Visioni fragranti

    Crostata: frolla, forma e futuro

    Iconica e immaginifica, la più celebre torta da credenza esce allo scoperto e si lascia contaminare dalla modernità. Grazie a nuove generazioni di pasticceri dinamici e volitivi. Orgogliosi di aver partecipato al contest Crostata Revolution e di presentarsi al prossimo Sigep di Rimini, nello Spazio Petra

    Casalinga, confortevole e rassicurante, lei è quella che se ne sta nella credenza. Sempre pronta a dispensare un momento delizioso: per la colazione, per la merenda, per un dopocena appagante. Così è la crostata. Portatrice sana di un senso di appartenenza, di famiglia, di condivisione. Ambasciatrice di semplicità e d’informalità. Metafora di ospitalità e di accoglienza. Le sue origini? Paiono risalire all’epoca romana, anche se la pasta frolla sembra affondare i natali fra Egitto e Siria, per poi giungere in Italia, verso l’anno Mille, grazie agli scambi commerciali. Riscuotendo un meritato e immediato successo, specialmente nei nobili banchetti rinascimentali. Ma bisogna volare in Francia, alla corte di re Carlo VI di Valois, per intercettare la prima ricetta ufficiale: quella che il cuoco Guillaume Tirel - aka le Taillevent - fissò nero su bianco nel monumentale compendio Le Viandier. Mentre narra la leggenda che l’iconica foggia tonda e losangata sia stata messa a punto da una delle suore del convento di San Gregorio Armeno, a Napoli. Giusto a evocar le grate del monastero. Un dolce intramontabile, che non ha mai perso il suo smalto. Anzi, che continua a far parlare di sé. Tanto a casa quanto al ristorante. Oops! Mi è caduta la crostata al limone mise in carta (ormai qualche anno fa) Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena, trasformando in meraviglia una distrazione dell’allora sous-chef Takahiko Kondo. “Se dovessi aprire un’insegna tutta mia? Inaugurerei una crostateria”, confessa il pasticcere Davide Ferrante. A conferma che la crostata è di tendenza. E fa tendenza. In un ritorno a una pasticceria forno addicted. 

    Il gruppo dei partecipanti al contest nella giornata trascorsa negli spazi di Petra - Molino Quaglia, a Vighizzolo d'Este - Foto di Dolcesalato

     

    Contemporanea per natura

    Insomma, la crostata è come i jeans. Non passa mai di moda. Ma si adegua al tempo, facendosi contemporanea, lasciandosi contaminare dall’attualità, ed esprimendo al massimo poliedricità, versatilità e spirito aperto e inclusivo. Quasi un manifesto del buono, giusto, etico, territoriale e nutrizionalmente bilanciato. Dice bene Fabio Longhin, pasticcere-coach della Pasticceria Chiara di Olgiate Olona (nonché protagonista della seconda puntata della serie di podcast Pasticceria 4.0, nata grazie alla sinergia fra Petra e il Gambero Rosso) quando afferma che la crostata è anzitutto relazione e interazione: “Frutto di tante mani”. Quelle del pasticcere certo, ma anche quelle di tutti gli uomini e donne che danno vita agli ingredienti che alimentano il mitico dolce: dalla farina alle uova, dal burro allo zucchero, dal latte alla frutta, dalle erbe alle spezie. Per questo la crostata diviene narrazione, in perenne evoluzione. Diventa racconto in equilibrio fra materia e immaginario, sostanza e forma, contenuto e contenitore. Sempre mettendo al centro della storia personaggi e paesaggi, memoria e sogni, tradizioni e ispirazioni, sensazioni ed emozioni. "Senza dimenticare che la crostata è una tavolozza dalle infinite sfumature. Date dalle farciture. Ma non solo. "La frolla, che ne incarna la base e che ne marca il gusto, può già offrire molteplici elementi di sviluppo. Grazie a differenti tipologie di farine: da quella più primitiva di farro monococco a quella che mixa cereali diversi", suggella Longhin.    

    I giovani pasticceri insieme a Chiara Quaglia, Piero Gabrieli e Monica Nastrucci, responsabile del coordinamento editoriale del Gruppo Food - Foto di Dolcesalato

     

    (R)evolution al Sigep

    A dimostrarlo? Una magnifica decina di giovani professionisti, selezionati fra un centinaio di partecipanti al contest Crostata Revolution, organizzato da Petra in collaborazione con la rivista Dolcesalato, nel solco di quell’evento Frolla in Forma che già nel lontano 2009 mise le fondamenta a un lungo percorso evolutivo. Non una competizione dunque, ma un’occasione di crescita e sperimentazione. Che avrà il suo climax il 22 gennaio alle 12.30, al Sigep di Rimini, nello Spazio Petra (Pad D5 - Stand 48), quando andrà in scena la tappa finale del certame. O meglio, l’inizio ufficiale di un nuovo modo di intendere frolla, frutta e creme. Perché se cinque di loro diverranno protagonisti della sfida conclusiva - Elisa Brunetti, Federico Dalle Mule, Sofia Forin, Carlo Massucci (scelti dalla giuria) e Ginevra Bornaccioni (votata dalla rete) - in realtà a vincere sono tutti. Visto che ciascuno di loro ha contribuito a tracciare una sorta di geografia della crostata. Classica o eclettica, essenziale o stratificata, local o più global, eppur sempre orgogliosa di parlare al futuro. Allora eccoli i dieci “rivoluzionari”, pronti a mordere il domani con altrettante fragranti interpretazioni.

     

    “La contemporaneità è una storia che continuiamo a scrivere”, Fabio Longhin docet. 

    Elisa Brunetti e La crusteda dal saleni - Foto di Dolcesalato

     

    Elisa Brunetti e il sale della Romagna

    La Romagna? La mette in tutto quello che fa. Pasticceria inclusa. Perché lei è romagnola, parla romagnolo e ha scelto il dialetto romagnolo anche per intitolare una delle sue creazioni: La crusteda dal saleni. Traduzione: la crostata delle saline, complici frolla e frangipane, pesche e pinoli, vino Albana e sale dolce di Cervia. Cittadina dove Elisa è cresciuta, pur essendo nata a Forlì (nel 2002) e aver seguito a Cesenatico gli studi di ragioneria, con indirizzo in relazioni internazionali per il marketing. Poi? La svolta. “All’inizio pensai di andare all’università, ma non trovai una facoltà capace di ispirarmi davvero. Così decisi di frequentare un corso di pasticceria a Bologna. Partendo dalle basi, dando voce a una passione che avevo già e cercando di costruirmi un lavoro”, racconta la giovane. Che, fra lezioni didattiche-pratiche, uno stage sul campo e un test finale superato a pieni voti (con corredo di diploma) trova la giusta motivazione e pure la sua strada: alla Pasticceria Pagliarani di Sant’Angelo di Gatteo. “Nei dolci amo particolarmente concentrarmi sulle decorazioni. Perché sono la parte più distintiva e caratterizzante. Quella che dà l’identità e che rende una torta diversa da un’altra. Del resto, la presentazione è importante. Se un dolce al primo impatto non piace, difficilmente viene scelto”, spiega Elisa. Che fa attenzione anche alle consistenze e alla forma. “Una torta tonda è più canonica. Ma già se diventa quadrata o rettangolare le cose cambiano. La fetta risulta differente, così come diverse sono la stratificazione e la visione. Specialmente dall’alto”. Della serie, quando la modernità passa anche attraverso una rilettura estetica dei grandi classici. Senza dimenticare il colore. “C’è una certa palette da seguire. I colori non possono essere messi a caso. Ci vuole armonia, altrimenti si rischia di stonare. Nella crostata delle saline, per esempio, mi sono tenuta sui toni ambrati della terra. Sia internamente sia esternamente. Dove ho voluto anche ricordare i fenicotteri, il loro piumaggio e il loro nido. Grazie a un cestino di caramello”. 

    Federico Dalle Mule e la crostata Voci dei Fanes - Foto di Dolcesalato

     

    Federico Dalle Mule ascolta l’eco delle Dolomiti

    Respira l’aria delle Dolomiti. E si lascia ispirare dall’aria delle Dolomiti. “È osservando un ciclo di affreschi all’interno della Birreria Pedavena che mi è venuta l’idea della crostata Voci dei Fanes, con chiaro riferimento al leggendario popolo dolomitico”, spiega Federico Dalle Mule, descrivendo una crostata contemporanea, dal profondo legame con l’autentica realtà bellunese. “Si tratta di una frolla al farro monococco, al quale aggiungo un po’ di farina di canapa: quella che coltiva mia mamma vicino alla nostra casa in montagna, a Borgo Valbelluna, sui terreni del nonno”, continua lui. Che arricchisce il dolce con miele, nocciola mestega, petali di fiori, mela di Faller (localmente detta pòm prussian) e namelaka all’erba luisa, dalle citriche nuance. “Io sono quello del semplice ma buono. Per me una merenda con una fetta di torta rappresenta il massimo della soddisfazione. Tanto più se quella fetta può raccontare un intero territorio. Proprio come il nostro, che nasconde moltissimi tesori, dal mais sponcio rosso al fagiolo gialèt della Val Belluna”. Del resto Federico è nato a Feltre (nel 1997) e lavora nel cuore di Feltre. Dove nel 2021 - forte di studi linguistici, di un corso ad Alma e di una serie di stage sul campo - ha aperto la sua pasticceria, con la sodale Elisa Bressa: Ozone Pastry & Co. “Si può leggere ozono, ma la zeta può anche divenire un 2, rammentando la formula dell’ossigeno”. Una zona di ossigeno, insomma. Una boccata d’aria fresca. Un luogo dove rigenerarsi, prendersi una pausa, a ritmo di delizie dolci e salate. “Il nostro è un microcosmo sereno e felice. Uno spazio materico, nutrito dal ferro, nei toni del nero e del sabbia. Ci somiglia”.  

    Sofia Forin e la Fiaba di mais - Foto di Dolcesalato

     

    Le venete architetture di Sofia Forin

    Avrebbe voluto fare l’architetto. Ora crea architetture deliziose. “Ho studiato al liceo artistico Amedeo Modigliani di Padova e poi mi sono iscritta all’università Iuav di Venezia, specializzandomi in arti multimediali e focalizzandomi su fotografia e grafica”, racconta Sofia Forin. Nipote di quell’Armando che nel 1960 alzò la saracinesca della pasticceria che portava (e che porta ancora) il suo cognome. “Poi, dando una mano nel reparto vendite, mi sono appassionata. Così ho deciso di frequentare un corso di pasticceria a livello professionale”, svela la giovane artigiana: classe 1995, originaria di Camposanpiero e pronta a plasmare la materia, non dimenticando l’immaginario. “Sono io ad occuparmi delle grafiche, delle etichette, della parte estetica, di quello che sta intorno al dolce”, precisa lei. Orgogliosa anche della sua crostata innovativa: la Fiaba di mais. “Sono partita dagli elementi iconici della crostata, ossia dalla frolla e dalla confettura. Pr ripensare il tutto in modo diverso”. Realizzando una pasta frolla preziosa di farina di mais - a ricordare la polenta, ma pure gli zaeti - e inserendo una veneziana sfogliata al burro (gestita come un croissant). A completare? Confettura di fichi e mandorle tostate. “Un dolce deve essere buono, ma anche bello. Perché il cliente mangia prima con gli occhi”, puntualizza lei. Alla regia dell’insegna storica - posizionata nel quartiere Camin - insieme al padre Mauro. Fra i loro cult: la classica millefoglie con crema chantilly e il Dolce Santantonio. Dedicato al patrono della città. 

    Carlo Massucci e la Crostata koji di farro, birra e mela cotogna - Foto di Dolcesalato

     

    Carlo Massucci: l’Umbria, il farro e la birra

    Rigoroso e istintivo, puntiglioso e poliedrico, Carlo Massucci ha le idee chiare e i piedi ben piantati per terra. In quella Bastia Umbra, in provincia di Perugia, dove guida, col sodale Riccardo Raspa, Ora Forneria. “L’abbiamo chiamata Ora per tanti motivi. Perché era giunta l’ora di aprire un’insegna tutta nostra. Perché la lievitazione ha bisogno di ore e ore. E per l’attualità e la contemporaneità delle nostre proposte. Frutto di studio, ricerche, sperimentazioni ed evoluzioni continue”, spiega Carlo. Classe 1984, una casuale nascita a Cattolica, radici umbre, studi da geometra, una formazione al Dams di Terni e un corso di cucina alla Gambero Rosso Academy. “È lì che ho scoperto la mia passione per il pane e per i dolci”. Passione divenuta presto professione. Alimentata da esperienze in hotel, ristoranti e forni. Sino all’avventura di una bakery tutta sua (e di Riccardo). Fra i principi cardine? Il saldo legame con i produttori del territorio; una visione circolare della materia; nonché il valore delle relazioni. “Che si devono trasformare in azioni concrete”, precisa lui. Che crede nella forza delle idee e dei sapori: “La mia pasticceria è fatta di gusti intensi, completi, non sfumati. Se un dolce è al farro deve sapere di farro. Se è al cioccolato deve sapere di cioccolato". Progetti futuri? L’apertura di una zona caffetteria con viennoiserie annessa. Ma non solo. “Siamo ruspanti, ci piacerebbe partecipare ai mercati agricoli. Per fare ancora più rete. Del resto, stiamo creando un sistema”. Intanto? Carlo consegna il pane ai ristoranti della zona, guidando il furgone e sviluppando connessioni. Non solo. Carlo mette a punto un dolce rurale e sostenibile: la Crostata koji di farro, birra e mela cotogna. Alla base: una pasta frolla al farro monococco e riduzione di birra al farro Cotta 21 (quella dei Mastri Birrai Umbri). Inside: un frangipane alle mandorle e trebbie di farro (giusto a recuperare gli scarti della lavorazione della birra). A completare il tutto: mele cotogne, in gel e a tocchetti; mousse di ricotta e cialde di koji di farro fritte.

    Ginevra Bornaccioni e la crostata Athena - Foto di Dolcesalato

     

    Il Lazio, la forza e il coraggio di Ginevra Bornaccioni

    È giovane e saggia. Ed è pure coraggiosa, forte e caparbia. Proprio come Athena, la guerriera dea greca alla quale vorrebbe tanto somigliare. “La crostata l’ho voluta chiamare così: perché in laboratorio siamo tutte donne; perché amiamo dare nomi femminili ai dolci; ma anche come monito ed esortazione a credere più in me stessa”, spiega Ginevra Bornaccioni. Millesimo 1999, radici nella Città Eterna e un presente ben solido alla Pasticceria Barberini, nel romano quartiere Testaccio. Dove è arrivata per un tirocinio, dopo aver frequentato l’alberghiero, dopo aver affinato tecnica e precisione a casa (accanto alla madre, dedita invece alle delizie salate) e dopo aver studiato all’Italian Chef Academy capitolina. “Sono felice che mi abbiano assunta da Barberini. Mi trovo molto bene. E se ti trovi bene in un posto significa che sei nel posto giusto. Siamo una famiglia. Facciamo tutto noi. Dai cornetti per le colazioni ai panettoni, dai mignon alle torte da forno. Mi hanno dato la possibilità di crescere. E devo ringraziare colui che considero il mio maestro: Giorgio Derme, che sta anche alla regia delle altre due insegne della proprietà: il Caffè Verbano e la Pasticceria delle Rose. Sempre a Roma”, racconta Ginevra. Che intanto si lascia ispirare da Athena per realizzare una crostata contemporanea, saldamente legata alla terra laziale. Traduzione? Alla base una frolla “croccante”, messa a segno con farina di farro monococco e nocciole della Tuscia; mentre all’interno si susseguono una confettura di visciole e una crema al limone, pensata ad hoc per la cottura e per reggere bene nella fetta. Nutrita pure da un cake, prezioso di visciole poché, polvere di amarene e polvere di ibisco. “Ha moltissime virtù. E poi è un fiore bellissimo, che per certi versi mi somiglia”, rivela lei. Che completa la torta con un frangipane alla nocciola e un top di cremoso agli agrumi (lime, arancia e mandarino). A donare un’ulteriore vibrazione di freschezza a una crostata colorata e super stratificata. Proposta anche in pasticceria, in versione mono e un po’ più semplificata. “Funziona particolarmente per la merenda”, svela orgogliosa la pasticcera.

    Valeria Romanò e la Coroncina della Madonnina - Foto di Dolcesalato

     

    Valeria Romanò: osservando la Madonnina

    In un dolce? Lei ama conoscere l’hardware prima di crearne il software. “Nell’elaborazione di un dolce mi piace conoscere la materia prima, capire quello che sta succedendo, perché così è più facile bilanciare una ricetta”, spiega Valeria Romanò: classe 1992, natali tuffati nello Sri Lanka, ma ormai adottata da Busto Arsizio. Una formazione altamente tecnica la sua. Partita da un diploma all’alberghiero Giovanni Falcone di Gallarate - con focus sull’arte bianca - per poi evolversi in una laurea in imprenditoria e pasticceria alla prestigiosa École Ducasse. “Studiavamo anche materie come finanza, comunicazione, microbiologia, impiantistica e tecnica molitoria. E facevamo molte ore extra, grazie a un ristorante aperto al pubblico. Così da sperimentare direttamente sul campo”, ribadisce Valeria. Ora impegnata nel dipartimento di ricerca e sviluppo di un’importante realtà quale Novaterra Zeelandia. Non solo. Ogni tanto aggiunge il suo impegno in qualche consulenza. Vedi quella con il ristorante Koinè di Legnano, guidato dallo chef e patron Alberto Buratti. “Avevo quattro anni quando iniziai a fare i dolci. Non riesco a stare lontano dal laboratorio. Il primo giorno di scuola superiore, un professore mi chiese il motivo per il quale avessi deciso di fare l’alberghiero. E io risposi: perché mi piace far felici gli altri con i miei dolci”. Studiare, ragionare, calibrare e realizzare. Quella della giovane Romanò è una visione della pasticceria a tutto tondo. “La pasticceria è ricerca, è controllo, è studio delle tendenze, è trovare il modo di soddisfare le esigenze del cliente. Nella tesi, per esempio, mi sono concentrata su allergie e intolleranze”, precisa lei. Che intanto realizza una crostata iconografica: la Coroncina della Madonnina. In un tributo a un simbolo di Milano e alle eccellenze della Lombardia. Traduzione: una frolla fragrante, pronta ad avvolgere una cheesecake al mascarpone lodigiano, complici confettura allo zafferano della Brianza e pere mantovane.   

    Francesco Faicchio e la crostata Sole - Foto di Dolcesalato

     

    Lo spirito solare di Francesco Faicchio

    Nato e cresciuto a Pomigliano d’Arco, al centro del Golfo di Napoli, Francesco Faicchio ha sempre visto il sole sorgere dalla parte della Costiera Amalfitana e tramontare da quella del Vesuvio. Una visione trasformata in azione. Un paesaggio sublimato in assaggio, grazie a una crostata radiosa e golosa, intitolata per l’appunto Sole, preziosa di limoni (della Costiera) e albicocche (coltivate nei comuni vesuviani). Prodotti ai quali lui - classe 1994 - è molto legato. Pur essendo ormai lontano dalla sua Campania Felix. “Sono diplomato in ragioneria. La passione per il mondo dei dolci è arrivata piano piano, lavorando in qualche pasticceria partenopea”. Poi? La partenza. Dal mare al Tamigi, restando per quasi sei anni a Londra, fra ristoranti, hotel e laboratori. Sino al rientro in Italia, dove ora si divide fra il ristorante Da Vittorio di St. Moritz e il DaV di Milano, in CityLife. Creando dessert da ristorazione (panificazione inclusa) e producendo per grandi numeri (in occasione degli eventi). “Io parto sempre dalle basi. Perché se parti da quelle puoi andare dove vuoi”, ricorda lui. Che applica a una crostata classica una tecnica moderna. “Per la torta Sole ho usato un metodo di premiscelazione di uova e zucchero. Così da rendere l’uovo più forte. Il risultato è un profumo più accentuato e un taglio della fetta più netto. Come accade per una torta morbida”.  

    Claudia Ciarlantini e la crostata Sibilla - Foto di Dolcesalato

     

    Claudia Ciarlantini evoca i Monti Sibillini

    Come Leopardi osserva l’infinito, non tradendo l’ermo colle. Come Leopardi immagina quel che c’è oltre la siepe, non dimenticando le sue origini. Così fa Claudia Ciarlantini: millesimo 1995, natali tuffati in quel di San Severino Marche, un diploma di tecnico agrario in tasca e una vita trascorsa a Sant’Angelo in Pontano, micro comune del Maceratese. “Mentre frequentavo le superiori ho lavorato come cameriera nel mio paese. È lì che è nata la passione per la cucina e per i dolci”. Ed è da lì che Claudia parte: per andare prima all’Università dei Sapori di Perugia e poi frequentare i corsi in Cast Alimenti, a Brescia. A seguire? Qualche esperienza sul campo: da Clusone a Milano, passando per la Madonnina del Pescatore, a Marzocca di Senigallia. Finché, stanca della città, decide di tornare alla natura. “Questo era un locale vuoto da anni. Anzi, prima era una pescheria”, rivela la giovane pasticcera, descrivendo la genesi della sua insegna: Giselle, aperta nell’ottobre del 2023 a San Ginesio. “L’ho voluta chiamare così perché Giselle è un nome che mi piace. Ed è pure il nome del mio lievito madre. Inoltre è una pasticceria al femminile. Siamo tutte donne. Quasi tutte under trenta”. Una petite pâtisserie moderna, che danza sulle punte restando ben ancorata al territorio. E la crostata Sibilla conferma. Una frolla alle mandorle che nasconde un cake di ricotta e pecorino, complici le mele rosa dei Monti Sibillini caramellate. Il tutto al profumo di Varnelli, liquore all’anice prodotto dall’omonima distilleria di Valfornace. Per un inchino all’entroterra marchigiano. Nei progetti futuri? Un dehors e qualche proposta salata. Anche se al centro restano sempre la viennoiserie per la colazione, i mignon, le monoporzioni, le mousse e le torte contemporanee. Create rileggendo i grandi classici, come la Foresta Nera.

    Linda Chirico e la crostata Pink Cherry - Foto di Dolcesalato

     

    L’energia pink di Linda Chirico

    Contemporanea, floreale, femminile, delicata. Con pennellate di rosa e oro. Così è la pasticceria di Linda Chirico. Pasticceria intesa in duplice accezione: come contenitore e come contenuto. “Perché, lo dice bene l’architetto Simone Colombo, vi deve essere sempre coerenza fra struttura, architettura e offerta”, spiega lei. Rammentando una lezione seguita ad Alma, in occasione del corso in manager della ristorazione. Il secondo frequentato nella scuola internazionale di Colorno. “Visto che il primo fu proprio in pasticceria, dopo il liceo scientifico”, ricorda Linda. Nata nel 1990 a Varese, da una famiglia di ristoratori, e cresciuta lungo le sponde del Ceresio. “Fino ai 15 anni il mare l’ho visto solo d’inverno. Eppure mi sono appassionata a questo mondo. Tant’è che in principio desideravo diventare cuoca. Ma venni illuminata dai dolci”. Da qui la pratica sul campo, specialmente in grandi ristoranti: dalla veronese Villa del Quar a Villa Belrose, poco distante dalla Côte d’Azur. “Mi piaceva l’idea di lasciarmi contaminare dalla tecnica francese”. Ma poi Linda torna sul lago, a Porto Ceresio, aprendo nel 2019 la sua insegna: Ofelè. Come pasticcere in lombardo. Ma anche come chi è capace di fare bene le cose. “Perché il nostro non è un lavoro, ma un mestiere”, puntualizza lei. Che nel 2022 apre una seconda boutique, a Lavena Ponte Tresa. “Qui ho messo persino le altalene al posto delle sedute. E una giraffa di tre metri. Da noi tutto è su misura, customer care. Ho contattato personalmente fabbri e artigiani”. Risultato? Due spazi ritmati da ottone e velluto, graniglia e rosa antico. Mentre al soffitto ondeggia un mare provenzale di tulipani. “In laboratorio siamo tutte donne, super giovani. Teniamo d’occhio i social e le tendenze, e ci lasciamo nutrire dalle idee. Seguendo il mantra: sbagliando s’impara”. Intanto? Linda mette a punto una crostata rivoluzionaria: una frolla montata, senza uova ma con succo di amarene. Quale omaggio ai ciliegi che sbocciano nella zona. Il tutto montato al contrario, con all’interno una crema cotta alla vaniglia e marquise. Il suo nome? Pink Cherry, naturalmente.  

    Dario Prato e la crostata KaRE - Foto di Dolcesalato

     

    Dario Prato fa sbocciare l’Emilia

    Dentro c’è tutto. Le sue origini piemontesi, il suo omaggio alla regione emiliana, la sua passione per il Giappone e la sua lunga esperienza maturata negli anni. Nella crostata KaRE c’è Dario Prato e c’è il mondo di Dario Prato. Nato a Mondovì nel 1991 e cresciuto a Frabosa, sempre nel Monregalese. “Già da bambino sognavo di fare il pasticcere”, confessa lui. Che frequenta l’alberghiero (indirizzo pasticceria) per poi volare all’Alma di Colorno, per approfondire ancor meglio il dolce argomento. Un bel po’ di tempo a Milano, da Ernst Knam, ne sanciscono capacità e determinazione. Poi? Ad accoglierlo sono Palazzo Parigi, la pasticceria di Dario Hartvig a Carmagnola e l’Emilia. “Ho girato un po’ in zona, sino ad arrivare alla Pasticceria Incerti di Reggio Emilia. Sono felice di aver conosciuto la grande e la piccola città, e di vivere in una cittadina dove tutto è a misura d’uomo. E dove tutto si raggiunge in bicicletta”, spiega il giovane artigiano. Che realizza una crostata gocal e inclusiva. Complici le pere abate caramellate, rigorosamente dell’Emilia Romagna; il karee, nipponico curry dalle note speziate e aromatiche (da cui il nome della torta, ma con la sigla RE a ribadire il senso autoctono); il cioccolato fondente e i piemontesi ovis mollis, ma aromatizzati ai ciccioli, per una nota sapida e croccante, e per una stretta connessione con il culto territoriale del maiale. “Cerchiamo di rispettare la tradizione, guardando avanti. Il curry giapponese lo uso spesso, anche in cucina. Lega bene sia con il cioccolato sia con le pere. E io amo utilizzare tanta frutta fresca in pasticceria, seguendo la stagionalità”.

    T: Cristina Viggè

    15-01-2024

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