltori, contadini, mugnai e artigiani. Pane, essenziale e assoluto. Pane, possibile e sostenibile. Perché fiero di sostenere la terra e la tavola. Pane d’autore, fatto con amore: quello dei 370 indirizzi inseriti nel volume, con quaranta nuovi ingressi e quarantaquattro panifici - dal Piemonte alla Sardegna - premiati con il prestigioso riconoscimento dei Tre Pani. A cui si va ad aggiungere un tris di premi speciali: quello di Panettiere Emergente, che incorona Daniele Marè, all’opera nell’insegna che porta il suo cognome a Roma; quello di Pane dell’Anno, ossia il Filone al finocchietto selvatico, mandorle d’Avola e uva passa di zibibbo di Pantelleria, targato A Maidda di Trapani, creatura di Pietro Cardillo; mentre lo scettro di Pane e Territorio va a Carlo Eugenio Fiorani di Castelverde, in provincia di Cremona.

I premiati con i Tre Pani nella guida Pani & Panettieri d'Italia 2021

Intanto? È nato il Manifesto del Pane Artigianale, sempre per iniziativa di Petra e con tanto di possibilità di apportare la propria firma. Per contribuire ad anni e anni di impegno e di lavoro, dedicati a un mestiere antico come l’uomo eppur modernissimo e in perenne evoluzione. Correva infatti il millesimo 2006 quando nacque l’Accademia del Pane, con i suoi corsi, destinati a stimolare un nuovo saper fare, tenendo fede agli abissali valori dell’artigianalità e della genuinità. Un percorso che ora trova incarnazione in un manifesto-decalogo, pronto a raccontare e a ribadire il senso laico e religioso dello spezzare il pane. Accendendo i riflettori su filiera, clima, biodiversità, sostenibilità, rispetto, integrale, vitalità, naturalità, durata ed essenzialità.   



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Anteprima live di FUORIMAGAZINE curata da Cristina Viggè
FUORI è iscritto nel Registro della Stampa di Milano con il n. 160 dell’ 11 maggio 2017.

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I testi sono di Cristina Viggè quando non diversamente specificato.
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